inserito in Diritto&Diritti nel dicembre 2004

Sussulti di illegittimità sul gratuito patrocinio : reddito effettivo e reddito apparente.

di Claudio Cutrano

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Il d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115 applica la disciplina sul patrocinio a spese dello Stato anche per assicurare, ai cittadini non abbienti, la difesa davanti le Commissioni tributarie, ma ciò che attira la particolare attenzione è la previsione delle condizioni di ammissibilità, commisurate al “reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione del reddito” (art. 76), non al reddito effettivo conseguito nell’anno, così da legare la verifica della stato di indigenza ad una realtà apparente e non quella reale.

Già nell’art. 76 si evidenzia una discrasia fra il primo comma, che discute di reddito dichiarato, ed il secondo comma che, invece, si riferisce al reddito conseguito, senza tenere conto che le diversa terminologia dà adito a pensare a due redditi fra loro diversi ed eterogenei.

Per “conseguito” si intende, anche in senso terminologico, quanto è entrato nella piena disponibilità del cittadino, al netto di ogni onere incidente previsto per legge, quindi detratte le imposte e senza le finzioni giuridiche che, se pur valide ed operanti dal punto di vista strettamente fiscale, non spiegano alcuna rilevanza sulla effettività del reddito.

Da un punto di vista strettamente terminologico, se la “abbienza”, il cui sinonimo è la “possidenza”, corrisponde allo stato di colui cheè in possesso di una certa ricchezza e vive agiatamente” ovvero che “possiede mezzi finanziari sufficienti per vivere con una certa agiatezza”, il termine “povertà” identifica, invece, lo stato di colui che “non dispone di scarsi mezzi di sussistenza o non ha sufficienti risorse economiche”.

Ne discende che lo stato di povertà è, di certo, costituisce un fenomeno sociale maggiormente pregnante dello stato di “non abbienza” cui si riferisce il legislatore, poiché una cosa è non disporre di mezzi sufficienti (non abbienza) ed un’altra esserne privo (povertà).

La “indigenza”, poi, corrisponde ad uno stato di povertà assoluta, cioè una situazione di insoddisfazione e di frustrazione derivante dall'impossibilità o difficoltà economica di realizzare qualsivoglia esigenza avvertita come urgente” ovvero in una “impossibilità economica” assolutamente oggettiva.

Ne consegue, come corollario, che si può essere “non abbienti” ma non versare in “povertà” e che, essendo poveri si è certo non abbienti.

Il d.p.r. 115/2002, però, si riferisce soltanto allo stato di “non abbienza” che, in termini relativi, non costituisce una condizione permanente e prescinde dalla possidenza mobiliare del richiedente, nel senso che questi potrebbe anche essere riconosciuto ammissibile al beneficio, pur se titolare di redditi non esenti, bensì semplicemente non dichiarabili perché già tassati alla fonte ovvero perché soggetti a tassazione separata.

Basti pensare che tutti gli incentivi statali, quali l’assegno di maternità finalizzato all’incremento della natalità, vengono riconosciuti in relazione ad uno stato di bisogno legato ad un reddito molto superiore alla soglia fissata dal d.p.r. 115/2002!

Il riferimento al “reddito dichiarato”, piuttosto che al reddito reale, cioè effettivamente conseguito ed al netto degli oneri obbligatori che ne discendono, tradisce la stessa ratio e la finalità della legge, posto che riconosce il beneficio ad una condizione patrimoniale o reddituale del richiedente “non abbiente” al quale, per logica, dovrebbe essere attribuito una imputazione di reddito superiore al ceto “povero” : questi riconosciuto tale se non supera il limite legislativo in materia, ma escluso dalla agevolazione ove, pur in tale circostanza, abbia un reddito superiore al tasso limite previsto dalla d.p.r. 115/2002 citato.

La normativa, inoltre, introduce seri dubbi di legittimità, nella parte in cui, soggiacendo a disposizioni tributarie che comportano la soggezione o meno agli obblighi della dichiarazione, creano una aperta disparità di trattamento fra soggetti in eguale situazione ma sottoposti ad obblighi diversi ed ove, ancora, si rende applicabile in riferimento ad un reddito apparente e non effettivo.

Infatti, come semplicisticamente novellata, la disposizione evidenzia un contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non tiene conto della differenza sostanziale che esiste fra “reddito apparente” e “reddito effettivo” del cittadino : l’uno nascente da disposizioni di portata meramente fiscale e l’altro costituente l’effettiva entità della misura finanziaria di cui gode il cittadino per il mantenimento proprio e dei familiari.

Tale differenziazione, non solo terminologica, si evidenzia anche nella stessa novellazione dell’art. 76, laddove, al primo comma, si fa riferimento al reddito risultante dalla dichiarazione (reddito apparente), mentre al comma secondo al cumulo del “reddito conseguito” (reddito effettivo) dall’istante e dai familiari conviventi.

Ed e’ proprio il diverso significato che se ne trae nel rapporto fra apparenza ed effettività, che la norma non può considerare, come parametro di riferimento, il “reddito dichiarato”, essendo questo soggetto a ablazioni, abbattimenti o maggiorazioni fittizie dettate da norme di natura e portata solo fiscale e che nulla hanno a che vedere con il reddito effettivo del cittadino (reddito conseguito).

Come testualmente disciplinato, il primo comma dell’art. 76 crea ipotesi di disparità di trattamento fra cittadini in eguale situazione reddituale, ammettendo l’uno e non l’altro in dipendenza di una diversa disciplina fiscale cui sono soggetti.

Ciò in quanto il comma terzo dell’art. 76, imponendo di tenere conto ai fini del limite di ammissione, anche dei redditi esenti, non esclude le deduzioni dal reddito, cioè degli oneri deducibili che condizionano notevolmente il reddito imponibile.

Basti pensare al cittadino che, proprietario dell’appartamento ove abita, dichiara un reddito di fabbricati, ma gode di una deduzione di pari misura, quindi con un reddito imponibile non influenzato dalla capacità patrimoniale effettiva, diversamente da altro cittadino che, pur avendo ereditato un immobile di minor valore e non ancora abitandolo, dichiara un reddito imponibile maggiore e viene escluso dal gratuito patrocinio, pur meno abbiente.

Eguale disparità si verifica fra due cittadini, con eguale reddito di lavoro dipendente, da dei quali l’uno, diversamente dall’altro, ha anche goduto di ingenti arretrati di lavoro dipendente, non esenti (come previsto dalla norma), con la conseguenza che, avendo maggiori deduzioni dal reddito (per esempio una polizza vita) sarebbe ammesso al gratuito patrocinio, diversamente dal secondo che non ha capacità di pagare un premio assicurativo.

Ed ancora, salvo a non volere aprioristicamente escludere gli esercenti attività soggetta a Parametri o Studi di settore, non si può ipotizzare l’inesistenza della stato di non abbienza solo per la scelta di essersi adeguato, in sede di dichiarazione dei redditi, alla misura minima del reddito di attività che, costituendo una finzione giuridica, nulla ha a che vedere con l’effettività del reddito conseguito. Non può escludersi, infatti, che un esercente attività di tal genere, per qualsivoglia ragione, si trovi senza clientela e produca un reddito annuale minimo, inferiore al limite di soglia, ma essendosi adeguato all’apparente reddito fiscale, viene escluso dal gratuito patrocinio.

Così accade che due cittadini esercenti l’identità attività professionale, pur adeguandosi agli Studi di settore, per mera scelta fiscale, l’uno viene escluso mentre l’altro, poiché di minore anzianità professionale, essendo soggetto ad un adeguamento minimo del reddito professionale, rientrerebbe nel gratuito patrocinio.

Le condizioni di indigenza di un cittadino non possono patire gli effetti di una norma fiscale, laddove non tenga conto delle mutevoli e numerose circostanze che portano ad un reddito imponibile maggiore o minore, a seconda di presupposti estranei alla effettiva capacità reddituale del singolo, generando una mera apparenza contraria alla ratio ed alla stessa finalità della norma.

Claudio Cutrano

(Palermo)