inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2001

Il MVNO, l’oligopolio paneuropeo e il diritto di servitù all’accesso

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Di Federico Cona

E_mail: fcona@inwind.it

Con la delibera 544/00 l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni affronta la questione relativa all’eventuale regolamentazione di una nuova categoria di operatori nel comparto radiomobile, indicata con terminologia anglosassone in Mobile Virtual Network Operator.

Le determinazioni raggiunte nell’agosto del 2000 sono state precedute da un’ampia consultazione fra i diversi player presenti sul mercato.

Il dibattito sviluppatosi intorno al concetto di MVNO alle soglie dell’introduzione della tecnologia a banda larga ci consente, al di là della determinazione finale dell’Autorità, di esercitarci da un lato nel tentativo di un inquadramento giuridico della fattispecie relativa all’accesso e dall’altro ci permette di evidenziare i contorni di un servizio, che rispetto a quanto consentito dalle prime applicazioni, presenta tratti di devastante diversità.

La chiave del successo futuro e al tempo stesso fondamenta della società dell’informazione sta in due parole: banda larga.

Rispetto ai sistemi di comunicazione wireline la struttura trasmissiva che maggiormente consente le prestazioni promesse da tale tecnologia è la fibra ottica; per ciò che attiene al wireless le soddisfazioni sono attese dai sistemi appartenenti alla famiglia dell’IMT-2000.

Il contesto disegnato dalle applicazioni garantite dalla terza generazione è tale da comportare una profonda modificazione delle esigenze stesse alla base della regolamentazione medesima.

Nel 1990 in un contesto giuridico monopolista la Sip eserciva commercialmente un servizio di traffico voce in un mercato tutt’altro fuorché di massa. Una legislazione di sostegno tesa a garantire la reale operatività dei principi concorrenziali ha accompagnato l’avvento dei sistemi GSM configurando così l’offerta dei primi servizi digitali a banda stretta. Una maggiore tensione verso l’applicazione di un modello normativo sempre più basato sui principi della pura concorrenza, la cornice regolamentare in cui si troveranno ad operare i licenziatari UMTS.

Le problematiche giuridiche poste dal dibattito sull’eventuale regolamentazione degli operatori virtuali assumono, in virtù del delicato momento in cui si pongono, un’estrema rilevanza rispetto a quello che dovrà essere il futuro quadro normativo di settore.

L’attenzione del regolatore deve essere primariamente rivolta all’acuta osservazione dei riflessi sulla società civile che il rapido progresso tecnologico sta producendo, con la consapevolezza che è questo lo snodo in cui si celano le maggiori difficoltà.

Difatti finora un servizio di comunicazione mobile ha coinciso con la crescita e la diffusione, particolarmente penetrante in Italia, di un servizio di traffico quasi esclusivamente vocale in forza della limitata capacità trasmissiva consentita dai 9 Kbs.

Rispetto al profilo della capacità di trasmissione, la banda larga su tecnologia radio comporta una moltiplicazione dei servizi disponibili con la conseguenza di rendere il “trasporto voce” se non la cenerentola quanto meno uno dei servizi meno remunerativi dell’ampia gamma delle applicazioni consentite.

Non vi è chi non senta come dal sistema si levi la richiesta, udibile solo all’orecchio del giurista, della necessaria riconsiderazione delle coordinate regolamentari di un servizio commerciale di estremo rilievo nell’ambito della realizzazione di quella società dell’informazione cui il legislatore comunitario tende dall’avvio del processo di liberalizzazione.

La delibera in questione affronta il tema relativo all’introduzione della figura dell’operatore virtuale di rete mobile e delle conseguenze sul mercato dell’avvio di una loro offerta commerciale, appuntando la propria attenzione per quanto concerne all’aspetto regolamentare alle modalità di accesso di questi ultimi alla rete radiomobile degli operatori in possesso di radiofrequenze.

Difatti un operatore virtuale viene definito come quel soggetto in tutto e per tutto assimilabile al MNO, con la differenza di non possedere frequenze e infrastrutture di rete.

Ma la figura dei virtuali sembra non esaurire la filiera dei nuovi soggetti che nel comparto radiomobile potrebbero affiancarsi all’operatore classico.

Operando un ardito ma necessario tentativo classificatorio l’Authority individua alcuni operatori che a vario titolo potrebbero, nel rivoluzionato quadro dell’offerta commerciale radiomobile prossima, diversificare il loro core business e puntare alla conquista di alcune nicchie di un mercato che spazia dal telelavoro ad internet mobile.

L’ampolla dei soggetti individuati contiene dagli operatori classici quali i fornitori di accesso indiretto fino ai semplici rivenditori di traffico, per includervi le categorie fondamentali dei fornitori di contenuti e dei fornitori di applicazioni.

L’elemento discretivo fra i vari soggetti sembra riposare da un lato sul possesso o meno di alcune caratteristiche, quali la dotazione di un arco di numerazione, la possibilità di emettere proprie carte SIM e dal livello di indipendenza nello svolgimento del servizio dall’operatore classico e dall’altro su quale titolo abilitativo si renda necessario reperire per l’offerta del servizio medesimo.

La sensazione che si ricava dalla lettura fornita dall’Authority dei possibili soggetti interessati ad inserire la propria offerta commerciale nel comporto mobile non è certo ascrivibile ai criteri di ordine e razionalità ma soprattutto non sembra orientata da un principio catalizzatore.

Per quanto una disamina degli operatori interessati ad arricchire, a diversi livelli della catena del valore l’offerta radiomobile, rappresenti un proficuo ambito d’indagine, la questione giuridicamente di maggior pregio attiene alla regolamentazione dell’accesso.

Intorno al tema si è acceso un interessante dibattito che la rivista “Beltel” ha ospitato in diverse riprese permettendo una circolazione delle informazioni non relegata alla ristretta cerchia dei tecnici.

In termini essenziali la questione ruota intorno alla possibilità o meno di sostenere l’accesso fisico al mercato dei virtuali tramite un intervento regolamentare che fissi determinate condizioni economiche per l’utilizzo delle infrastrutture radiomobili dei MNO.

Nell’ambito della suddetta discussione appaiono condivisibili le ragioni sostenute sia dall’uno che dall’altro schieramento, se non fosse che proprio per le modalità in cui viene presentata, la questione sembra mal posta.

Se da un lato i sostenitori dell’accesso regolamentato sono convinti che negoziazioni su base commerciale non garantiscano condizioni eque e non discriminatorie, i fautori dell’accordo commerciale soffermano la propria attenzione sia sugli effetti negativi che misure di “accesso sostenuto” avrebbero in termini di disincentivi sulla costruzione delle infrastrutture dei licenziatari, sia più in generale richiamando l’attenzione sul rischio di trasformare una misura proconcorrenziale transitoria, quale il  roaming orientato, in una strutturale permanente tradendo in definitiva lo spirito stesso della legislazione asimmetrica.

La questione deve ruotare intorno alla modalità preferibile secondo gli obiettivi della regolamentazione della disciplina dell’accesso di tutti i futuri servizi di telecomunicazioni che utilizzino la tecnologia radio come struttura trasmissiva.

Di fatti a seguito della rivoluzione digitale a banda larga la totalità dei servizi di telecomunicazioni conviene la si riduca nelle due categorie individuabili dalla struttura trasmissiva: fisica o radio.

La disciplina dell’accesso alle infrastrutture fisiche non può essere estesa alle infrastrutture radio in quanto le due modalità pongono questioni differenti.

Nelle strutture fisiche liberalizzato l’ultimo miglio e realizzata una convergenza tecnologica di massa, l’accesso dovrà esser negoziato e le eventuali distorsioni sotto il profilo concorrenziali comunque contenute entro le maglie della normativa antitrust.

Non vi è chi non veda come accedere alla fornitura di un servizio attraverso  l’infrastruttura di un operatore di rete fissa non sia comparabile con l’accesso ad una infrastruttura mobile, in quanto in forza delle caratteristiche delle tecnologie radio queste presentino un’ulteriore collo di bottiglia, costituito dalla dotazione del bene frequenze.

L’accedere alla possibilità di offrire un servizio di comunicazione mobile diviene in regime di banda larga lo snodo principale di tutta e per tutta la regolamentazione del mobile.

Le tecnologie radio presentano la rilevante limitazione costituita dalla scarsità del bene frequenze: il mercato derivato di queste diviene la condizione primaria per garantire meccanismi di accesso trasparenti.

Se il legislatore comunitario non adotterà al più presto (e le vicende delle TLC ci insegnano come fra adozione di un provvedimento ed effetti di questi sul mercato trascorra un lasso di tempo spesse volte eccessivo) una politica comune di armonizzazione dello spettro radio, il mercato mobile assumerà sempre più la fisionomia di una struttura di tipo feudataria.

Di fatti in ciascuno Stato membro, rispetto alla telefonia di seconda generazione, operano un numero di operatori ricompresi fra le tre e le quattro unità, di cui almeno uno è costituito dall’ex monopolista.

La creazione di un mercato paneuropeo ha avuto come conseguenza (soprattutto in riferimento alla terza generazione) che molti operatori nazionali estendessero il proprio business oltre confine, attraverso joint-venture o partnership a diversi livelli. Il risultato finale si è concretizzato nell’esistenza di una ristretta cerchia di potentati che controllano direttamente o indirettamente il mercato europeo.

In attesa di una politica comune, armonizzata, che ridistribuisca in maniera efficiente lo spettro radio disponibile[1]si pone la questione della regolamentazione dell’accesso per tutti quei soggetti che non ne dispongono per carenza del medesimo.

In questa dimensione l’impostazione della questione in termini di roaming orientato come misura proconcorrenziale appare fuorviante.

Qui non si tratta più di favorire la crescita o meglio l’inserimento sul mercato dei relativi fornitori del servizio voce in ambiente mobile, bensì accedere ad un mercato che per dimensioni e vastità di servizi appare sovrapponibile se non maggiore di quello su postazione fisse. Si pensi allo sviluppo futuro di tutti quei servizi che solo la mobilità favorisce, dalla co-locazione alla domotica.

Ciò che subisce uno slittamento è il fuoco della regolamentazione.

Se l’obiettivo della normativa asimmetrica si riproponeva di tutelare i nuovi entranti dall’eccessivo potere degli operatori preesistenti, nell’ambito delle applicazioni a banda larga su tecnologia radio al centro dell’interesse va posto il cliente e segnatamente sotto il profilo di garantirgli un offerta commerciale più ampia possibile.

In quest’ottica i possessori di radiofrequenza, fra l’altro acquisite in tempi in cui lo straordinario successo dei terminali 2G non era lontanamente ipotizzabile almeno nelle dimensioni in cui si è verificato, divengono i guardiani dell’accesso dell’intero mercato tradendo per detta via gli obiettivi della liberalizzazione.

Il possesso stesso delle frequenze, per via della loro scarsità, pone i titolari dello spettro in una condizione di ingiustificato vantaggio. Le vicende del mercato italiano insegnano come non appartenga al DNA dei nostri operatori favorire lo sviluppo del mercato nel suo complesso. La diretta conseguenza è che i “guardiani” del servizio si ritrovino per tal via possessori delle chiavi per l’accesso a qualsiasi tipologia di offerta. L’ordinamento non può tollerare sperequazioni di tal portata. La strada della risoluzione della vicenda non trova altro sbocco che quello di ricostruire l’accesso alla stregua del diritto di servitù fra proprietà confinanti. Allo stesso modo come il passaggio sul terreno altrui si renda condizione necessaria per accedere alla propria proprietà, ugualmente per fornire il servizio è necessario rivolgersi ai MNO, che nella veste di unici possessori delle frequenze devono garantire l’uso del loro bene scarso a chiunque ne abbia i requisiti, secondo le determinazioni della normativa generale e a condizioni economiche orientate.

In merito l’Autorità decide nel senso di non decidere, non prevedendo per l intanto alcuna misura. L’auspicio è che nel breve possa rivedere la propria posizione.

In conclusione una duplice considerazione.

La prima in merito ad un’eventuale distinzione dei soggetti operanti nel mercato radiomobile. Sulla scorta delle considerazioni precedenti si individuano tre tipologie di operatori intorno ai quali costruire la relativa disciplina: possessori di frequenze; possessori di infrastrutture in ponti radio; fornitori dei servizi.

L’ultima considerazione riguarda l’assetto del mercato radiomobile nel suo complesso. Non vorremmo che il risultato di diversi anni di politica di liberalizzazione si traducessero in u passaggio da un monopolio pubblico nazionale ad un oligopolio privato sebbene europeo: non vorremo in ultima analisi essere costretti a rimpiangere la vecchia Sip, sarebbe una sconfitta troppo bruciante per tutti!


[1] Si pensi in merito, come sottolineato dall’Autorità nella stessa 544/00, che l’Italia è il paese europeo dove è stato allocato per i servizi mobili la minor porzione di spettro radio e, aggiungiamo noi, dove ancora una rilevante porzione dello stesso è ad uso dei sistemi di prima generazione.