inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2003

La successione delle leggi penali nella riforma del reato di bancarotta fraudolenta commesso mediante reati societari[i]

di Stefano Pugno

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La riforma del reato di bancarotta fraudolenta commesso mediante reati societari (la cui disciplina è contenuta nell’art. 223 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 - G.U. 6 aprile 1942, n. 81) attuata con d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 (in G.U. 2 luglio 2002, n. 153) ha particolarmente impegnato la dottrina e la giurisprudenza sulla problematica della successione delle leggi penali nel tempo. Sul rapporto tra vecchia e nuova formulazione, infatti, si sono registrate opinioni discordi che sembrano solo ora superate con la pronuncia delle Sezioni Unite 26 marzo – 16 giugno 2003, n. 25887 (Giordano).

Mentre con riferimento alle false informazioni sociali (reato tra quelli presupposti) la giurisprudenza costante ha optato per la continuità dell’illecito; in relazione al reato di bancarotta si è aperto un ampio dibattito nell’applicazione dell’art. 2 c.p. che ha portato a rimettere la questione dinanzi alle Sezioni Unite a poco più di due anni dall’entrata in vigore della riforma.

La questione, come è noto, riguarda la seguente domanda: il nuovo reato di bancarotta fraudolenta (commessa mediante false informazioni sociali) ha abrogato la vecchia condotta di bancarotta fraudolenta (così come disciplinata dalla legge del 1942) o ha realizzato una abrogatio sine abolitione? In altri termini, quale norma è applicabile per i fatti commessi prima dell’entrata in vigore della riforma: art. 2, secondo o terzo comma, c.p.?

L’art. 2 c.p., che disciplina il fenomeno della successione delle leggi nel tempo, è formulato in modo chiaro: irretroattività della norma penale sfavorevole (art. 2, secondo comma, c.p.); retroattività della norma penale favorevole (art. 2, secondo comma, c.p.). L’abrogazione di una fattispecie di reato produce cioè la cessazione dell’esecuzione e degli effetti della sentenza di condanna, anche se avente autorità di giudicato. Una mera modificazione della fattispecie comporta invece l’applicazione della legge più favorevole al reo, col limite del giudicato.

Per maggiore chiarezza, occorre richiamare l’attenzione sul fatto che un fenomeno di successione di leggi nel tempo non si ha solamente nel caso di modificazione del trattamento sanzionatorio di un reato, ma anche nelle ipotesi di nuova incriminazione e di abolizione di una incriminazione.

L’applicazione di tali principi – sufficientemente chiari da un punto di vista logico – risulta nella pratica però particolarmente problematica.

Si tratta di una difficoltà già evidenziata in sede di interpretazione delle leggi di depenalizzazione (l. 689/1981; l. 205/1999), della riforma dei reati tributari (d.lgs. 74/2000), e, da ultimo, della riforma dei reati societari (d.lgs. 61/2002).

Il cuore del problema è evidentemente quello di individuare i criteri per stabilire se via sia o meno una soluzione nella continuità della rilevanza penale del fatto: nel primo caso vi sarà abolitio criminis della vecchia fattispecie; nel secondo caso abolitio sine abrogatione, ossia una mera modificazione della disciplina.

Sotto questo profilo, è necessario chiarire da subito che un fenomeno del genere può verificarsi solo se tra la vecchia e nuova fattispecie sia configurabile un rapporto di identità o di specialità. Se le due fattispecie sono eterogenee si avrà invece abolitio criminis per la vecchia figura di reato e nuova incriminazione per il reato di cui alle legge successiva.

Da un punto di vista generale, si ha specialità quando una norma (cd. speciale) presenta tutti gli elementi di un’altra (cd. generale) con almeno un elemento in più. È il caso dei cerchi concentrici: la fattispecie speciale è contenuta nella fattispecie generale (si pensi ad esempio ai rapporti tra reato di sequestro di persona e di sequestro a scopo estorsivo, la prima fattispecie ne rappresenta il genus rispetto alla seconda che ne è una species). Si ha specialità reciproca, invece, allorché nessuna norma è speciale o generale, ma ciascuna è allo stesso tempo generale e speciale. È il caso dei cerchi intesercantisi: ciascuna fattispecie ha nei confronti dell’altra elementi in comune ed elementi di differenziazione (si vedano i casi di aggiotaggio e di aggiotaggio societario: entrambi richiedono atti di aggiotaggio ma il primo richiede un dolo specifico in luogo di un dolo generico; il secondo richiede che il fatto sia commesso da un soggetto qualificato invece che da chiunque).

Qualora sussista un rapporto di identità o di specialità, secondo l’insegnamento della dottrina e della giurisprudenza, possono essere utilizzati tre criteri per stabilire se vi sia o meno soluzione di continuità della fattispecie: a) la doppia punibilità in concreto; b) l’analisi formale – strutturale dei reati; c) l’analisi sostanziale – valutativa dei reati.

Per il primo criterio si ha continuità della fattispecie qualora il fatto concreto oggetto di cognizione da parte del giudice possa essere sussunto sia nella fattispecie disciplinata dalla legge anteriore che nella sua successiva modificazione. La giurisprudenza dominante considera tale criterio inutilizzabile perché comporterebbe il rischio di violazione del principio di irretroattività sancito dalla Costituzione (art. 25, secondo comma, Cost.). Se infatti l’operazione di confronto tra le fattispecie si risolve nel sussumere il fatto concreto commesso antecedentemente all’entrata in vigore della legge ad un momento successivo, e cioè con riferimento alla nuova legge, tale operazione si presenta come insostenibile sotto il profilo costituzionale. In proposito, si veda la presa di posizione delle Sezioni Unite con la decisione dell’ottobre 2000 (Di Mauro) con riferimento al reato di cui all’art. 2 del d.lgs. 74/2000 (“Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”) e del 9 maggio 2001 (Donatelli) in relazione al reato di cui all’art. 22, comma 10, d.lgs. 286/1998 (“Utilizzo di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno o con permesso scaduto, revocato o annullato”).

Secondo la dottrina e la giurisprudenza sono di gran lunga da preferirsi i criteri di analisi strutturale e valutativa delle fattispecie. Ma, nonostante la premessa sia condivisa, le soluzioni accolte divergono notevolmente.

Il criterio formale – strutturale si fonda sul confronto tra gli elementi del vecchio e del nuovo reato. Il criterio sostanziale – valutativo ha ad oggetto invece la tutela del bene giuridico e le modalità di aggressione del bene.

La prima sentenza in cui i giudici hanno esposto una compiuta teoria sulla utilizzazione di tali criteri è la decisione della Sezione V del 16 ottobre 2002 (Tosetti). In essa i giudici hanno osservato che il criterio di analisi valutativa “lascia margini eccessivi di discrezionalità applicativa, come tutti i criteri che richiedono valutazioni sostanzialistiche”; il criterio di analisi strutturale presta il fianco ad un serie di critiche in quanto “la maggiore affidabilità sul piano della certezza giuridica […] può denunciare costi elevati sia sul piano dell’equità sia sul piano della coerenza sistematica”.

Ciò premesso, i giudici indicano quale sia la strada da seguire. Da un punto di vista generale, la successione di leggi nel tempo si verifica nei seguenti tre casi: 1) il mero inserimento di una nuova fattispecie, senza esplicita abrogazione di quelle preesistenti; 2) la mera abrogazione di norme senza introduzione di nuove incriminazioni; 3) l’abrogazione di una norma con contestuale introduzione di una norma sostitutiva.

Nel primo caso (mero inserimento di una nuova fattispecie, senza esplicita abrogazione di quelle preesistenti) si ha abolitio criminis se la legge successiva ha inserito una norma generale: in ragione del principio di irretroattività, infatti, la nuova norma non sarà comunque applicabile ai fatti commessi in precedenza. Se viceversa è stata inserita una fattispecie speciale sarà applicabile la disciplina tra quella generale e speciale più favorevole al reo.

Nel secondo caso (mera abrogazione di norme senza introduzione di nuove incriminazioni) occorre distinguere se si presenta un rapporto di specialità per specificazione o per aggiunta (si pensi ai rapporti tra reato di attentato contro il Presidente della Repubblica e offesa alla libertà della Presidente della Repubblica, la prima fattispecie è generale, la seconda è speciale per specificazione in quanto la condotta di offesa alla libertà era già di per sé ascrivibile a quella di attentato; si vedano inoltre i rapporti tra sequestro di persona e sequestro a scopo estorsivo: le condotte sono identiche, ma la seconda si caratterizza rispetto alla prima per la presenza del dolo specifico, che ne rappresenta quindi l’aggiunta). Se la norma abrogata è generale sia nell’uno che nell’altro caso si avrà una abolitio criminis totale. Se è abrogata una norma speciale per specificazione si applicherà la legge più favorevole al reo in quanto la norma generale comprende al suo interno anche quella speciale, come già più sopra precisato. Se invece è abrogata una norma speciale per aggiunta occorre distinguere poiché la norma generale non è riferibile a una classe di oggetti necessariamente comprensiva di quella definita da quella speciale. Dinanzi a ciò i giudici ritengono sia possibile temperare la portata del criterio di analisi strutturale (fin’ora utilizzato) con quello valutativo, e facendo ciò concludono nel senso di ritenere esistente una abolitio criminis nella misura in cui “un maggior peso assumano gli elementi cui si ricolleghi una valutazione di maggiore gravità della fattispecie”. Se la fattispecie generale preesistente presenti profili di offensività di minor peso l’intervento legislativo sarà qualificato come abolitio criminis.

Se, viceversa, era meno gravemente sanzionata la fattispecie speciale abrogata, l’intervento legislativo sarà qualificato come abrogatio sine abolitione.

Nel terzo caso (“abrogazione di una norma con contestuale introduzione di una norma sostitutiva”) occorrerà applicare i principi appena esposti se la nuova fattispecie è omogenea rispetto a quella preesistente; altrimenti, nel caso di eterogeneità (e quindi di assenza di rapporto di specialità) si avrà abolitio criminis, come già evidenziato.

In definitiva, secondo i giudici, un’abolizione parziale “può aversi solo nel caso di specialità per specificazione. Nel caso di specialità per aggiunta o non si ha alcuna abolitio criminis (minor peso della fattispecie generale) o si ha un abolitio totale (minor peso della fattispecie speciale)”.

A conclusione dell’esposizione di questi principi i giudici nella sentenza Tosetti dichiarano la non continuità del nuovo reato di bancarotta fraudolenta commessa con false informazioni sociali, e quindi la relativa abolitio criminis totale. Ed invero tale reato si presenta, da un lato, come fattispecie speciale per aggiunta rispetto al reato omologo disciplinato dalla legge del 1942 e, dall’altro lato, come meno grave, nel senso che il nuovo reato richiede l’accertamento di elementi (tra cui, in primis, il nesso di causalità tra false informazioni e dissesto societario) tali da “ascrivere alla nuova fattispecie un significato lesivo del tutto diverso da quello della fattispecie abrogata”.

La pronuncia sembra apparire in contrasto con la stessa premessa di ordine metodologico che i giudici avevano stabilito e cioè l’utilizzo del criterio di analisi valutativa della fattispecie. Se infatti la disciplina del nuovo e del vecchio reato è omogenea; è altrettanto vero che anche il bene giuridico (tutela dei creditori) è rimasto immutato. Ciò avrebbe potuto suggerire di dichiarare non già l’abolitio criminis, bensì la abrogatio sine abolitione del vecchio reato.

Le Sezioni Unite del giugno 2003 (Giordano) negano invece che la nuova disciplina ha comportato l’abolitio criminis del vecchio reato. I giudici infatti applicano il criterio strutturale in modo puro confutando la tesi in base alla quale “un’abolizione parziale può aversi solo nel caso di specialità per specificazione”. Infatti una tale conclusione si presenta, ad avviso delle Sezioni Unite, come il frutto di un utilizzo distorto del criterio valutativo perché esso può “quando il “peso” viene riconosciuto consistente far escludere la continuità e, dall’altro, quanto il “peso” è ritenuto scarso, far escludere l’abolizione parziale, mantenendo la punibilità anche dei fatti privi dell’elemento speciale aggiuntivo” in contrasto col principio di irretroattività.

Secondo le Sezioni Unite, pertanto, la riforma ha comportato una mera modificazione della fattispecie del reato di bancarotta fraudolenta perché il nesso di causalità tra false informazioni e dissesto (che è la differenza più marcata tra vecchia e nuova fattispecie) ben poteva essere oggetto di accertamento già nel sistema precedente; ciò giustifica la conclusione di essere in presenza di una continuità normativa nei limiti della norma speciale. Per quei fatti precedentemente commessi che non integrano più il reato di false informazioni sociali o che non hanno cagionato o concorso a cagionare il dissesto si ha abolitio criminis; nei casi rimanenti se il giudice ha accertato l’esistenza del nesso e delle condotte descritte dalla norma si ha, per i fatti precedentemente commessi, abrogatio sine abolitione, con applicazione della legge più favorevole (che è quella del 2002 rispetto a quella del 1942), fermo restando l’intangibilità della cosa giudicata.

Dall’analisi di queste due pronunce, ciò che deve essere riconsiderato è il ruolo svolto dal criterio valutativo. Esso non può essere utilizzato per far pendere l’ago della bilancia in favore dell’abolitio criminis o dell’abrogatio sine abolitione. La sua funzione è (solo) quella di confermare gli esiti dell’applicazione del criterio strutturale.

Tale conclusione sembra essere avvalorata anche sulla scorta dell’esperienza giurisprudenziale in materia di reati tributari. Le Sezioni Unite del gennaio 2001 (Sagone) hanno infatti ritenuto abrogato il reato di omessa dichiarazione fiscale in base al confronto strutturale tra vecchia e nuova formulazione del reato (ex art. 5 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 – in G.U. 31 marzo 2000, n. 76). Il criterio valutativo ha avuto la limitata funzione di confermare tale conclusione: “lo ius superveniens ha introdotto nel fatto illecito […] elementi costitutivi nuovi e diversi da quelli previsti dalla previgente norma, di talché non può sostenersi una continuità tra vecchia e nuova normativa in funzione dell’identità dell’interesse protetto, sia perché il nuovo sistema penale tributario attua una «vera e propria inversione di rotta, assumendo come obiettivo strategico quello di limitare la repressione penale ai soli fatti direttamente correlati, tanto sul versante oggettivo che su quello soggettivo, alla lesione degli interessi fiscali […]», sia perché non può parlarsi di continuità nella successione tra norme quando uno o più elementi normativi tipici di identificazione del fatto siano tra loro eterogenei”.

In ultima analisi, il criterio valutativo risulta inidoneo a descrivere il fenomeno della successione delle leggi nel tempo, se non nei limiti in cui esso confermi gli esiti dell’approccio di tipo formalistico descritto dal criterio strutturale.

Note:

[i] Sull’argomento vedi: MANTOVANI, Diritto penale, CEDAM, 2001; FIANDACA – MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli Editore, 2001; DI MARTINO, Successione di norme penali: modifiche strutturali e giudizi di valore, in Diritto penale e processo, n. 5/2003, 533-537; MICHELETTI, La continuità intertemporale della bancarotta fraudolenta “cagionata tramite reati societari”, in Diritto penale e processo, n. 6/2003, 712-723; BRICCHETTI, Nelle modifiche a bancarotta e falso in bilancio abrogazione parziale delle vecchie fattispecie, in Guida al Diritto, n. 26, 5 luglio 2003, 60-77.