inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2005

Due chiacchiere con Stefano Martello, Intervista di Sara Cristadoro- a proposito dell'uscita di: "Stefano Martello - Gennaro Pesante, Santi poeti e comunicatori – Colloquio informale sulla Legge 150/2000, con interventi di Isabella Piro, Fara Editore, Rimini 2004 (ISBN 8887808627)"

 

***

Stefano Martello - Gennaro Pesante, Santi poeti e comunicatori – Colloquio informale sulla Legge 150/2000, con interventi di Isabella Piro, Fara Editore, Rimini 2004 (ISBN 8887808627)

Due chiacchiere con Stefano Martello

Intervista di Sara Cristadoro*

Districarsi nella giungla di una legge concepita per chi fa comunicazione e informazione. Riuscire a capire cosa va e cosa non va in una norma entrata in vigore più di quattro anni fa, ma che da allora sembra aver sortito pochi effetti positivi e non essere riuscita a centrare il bersaglio. Questo l’obiettivo che Stefano Martello e Gennaro Pesante, con l’aiuto di Isabella Piro, si sono prefissati. E l’hanno raggiunto con il loro “Santi, Poeti e Comunicatori”, uscito a novembre 2004 per Fara Editore: più che un saggio è una chiacchierata tra amici e compagni d’avventura, un “colloquio informale” che analizza ai raggi x la legge 150/2000, che disciplina le attività di informazione e comunicazione delle pubbliche amministrazioni. Eppure, contrariamente a quanto si potrebbe pensare riferendosi ad un libro che tratta un tema giuridico, la tendenza degli autori è quella di sdrammatizzare il tutto, anche quando, una pagina dopo l’altra, ci si accorge che l’elenco dei vizi di questa normativa supera di gran lunga quello delle virtù. Ne parliamo con Stefano Martello.

 

D. Stefano, devo dire che ciò che mi ha colpito vedendo e leggendo il libro è stata la sua natura giovane e spigliata: oltre al titolo, la copertina richiama la facciata del Colosseo Quadrato dell’Eur con una serie di emoticons che strizzano l’occhio al lettore. Poi il linguaggio: chiaro, ironico, e la struttura “a tre voci”. Come direbbe qualcuno: “Che c’azzecca” tutto questo con una cosa seria come la legge?

R. Facendo il giornalista mi sono accorto che spesso il linguaggio di alcuni articoli è poco chiaro, specie quando si parla di argomenti giuridici. Non tutti riescono a comprendere una terminologia settoriale e a decifrarla, ma quando si tratta di puntare la lente d’ingrandimento su una legge, cioè su un patrimonio che deve essere a disposizione di tutti (in questo caso poi, la 150/2000 è una norma fatta su misura per giornalisti e comunicatori pubblici, ma anche per i cittadini), allora l’impegno diviene tassativo. La formula chiave adottata dal libro è quindi quella di eliminare l’autoreferenzialità. Io personalmente porto avanti un discorso che cerca di facilitare il linguaggio giuridico. Proprio recentemente ho presentato una relazione per l’Italian Cyberspace Law Conference in cui approfondivo i temi del linguaggio giuridico e gli strumenti utili per facilitare la comprensione dei testi giuridici. Rendere una legge più semplice, insomma, serve a farla comprendere e, nel contempo, aumenta le possibilità che la stessa venga rispettata.

 

D. Ecco individuato quindi il principale ‘nemico’ da combattere: la poca chiarezza. Mi sembra però che l’aspetto su cui il libro punta il dito sia – diciamolo pure - l’ignoranza dei tanti amministratori pubblici. Nella maggioranza dei casi, questi signori non applicano la legge perché non hanno neanche la minima idea di cosa essa sia… A proposito, Isabella Piro ricorda che nel 2002 e 2003 sono state anche realizzate due indagini conoscitive, (dal dipartimento della Funzione Pubblica assieme alla Scuola Superiore della P.A. l’Associazione italiana della comunicazione Pubblica e Istituzionale e Pragmatica), per sondare quanti enti abbiano applicato la legge 150/2000. I risultati parlano chiaro: la norma è stata applicata solo ‘in parte’. Ma non è paradossale che proprio i destinatari eletti di una legge non la conoscano?

R. Il paradosso c’è ma, a parte le piccole realtà più colpite dal fenomeno per mancanza di fondi, nelle altre situazioni torno a ripetere che il motivo principale è la scarsa chiarezza. Mi chiedo: perché un amministratore pubblico si dovrebbe attivare per un settore di cui non conosce pregi e virtù?

 

D. Se permetti, a questa domanda rispondo io: perché così è più facile. Si elimina alla radice il problema della formazione, dei contratti adeguati, dei concorsi pubblici. Innanzi tutto due precisazioni non a tutti chiare: distinguere il ruolo di un portavoce da quello di un addetto stampa e sfatare la credenza secondo la quale chiunque possa fare questo mestiere.

R. Proprio così. Per dirne una, ho partecipato a uno dei pochissimi concorsi banditi da un comune per ricoprire la carica di addetto stampa e mi sono trovato di fronte a una prova d’esame su argomenti prettamente giuridici che poco o nulla avevano a che fare con la professione dell’addetto stampa. E poi, anche se la legge ha operato una buona distinzione tra le due figure, spesso resta solo sulla carta perché le stesse finiscono per accavallarsi e confondersi. Non esistendo un inquadramento contrattuale preciso, si finisce per configurare un’eventuale gerarchia tra due figure che, al contrario, dovrebbero restare assolutamente indipendenti.

 

D. Ci spieghi le differenze?

R. Il portavoce non deve essere iscritto all’Ordine dei giornalisti, può essere chiunque e non sono richiesti titoli di studio. Tra il portavoce e chi lo ‘recluta’ c’è essenzialmente un rapporto di fiducia. Diverso è il caso dell’ufficio stampa: chi ci lavora deve necessariamente essere iscritto all’Ordine nazionale dei giornalisti e quindi avere delle competenze adeguate.

 

D. Poi c’è da fare un’altra distinzione: quella tra informazione e pubblicità. Spesso negli uffici pubblici tra le due cose il passo è piuttosto breve. Nel libro definisci una ‘bestemmia’ l’utilizzo di tecniche di marketing in questo settore. Anche questo aspetto è la prova tangibile che la comunicazione pubblica (e l’informazione?) stia degenerando in qualcosa di altro, non credi?

R. È così purtroppo. Ora la tendenza del settore pubblico è quella di “pompare” qualsiasi cosa come se si trattasse di un pannolino o di un cellulare. Il giornalista, da parte sua, si ritrova tra due fuochi: deve capire se il suo mestiere è quello di “vendere” un brand o di informare in merito a dei contenuti ben definiti. Anche questo aspetto, ripeto, è figlio della poca semplicità e chiarezza della normativa unitamente a un’assenza di buon senso e ad una dimenticanza su quella che è la mission istituzionale dell’apparato pubblico: rispondere a tutti con trasparenza, efficienza, ma soprattutto efficacia.

 

D. È chiaro dunque che qualche carenza in questa legge ci sia. Mi viene il dubbio (che è anche quello di voi autori): ma allora la 150 serve oppure no?

R. Certamente è un primo passo, fondamentale in quanto si opera una legittimazione giuridica di figure professionali che già esistevano nel piano reale. Ritengo tuttavia che tutti noi dobbiamo fare un passo indietro per capire come e cosa vogliamo comunicare. Quanto detto riuscirebbe ad interessare maggiormente il cittadino comune che oggi non partecipa più alla vita pubblica, preferendo altri contesti di partecipazione, quali il mondo dell’associazionismo e del non profit. Ed è un peccato, perché oggi la cittadinanza è sicuramente più colta, più consapevole e, conseguentemente, più esigente; dispone di maggiori strumenti per reperire informazioni e questo crea un clima di ipercomunicazione in cui i contenuti si dissolvono sotto la forza dello spot, della frase ad effetto. In conclusione, auspico due interventi: uno di tipo tecnico, finalizzato a migliorare la coesistenza tra le figure professionali introdotte dalla legge, unitamente all’impatto della normativa nella vita operativa. Integrato con un intervento finalizzato al riavvicinamento della cittadinanza ai temo della vita pubblica. Solo allora la legge 150/2000 potrà raggiungere il suo vero obiettivo che, a ben vedere, è assolutamente trasversale, riguardando sia gli operatori della comunicazione, sia gli amministratori della cosa pubblica, sia, soprattutto, i fruitori dei processi decisionali pubblici: i Cittadini.

 

* Sara Cristadoro (Roma, 1978), giornalista, si è laureata nel marzo 2002 in Lettere moderne all’Università degli Studi Roma Tre. Ha svolto stage in Rai, (Giornale Radio e Porta a porta), nell’agenzia di stampa Reuters e Adnkronos, con cui ha collaborato, e nel quotidiano La Repubblica. Vincitrice nel 2003 del premio per tesi di laurea sul giornalismo, (sezione Storia del giornalismo italiano), indetto dall'Ordine della Lombardia, per il lavoro di ricerca intitolato Dalle tribune politiche al salotto di Porta a porta. Quarant’anni di politica in televisione. Ha scritto per la rivista on line Caffè Europa. Attualmente frequenta il secondo anno della Scuola Superiore di Giornalismo Luiss Guido Carli di Roma.