inserito in Diritto&Diritti nel febbraio 2004

Comunicando la crisi: profilo e caratteri della comunicazione di crisi

di Stefano Patriarca

***

SOMMARIO: 1. Un GRAZIE per premessa - 2. Definisca “crisi”: Tylenol 1982 -

3. Essenziale anatomia della comunicazione di crisi - 4. Concludendo - Note -   Riferimenti bibliografici

1. Un GRAZIE per premessa

 “GRAZIE.

Grazie ai 16 milioni di famiglie italiane che, in questi giorni di difficoltà e incertezza, hanno continuato a scegliere le nostre marche, riconoscendo la qualità dei nostri prodotti e l’avanguardia della nostra tecnologia.

Grazie ai nostri fornitori e clienti che hanno garantito la continuità delle operazioni.

Grazie anche a nome dei nostri 4000 collaboratori, che ogni giorno lavorano con impegno e passione perché questa qualità rimanga la stessa di sempre.

È grazie a loro e grazie a voi che Parmalat sta costruendo il suo nuovo futuro. “

Parmalat

 

Questo chiaro ed intenso messaggio, pubblicato il 30 gennaio 2004 dal Corriere della Sera a pagina 24, ha offerto a chi scrive uno spunto interessante. Cosa ha spinto infatti lo staff del Commissario Straordinario Enrico Bondi a riservare un’intera pagina del maggiore quotidiano nazionale, sotto forma di comunicato a pagamento, per qualcosa di differente dall’ordinario advertising? Quali le basi che hanno motivato i modi e i tempi di una scelta del genere? Domande senza dubbio complesse e interrogativi la cui soddisfazione non potrà certo risultare totale in questa sede; una scelta che però trova già condivisa lucidità se identificata come momento tipico di comunicazione di crisi.

Accompagnati da queste brevi riflessioni soffermeremo dunque il nostro sguardo su alcuni dei tratti peculiari del crisis communication management, particolarissima area della comunicazione nota anche come comunicazione di crisi (1).

 

2. Definisca “crisi”: Tylenol 1982

Analisi dei rischi, monitoraggio costante, stima delle potenziali emergenze e responsabilizzazione diffusa all’interno della struttura. In relazione alla complessità che oggi contraddistingue l’organizzazione di soggetti pubblici e privati, interventi preventivi simili a questi sono indubbiamente utili per ridurre le probabilità che la fase di crisi si verifichi realmente. Tutto ciò può comunque non essere sufficiente: la crisi assumerà dunque i caratteri di un evento straordinario di assoluta visibilità esterna e dai probabili riflessi negativi sugli obiettivi, le attività, le relazioni e la credibilità stessa dell’intera organizzazione oggetto di crisi.

Proponendoci di comprendere alcuni dei paradigmi più significativi della comunicazione di crisi, consideriamo a ciò funzionale contestualizzare ora con un esempio concreto quanto appena affermato identificando la fase di crisi. Focalizziamo dunque la nostra attenzione su di un evento straordinario di assoluta visibilità esterna, caratterizzato da ripercussioni negative potenzialmente enormi, e che la stessa letteratura è concorde nell’indicare come il primo caso di crisis management di ridondanza mondiale: in altre parole, Tylenol 1982.

Il Tylenol era un diffusissimo antidolorifico da banco, uno dei maggiori prodotti commercializzati dal colosso farmaceutico Johnson&Johnson. Nell’inverno del 1982 il dramma: le autorità statunitensi danno l’allarme segnalando 7 vittime il cui decesso è imputabile, oltre ogni ragionevole dubbio, all’assunzione di compresse di Tylenol Extra Strenght avvelenate con cianuro di potassio. È evidente come un’azione di boicottaggio tanto violenta avrebbe potuto produrre conseguenze dirompenti per Johnson&Johnson: ma non fu così. Il caso Tylenol 1982 è infatti ancor oggi sinonimo di reazione esemplare e perfetta gestione della comunicazione di crisi da parte di un gruppo aziendale. Immediato e costosissimo recall di tutti i prodotti della linea Tylenol; imponente, costante e trasparente circuito comunicazionale con media, pubblico e autorità; nuovo packaging antimanomissione; queste solo alcune delle decisioni che, elaborate ed attuate con estrema rapidità e accortezza dal top management, si tradussero in risultati positivi in termini di immediato recupero (e successiva crescita) della fiducia dei consumatori e della posizione di mercato (2). Seppure affrontando costi vivissimi, Johnson&Johnson scelse di dimostrare in concreto la capacità e la volontà di onorare ed applicare il  proprio storico e notissimo “credo”: “le nostre responsabilità sono prima di tutto verso i consumatori, poi verso i nostri dipendenti, poi nei confronti delle comunità che serviamo e, infine, verso i nostri azionisti”. L’Azienda riconobbe dunque la necessità, ed intuì l’utilità, di un sacrificio a breve termine che avrebbe però prodotto riscontri significativamente positivi nel tempo, preservando così la propria immagine da ineluttabili macchie. Le modalità con le quali Johnson&Johnson ha efficacemente gestito la crisi Tylenol sono ancora oggi indicate come caso esemplare di crisis management.

 

3. Essenziale anatomia della comunicazione di crisi

Metabolizzato il necessario approccio verso una corretta identificazione del concetto di crisi, possiamo ora individuare alcune tra le linee distintive del nostro principale oggetto d’analisi: la comunicazione di crisi. Riteniamo così di poter individuare nella comunicazione di crisi quell’area dell'attività di comunicazione il cui obiettivo primario è la gestione e il controllo degli effetti di una situazione di emergenza sull'organizzazione. Su tale base la comunicazione di crisi realizza un equilibrio tra metodologia e sensibilità al fine di reagire lucidamente a condizioni critiche e delicate le quali, a livello epidermico, potrebbero invece suggerire un suicida atteggiamento di chiusura, caratterizzato da ritardi nelle risposte e strategie non coordinate, incoerenti e focalizzate sul brevissimo termine. All’opposto, la corretta comunicazione di crisi richiede razionalità, responsabilità, trasparenza e sensibilità verso gli interessi e le reazioni degli shareholders tutti: il valido professionista, o meglio il valido crisis team, definirà cosa comunicare in modo da relazionarsi con l’esterno in modo obiettivo, tempestivo e autorevole, riconoscendo concreta priorità agli interessi dei diversi pubblici coinvolti. Risulta così naturale rimarcare come la buona comunicazione di crisi richieda che un'azienda, o un’istituzione pubblica, assuma direttamente la piena gestione di tutte le informazioni rilevanti, e questo prima che un eventuale vuoto in tale ambito, con il sinistro carico di rischi a ciò legato, sia colmato da altri soggetti. Del tutto contestualmente, l’abile comitato di crisi saprà poi avvertire, eludendolo,  il rischio di una overdose di informazione verso l’esterno correlata ad una   sconnessa sovraesposizione media: per evitare sgradevoli effetti boomerang per la propria immagine, la comunicazione in stato di crisi non è, e non deve mutare, in comunicazione in stato di ansia.

Non è un caso che, in quanto appena espresso, si accosti l’azienda privata all’istituzione pubblica. Se infatti è profondamente vero che sostanziali sono le differenze relative alle origini e alle conseguenze di una crisi in ambito privato piuttosto che pubblico, crediamo risponda altresì a realtà il fatto che molteplici siano le analogie relative alla metodologia ed alla gestione della comunicazione di crisi. Nella fattispecie due elementi si rivelano in particolare armonia con tale interpretazione: il rapporto comunicazione interna/comunicazione di crisi e la necessità di immediata chiarezza dei messaggi veicolati con la comunicazione di crisi. Per quanto attiene al primo aspetto evidenziamo come istituzioni pubbliche, nonchè aziende private, tanto meglio svilupperanno la propria comunicazione di crisi tanto più, nell’ordinaria gestione delle rispettive organizzazioni, sono state puntuali e attente al buon funzionamento della propria comunicazione interna. Le relazioni esterne ed il clima interno, come già abbiamo avuto modo di riscontrare nel caso Tylenol, rappresentano così la parte agonista e quella antagonista di una fascia muscolare che, in una fase di emergenza, si attiva con la comunicazione di crisi:
in tal senso un’istituzione o un’azienda che ha costante cura della propria rete di comunicazione interna, di riflesso potrà avere maggiori possibilità di successo nel comunicare la fase di crisi.

Parimenti necessaria, e comunemente valida sia nel pubblico che nel privato, è poi la semplicità e l’immediatezza dei messaggi declinati, fattori questi in strettissima relazione con il tipo di linguaggio e di stile comunicativo adottato. Produrre un messaggio chiaro, tempestivo e sintetico è impresa semplice solo in apparenza: nei fatti davvero raramente si tratta di spontanee intuizioni, presupponendo molto più spesso una mirata strategia e una definizione progressiva del messaggio finale. All’interno di questa cornice anche il comunicato Parmalat con il quale abbiamo aperto conferma e sviluppa una precisa e coerente strategia: con uno stile comunicativo semplice e caldo, quel messaggio è un mezzo che vuole contribuire alla costruzione di una nuova fase, distinguendo positivamente la qualità dell’industria e del suo core business, dai danni legati a mirabolanti esercizi di creatività finanziaria.  

 

4. Concludendo

Ci avviciniamo così al termine del nostro essenziale percorso sulla comunicazione di crisi: è dunque il momento di capitalizzare quanto fin qui espresso attenzionando ora gli elementi rivelatisi di maggiore spessore. Apprendere dunque dalle esperienze passate si è dimostrato anche in tale ambito di estremo interesse e ad oggi, con ogni probabilità, soggetti pubblici e privati in via primaria associano al concetto di comunicazione di crisi almeno due agenti. In primo luogo si fa qui riferimento al fattore tempo: è infatti condivisa la consapevolezza che tanto più rapidamente - ma non emotivamente - si reagisce alla fase di crisi, tanto minore sarà il suo effetto negativo.  Ad un livello più ampio, e di certo latentemente inquietante, trova poi sempre maggiore credito quella scuola di pensiero che suggerisce di domandarsi preventivamente non tanto se un evento negativo potrà verificarsi, bensì quando, dove, e di che tipo sarà la crisi che si dovrà affrontare.

Originando da un simile embrione, la comunicazione di crisi crescerà e si svilupperà sana quando gestita come necessaria premessa per il ripristino dell’ordinaria e positiva comunicazione da parte del soggetto. Con il principale e irrinunciabile scopo di riuscire in breve a veicolare nuovamente la comunicazione dei propri obiettivi di lungo termine, delle proprie strategie future e della propria immagine, il crisis communication management coinvolgerà all’interno di tale circuito gli specifici pubblici di riferimento.

L’esercizio indubbiamente non è agevole ma, concludendo, si conferma indispensabile operare con professionalità comunicando senza errori anche in condizioni difficili, sotto la pressione dei media e con la pubblica opinione che reclama informazione; comunicando senza errori in situazioni ove è necessario agire decisi a livello tecnico-politico e intanto informare correttamente. Per tutte queste ragioni è più che importante strutturare una buona comunicazione di crisi: per tutte queste ragioni ed anche perché le crisi, quando esplose, non si dimenticano, ma restano vive nella memoria.

 

Per pubblicare contributi e riflessioni nell’Osservatorio sulla Comunicazione: comunicolab@tiscali.it

 

 

 

NOTE

 

(1) Per una corretta fruizione dell’elaborato, riteniamo del caso ribadire in apertura come il messaggio diffuso da Parmalat rappresenti un preciso e valido assist per affrontare alcune essenziali considerazioni comuni al tema generale della comunicazione di crisi. Tali considerazioni, proprio in questo senso, esuleranno dunque dalla specifica vicenda Parmalat, giudicando qui per nulla intonato musicare l’autopsia di una crisi che, oltre ad essere tuttora oggetto di complesse indagini da parte della magistratura, sembra trovare la sua sola e deprimente origine nelle eccessive… distrazioni di alcuni soggetti.

 

(2) La strategia che mosse la comunicazione di Johnson&Johnson fu coerente, coordinata ed attivata diffusamente all’interno del Gruppo. Pressochè da subito, il top management si rese pienamente disponibile nei confronti di un non comune contatto/confronto con i media: interventi sulla stampa e presenza radio-televisiva per esprimere la posizione Johnson&Johnson nella maniera più lineare, chiara e trasparente possibile, catalizzando sull’Azienda l’intelligente ruolo di fonte di informazione oggettiva, rapida e dettagliata. Parallelamente grande cura fu posta da Johnson&Johnson nell’informare ed aggiornare i propri dipendenti con sollecitudine e senza allarmismi: la loro empatia nei confronti della “loro” Azienda fu spontanea, il loro supporto e la collaborazione molto efficace.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

 

Battey J. (2000), Saving a Shattered Image. Are you ready for a corporate public image crisis?, InfoWord

 

Bucci A., Marchetti A., Perini A., Trupia F. (1998), La comunicazione di crisi, Nuova Arnica, Roma

 

De Vincentiis M. (2001), La perfetta comunicazione d’emergenza, Lupetti, Milano

 

Invernizzi E. (2002), Relazioni pubbliche. Le competenze e i servizi specializzati, McGraw-Hill Italia, Milano

 

Norsa  L. (a cura di), (2002), Crisis Management, Simone, Napoli

 

Rossano A. (2002), Comunicazione di crisi, Cacucci, Bari