inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2005

Generali linee interpretative del Museo in Italia

di Giovanni Mastrocinque

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Lo studio dei musei italiani non può prescindere dalla specifica situazione storico-culturale e geografica in cui essi hanno sede e da una considerazione di fondo che riguarda la netta contrapposizione esistente tra musei-contenitori e opere d’arte-contenuti, spesso cronologicamente distanti. La museologia, in epoca moderna, è diventata la disciplina che affronta lo studio storico-artistico dei musei, che ha esteso il campo di indagine della storia dell’arte alla genesi della forma delle collezioni d’arte, d’archeologia, di etnografia e di tutti quei settori materiali che sono stati conservati nel corso dei secoli. Inoltre, il riconoscimento della funzione sociale, educativa e culturale del museo ha indotto a ricerche e studi sempre più vasti ed approfonditi sui criteri organizzativi del museo ad ogni livello scientifico, tecnico, gestionale, conservativo e di fruibilità, dando luogo alla disciplina della museografia.

La società è cambiata e si è trasformata con una velocità mai conosciuta nel passato, con un turismo sempre più sviluppato, con una crescita della richiesta di informazione e di servizi di carattere educativo-culturale a tutti i livelli, dal più generico al più specialistico. Ne è conseguito che un numero sempre più consistente di visitatori, anche non particolarmente preparato e informato, abbia cominciato a frequentare musei e siti archeologici.

La normativa in merito, fino ad allora, si era interessata molto più dell’aspetto di tutela e conservazione del bene, che non di quello divulgativo e dello sviluppo culturale. La Legge n. 1089/1939, che era stata il riferimento giuridico di tutta l’attività di tutela del patrimonio storico-artistico del Paese, non dava risalto specifico agli aspetti organizzativi e gestionali dei musei e dei monumenti, soprattutto per quanto riguarda la fruizione pubblica degli stessi. Si dovrà giungere agli anni Settanta e Ottanta del Novecento per assistere ad un grande dibattito sulla necessità del rinnovamento del museo italiano e del miglioramento dei servizi offerti al pubblico, considerandolo sempre più una struttura di servizio, piuttosto che un contenitore di opere. L’attenzione si sposta allora sugli aspetti organizzativi e gestionali, in un contesto più generale di rivisitazione dei compiti della Pubblica Amministrazione. Negli anni Novanta prende l’avvio un processo di riforma che interverrà sia sui principi informatori dell’azione pubblica, sia sulla ripartizione delle competenze tra Stato ed Enti Territoriali, sia sul rapporto di pubblico impiego.

Con la Legge 241/1990 emerge una nuova filosofia alla base del rapporto della Pubblica Amministrazione con il cittadino, improntata sulla trasparenza e l’informazione e si rinnovano le regole del procedimento amministrativo, creando le premesse per un processo di aziendalizzazione della Pubblica Amministrazione che dovrà ispirarsi ai principi di economicità ed efficienza, principi che influenzeranno sempre più anche il settore della gestione del patrimonio culturale.

Sempre nei primi anni Novanta, è il ministro Ronchey a creare le premesse legislative ad un concreto ampliamento dei servizi offerti al pubblico con un primo D.L. 14 novembre 1992, n. 433, poi convertito nella Legge 14 gennaio 1993 n. 4, che dotava i musei non solo di orari prolungati ma anche di una serie di “servizi aggiuntivi” (libreria, servizi di riproduzione, di didattica, di ristorazione, ed anche di biglietteria ed eventuale vigilanza) che potevano essere dati in concessione a privati. Si afferma dunque il concetto che la principale ragion d’essere dei musei e dei siti archeologici e della stessa attività di conservazione del patrimonio è la loro fruibilità, la loro capacità di offrire un servizio culturale al pubblico.

Parallelamente, in questi anni, si è dato anche un forte impulso alla discussione sul superamento del cosiddetto “museo-ufficio”, sulla opportunità, cioè, di concedere autonomia gestionale ai musei e alle principali Soprintendenze. La Legge 8 ottobre 1997, n. 352 ha assegnato autonomia finanziaria e amministrativa alla Soprintendenza di Pompei, mentre ai sensi dell’art. 8 del D.L. 368/98 vengono istituite la Soprintendenza Archeologica di Roma (con D.M. 22/05/2001) e i quattro Poli Museali di Roma, Napoli, Firenze e Venezia (con D.M. 11/12/2001).

In applicazione e nello spirito delle leggi Bassanini del 1997 sul decentramento, con il D.L. 112/98, si è previsto il passaggio della gestione dei musei statali alle Regioni, ribadendo la distinzione tra la funzione di tutela che resta esclusiva prerogativa dello Stato, e le funzioni di gestione, valorizzazione e promozione che possono essere trasferite agli Enti locali, e possono così essere oggetto di normativa anche delle Regioni. Questo passaggio viene poi definito con il D.L. 112/1998, che all’art. 150 comma 1 stabilisce che “una Commissione paritetica composta da cinque rappresentanti del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali a da altrettanti degli enti territoriali nominati dalla Conferenza unificata dovranno individuare i musei o altri beni culturali statali la cui gestione rimane allo Stato e quella per i quali essa è trasferita alle Regioni, alle Province o ai Comuni”; il comma 6 stabilisce anche che “il Ministro per i Beni Culturali, con proprio decreto determina i criteri tecnico-scientifici e gli standard minimi per garantire un adeguato livello di fruizione collettiva dei beni, della loro sicurezza e la prevenzione dei rischi”. Tale documento è il decreto ministeriale del 10 maggio 2001 dal titolo “Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei” scaturito dalla concertazione tra il Ministero per i beni e le attività culturali e gli Enti territoriali. Destinatari di tale documento non sono solo gli enti locali ma tutti i soggetti gestori, gli enti ecclesiastici, i privati e le università. La materia è stata ripartita in otto ambiti di riferimento o “ambiti funzionali”, che affrontano tutte le specifiche problematiche di “sicurezza” (I, II, IV, VI, VIII), di “prevenzione rischi” (III, V), di “adeguato livello di fruizione collettiva del bene” (VII). Questo documento è dunque espressione dell’evoluzione culturale avvenuta nel sistema di gestione del patrimonio culturale italiano, e di quanto oggi si sia modificato il concetto stesso di museo.

La legge costituzionale n. 3/2001, che modifica il Titolo V parte II della Costituzione, decretava la potestà regolamentare delle Regioni individuando, tra l’altro, ventidue materie, tra cui la valorizzazione dei beni culturali, sulle quali veniva prevista una competenza legislativa sia dello Stato che delle Regioni. L’insieme delle innovazioni giuridiche in materia di beni culturali è stata tale che si è sentita l’esigenza di raccoglierle nel T.U. 490/99, dove il museo così viene definito: “Struttura comunque denominata organizzata per la conservazione, la valorizzazione e la fruizione pubblica di raccolte di beni culturali”.

E’ così ribadito il concetto che ogni museo affianca al dovere della conservazione del proprio patrimonio la missione, rivolta a varie e diversificate fasce di utenti, di rendere possibile la fruizione a scopo educativo, culturale, ricreativo ed altro ancora. Interpretare il suo patrimonio e renderlo fruibile da parte dei visitatori, esponendolo, è dunque parte integrante della sua ragion d’essere. L’accostamento al museo deve mettere in grado il visitatore di goderne come un evento particolarmente appagante non solo in quanto fattore di crescita culturale, ma anche in quanto momento privilegiato della fruizione del tempo libero e valido complemento delle più consuete attività ricreative. Per questo esporre fisicamente i pezzi non basta a raggiungere l’obiettivo di una comunicazione culturale corretta. L’importante sarà far emergere la ragione per la quale si espongono le opere, ossia di trasmettere cultura.

Negli ultimi anni si è avuto sicuramente uno sviluppo straordinario delle discipline tecnico-scientifiche. Queste hanno permesso di avere dei musei con dei sistemi avanzati dal punto di vista tecnico come illuminazione, impianti, allestimenti ma si è purtroppo rimasti fermi dal punto di vista di trasmettere cultura. Ne consegue che molti musei oggi sono vuoti o scarsamente visitati, mentre assistiamo sempre più allo straordinario successo che hanno le mostre. Il motivo principale di tutto ciò è nella scelta del linguaggio che è fondamentalmente diverso; la mostra infatti adotta un linguaggio “adescante” e, quale evento episodico, si rivolge a qualsiasi mezzo per raccogliere visitatori. Si delinea dunque una vera e propria crisi del sistema museale italiano e per questo occorrerà cominciare a realizzare esposizioni idonee a comunicare, instaurando un dialogo con il pubblico e trasformando la visita in una esperienza unica, di sensazioni forti, di cultura. L’esposizione pubblica è rivolta a tutte le categorie di utenti, appartenenti o no alla sfera di influenza culturale del museo. La scelta del linguaggio diventa dunque fondamentale e dovrà oscillare fra due livelli paralleli che si rivolgono l’uno ad un pubblico per nulla preparato, l’altro a un pubblico che non necessita di una introduzione generica. Ci si dovrà agganciare alla realtà, ai fatti e alle cose per riuscire a divulgare in toto il concetto che si vuole esprimere attraverso l’allestimento di una raccolta museale. Nella maggior parte dei musei d’arte il materiale esposto si presenta in modo tale da far ritenere che la scelta culturale che il museo adotta nella musealizzazione sia la negazione della socialità e della storicità del prodotto artistico in quanto tale, assolvendo alla sola funzione di educazione estetica. Il museo, affinché possa essere rivolto a tutti, dovrà invece essere tale da riportare ogni fenomeno artistico alle ragioni sociali e storiche che lo hanno permesso e generato, utilizzando il proprio materiale non solo in chiave estetica ma anche in chiave umana, per giungere cioè a una ricostruzione storica e sociale del fenomeno che può essere la base di partenza dell’educazione artistica di una comunità.

Affinché il messaggio culturale possa essere reso esplicito e il più chiaro possibile si dovrà dunque procedere allo studio attento delle modalità di trasmissione di tale messaggio ed alla individuazione della sua esecuzione pratica che si attua soprattutto attraverso l’esposizione e l’inserimento degli oggetti in tematiche che si svolgono lungo il percorso espositivo tenendo sempre presente che il museo non è soltanto la sede di esposizione degli oggetti (opere d’arte, reperti archeologici o materiali di altra natura), ma anche un luogo di conservazione, di catalogazione scientifica, di esposizioni temporanee, di attività di restauro, etc. Altro problema da rilevare è che oggi mancano, così sembra, gli strumenti adeguati per fare sì che le amministrazioni pubbliche dei beni culturali e le università possano usufruire di utili scambi, soprattutto nel settore degli stage o dei tirocini per laureati e laureandi che possano facilitarne l’inserimento lavorativo.

Al di là di quelle che possono essere le indicazioni specifiche per migliorare la situazione museale  in Italia, credo ci siano dei punti da tenere ben presenti e che dovranno essere sviluppati:

1) fare in modo che qualsiasi azione museologica e museografica incidi non tanto sulla natura del museo, quanto sulla sua attività e sulle sue finalità;

2) effettuare una continuità di interventi che permetta non tanto la realizzazione di attività episodiche, quanto invece una gestione ordinaria, una manutenzione continua, che dia al museo la possibilità di contare su dotazioni finanziarie che permettano la strutturazione e la programmazione del lavoro e dell’attività culturale;

3) affidare tali compiti a organi sempre più capaci e specializzati.

La tendenza in atto, cioè quella di affidare ai privati la gestione di un museo, ha avuto da poco la sua consacrazione con l’entrata in vigore con D.l.vo n. 42/2004 - Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. La normativa chiama esplicitamente i privati non solo nella gestione dei servizi collaterali ai beni culturali, già consentita tra l’altro dalla legge Ronchey, ma nella gestione diretta dei beni stessi, a cominciare dai musei appunto. I privati potranno così intervenire grazie agli “affidamenti” o alle “concessioni”: l’“affidamento” può essere dato a fondazioni, associazioni, consorzi, società di capitali e altri soggetti, purché abbiano una prevalente partecipazione dell’amministrazione pubblica cui appartiene il bene; la “concessione”, invece, può essere data “a terzi”, mediante valutazione comparativa sulla base dei progetti presentati. In questo modo il Codice va ben oltre la legge di riferimento del 2002 che apriva i musei alle sole fondazioni e ben oltre la legge Ronchey che limitavano la presenza dei privati a taluni servizi. Si è inoltre potenziata la possibilità di sponsorizzazione, anche se in forme compatibili con il carattere artistico e storico, l’aspetto e il decoro del bene da valorizzare.

Quello che si prospetta, dunque, è la possibilità di avere dei musei gestiti come vere e proprie imprese economiche, ma se la gestione di un’impresa ha lo scopo di dare un rendimento economico, la gestione del bene culturale, invece, ha come fine quello di promuovere la ricerca, l’avanzamento e la diffusione delle conoscenza che è essenziale sia per la tutela sia per valorizzare in modo corretto il patrimonio culturale. Questo non significa, però, che il patrimonio considerato non debba avere una ricaduta economica, la quale del resto non può essere valutata sulla base del rendimento diretto del singolo bene, ma deve dare l’impulso affinché si possa sviluppare l’attività turistica e i vari settori dell’industria culturale. Inoltre, la gestione del museo deve avvenire in modo efficiente e funzionale con la preminenza della finalità culturale su quella economica. Se quest’ultima dovesse prevalere ci troveremmo di fronte ad un’impresa che commercia i propri beni, nel caso dei musei opere d’arte, e col rischio di avere dei musei sempre più generici e separati dal territorio di cui sono espressione. Non a caso nel nostro ordinamento statale il museo si è sempre identificato con la soprintendenza territoriale a dimostrazione dello stretto legame tra le funzioni esercitate sul territorio e nel museo. Non bisogna, però, demonizzare il privato, né tanto meno sottovalutare i problemi economici, ma riaffermare una coscienza pubblica in campo culturale, perché il bene culturale è interesse di tutti e come tale deve essere tutelato.

C’è da dire che l’introduzione di più moderne forme di gestione dei servizi derivati dalla legge Ronchey ha sicuramente rivitalizzato importanti funzioni di assistenza e di servizio al pubblico che ha permesso di dare anche un’immagine dei nostri musei più adeguata ai tempi, ma è avvenuto che i maggiori introiti che ne sono derivati non sono stati destinati ad investimenti di carattere culturale (ossia alla ricerca e allo studio), ma sono serviti per fare fronte al taglio di finanziamenti per spese di gestione, utenza, servizi, etc., rispondendo così più alle esigenze di riduzione della spesa pubblica che non di potenziamento culturale. Nella gestione di un museo vi è una profonda differenza tra spese e ricavo tali che non si può in nessun modo pensare ad una redditività diretta. E’ essenziale garantire una gestione che veda impegnate, ma sotto una direzione che dia la prominenza all’obiettivo culturale, diverse competenze. C’è la tendenza a prendere come modello per i musei italiani la gestione dei musei di altri paesi che hanno un carattere in qualche modo cosmopolita, ma i musei italiani sono una cosa molto diversa in quanto sono generalmente la testimonianza di una realtà regionale, di una tradizione culturale, di una scuola di cultura, ognuno ha cioè, una fisionomia culturale precipua.

Tale caratteristica si potrebbe perdere se si pensasse di gestire i musei con un criterio che tendesse in qualche modo ad appiattire questa specificità in nome di una gestione economica che, ad esempio, si fondasse solo ed esclusivamente sul vendere, comprare, scambiare.