inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2002

Management e Risorse umane: Elton Mayo, 
fondatore dell’ Human Relations Movement

di Francesco Giacca

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Elton Mayo nacque in Australia nel 1880 ed è considerato il fondatore della sociologia industriale, in particolare del “Human Relations Movement”, conseguenza naturale dei risultati provenienti dagli esperimenti di Hawthorne del 1927-32, su ciò che effettivamente spinge i lavoratori a una più elevata performance.

Laureatosi all’Università di Adelaide, studiò medicina a Londra e Edimburgo, insegnando filosofia dal 1911 al 1919 all’ Università di Queensland.

Nel 1923 si trasferì negli Usa e dal 1926 è associate professor di Ricerche Industriali ad Harvard.

Mayo svolse la maggior parte del lavoro ad Harvard e terminò la sua carriera come docente di ricerche industriali alla Graduate School of Business Administration. Morì nel 1949, dopo essere anche stato consulente di problematiche industriali per il governo laburista del dopoguerra, presieduto da Clement Attlee.

La lezione più importante di Mayo è quella nella quale egli ha dimostrato che la base della soddisfazione nel lavoro è di natura non economica e di averla collegata più all’interesse per la performance del lavoratore che alla ricompensa finanziaria.

In tal senso, viene capovolta la prospettiva tayloristica, che basava i suoi assunti sugli incentivi economici: “ i lavoratori respingono il taylorismo perché, malgrado i suoi contributi all’efficienza, fondamentalmente è un sistema imposto e non tiene conto del parere dei lavoratori” (Mayo, 1949; Smiraglia, 1993; Dahrendorf, 1977).

La grande importanza che riveste la comunicazione fra management e lavoratori, un punto chiave nella teoria di Mayo, ha gettato le basi per i lavori di molti altri teorici di management, fra i quali ricordiamo Peters e Waterman (In Search of Excellence) e la scuola dei sociologi degli anni Cinquanta, nella quale spiccano i nomi di Chris Argyris, Frederick Herzberg e Abraham Maslow.

Gli esperimenti di Hawthorne, ai quali Mayo resterà per sempre legato, devono il loro nome ai Western Electric’s Hawthorne Works di Chicago (Mayo, 1969; Martelli, 1979).

Furono condotti sotto la supervisione di Mayo, dal 1927 al 1932 (e proseguirono per altri cinque anni), da un gruppo di studiosi di Harvard e da un gruppo composto da 75-100 ricercatori che lavoravano con ventimila dipendenti della Western Electric.

Gli esperimenti sono il risultato di una serie di test che la Western Electric aveva precedentemente effettuato e che avevano comportato cambiamenti nelle condizioni di lavoro e fornito risultati inaspettati riguardo alla performance dei dipendenti. Due gruppi di lavoratori parteciparono ai test, durante i quali venne aumentata l’intensità dell’illuminazione solo per una delle due squadre.

Il risulato fu che in quel gruppo ci fu un netto aumento di produttività, ma lo stesso risultato fu ottenuto anche dal gruppo per il quale l’illuminazione non aveva subito alcun cambiamento.

Mayo si spinse oltre, fino ad apportare ben dieci modifiche alle condizioni di lavoro, fra cui riduzione dell’orario di lavoro, varie pause, nonché una serie di incentivi.

L’èquipe di ricercatori di Mayo trascorreva parecchio tempo con i gruppi di lavoro, ognuno dei quali era formato da sei donne, discutendo delle modifiche prima che queste venissero apportate. Tutte le volte che subentrava un cambiamento, si registrava un cambiamento si registrava un aumento di produttività.

Tuttavia, quando fu chiesto ai gruppi di ritornare alle condizioni di lavoro iniziali, cioè quarantotto ore di lavoro la settimana senza incentivi né pause, la produttività aumentò di nuovo. Inoltre, in generale, vi fu una diminuzione dell’assenteismo dell’ 80%.

L’unica spiegazione, concluse Mayo, era che i dipendenti si sentivano molto più soddisfatti del lavoro perché avevano la sensazione di essere individui e non ingranaggi di una macchina e perché grazie alla comunicazione con i ricercatori, i lavoratori si sentivano maggiormente investiti della responsabilità della propria performance e di quella dell’intero gruppo. Ai fini della performance, la sensazione di coesione e la stima di sé erano più importanti di qualsiasi miglioramento nell’ambiente di lavoro.

Una serie di interviste condotte nello stesso periodo nelle fabbriche di Chicago evidenziò che il conflitto management-lavoratori spesso è dovuto non tanto a palesi motivi di scontro, quanto piuttosto ad atteggiamenti emotivi di base.

Secondo Mayo, nei lavoratori prevaleva la “logica dei sentimenti”, mentre i manager si ispiravano alla “logica dei costi e dell’efficienza”.

Il dato più importante emerso da questa sperimentazione, fu la confutazione della teoria taylorista dell’interesse personale.

In pratica, i dipendenti apprezzavano la collaborazione spontanea e i rapporti creativi con le persone colleghe di lavoro e si sarebbero comportati di conseguenza: “ il desiderio di essere stimolati dai propri simili, il cosiddetto istinto di associazione, è decisamente preponderante rispetto al mero interesse personale e alla logica delle argomentazioni sulle quali si fondano così tante teorie fasulle di management” (Mayo, 1949).

Pur ritenendo valida l’organizzazione scientifica del lavoro, Mayo (1949) stemperò le rigide affermazioni di Taylor, sostenendo che “ osservazione, skill, esperimento e logica, vanno considerati come le tre fasi di avanzamento”.

Alcuni anni dopo, Miller e Form, nella pubblicazione dal titolo Industrial Sociology (1964), mostrarono le importanti conclusioni del lavoro sperimentale di Mayo ( Landsberger, 1972):

 

Il lavoro è una attività di gruppo.

La vita sociale degli adulti ruota soprattutto intorno all’attività lavorativa.

Il bisogno di essere accettati, di sicurezza e il senso di appartenenza sono più determinanti per il morale di un lavoratore e per la produttività, di quanto non lo siano le condizioni fisiche nelle quali si trova a lavorare.

Il lavoratore è una persona i cui atteggiamenti e la cui efficienza sono condizionati da esigenze sociali imposte sia dall’interno che dall’esterno della fabbrica.

Gruppi informali all’interno della fabbrica esercitano un forte controllo sociale sulle abitudini lavorative e sugli atteggiamenti del singolo lavoratore.

Il passaggio da una società stabile a una società capace di adattamento, tende costantemente a scardinare l’organizzazione sociale di una fabbrica e dell’azienda in generale.

La collaborazione di gruppo non è frutto del caso: va programmata e sviluppata. Se si riesce a promuovere òa collaborazione di gruppo, i rapporti di lavoro all’interno della fabbrica possono raggiungere una coesione che consente di arginare gli effetti disgreganti di una società in grado di adattarsi.

 

La scoperta di Mayo dell’importanza dei gruppi di pari livello sul lavoro, lo portò a concludere che all’interno di ogni organizzazione formale esistessero numerose organizzazioni informali che avrebbero potuto essere incoraggiate a realizzare una più elevata produttività, se fossero state spinte a farlo da sole, grazie all’interesse e alla stima dei loro manager (Richardson, Walker, 1978).

In tal senso, l’ Human Relations Movement, scaturito dai lavori di Mayo, attraverso la ricerca scientifica, cominciò a dedicarsi allo studio di come incanalare motivazioni e impegno degli individui in direzione degli obiettivi aziendali.

Il suo contributo alla teoria del management è stato importante per una serie di motivi.

In primo luogo, mettendo in luce l’importanza delle emozioni, delle reazioni e del rispetto nei confronti dell’attività di gestire gli altri.

In secondo luogo, egli fu il precursore del concetto della giusta comunicazione fra management e lavoratori.

Infine, egli dimostrò che il management avrebbe potuto rivelarsi vincente solo se i lavoratori, nei loro gruppi informali, avessero accettato quel tipo di leadership.

Nel principio delle relazioni umane, bisognava organizzare gruppi di lavoro, promuovere e aiutare la collaborazione, dovevano essere una priorità per il management.

In altri termini, la direzione doveva attuare una modalità di comunicazione orientata a comprendere ciò che i dipendenti volevano sapere e a che cosa sarebbero stati ricettivi.

 

                                                                                          Francesco Giacca

 

Bibliografia

 

DAHRENDORF, R. (1977): Classi e conflitto di classe nella società industriale, Laterza, Bari.

LANDSBERGER, H.A. (1972): Processo a Hawthorne, Angeli, Milano.

MARTELLI, A. (1979) : Teorie e ideologie del management. Profitto storico delle dottrine manageriali (1770-1970), Etas Libri.

MAYO, E. (1933): The human problems of an industrial civilization, MacMillan, London.

MAYO, E. (1949): The social problems of an industrial civilization, Routledge and Kegan Paul, London (trad.it. I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale, Torino, 1969).

SMIRAGLIA, S. (1993): Psicologia sociale della società industriale. Gerarchia e dominio, Patron Editore, Bologna.

RICHARDSON, F.L., WALKER, C.L. (1978): Struttura organizzativa e relazioni industriali, Angeli, Milano.

SENSALES, G. (1981): La nascita della psicologia industriale: Hugo Munsterberg, in “Psicologia Italiana”, 5-6.

TAYLOR, F.W. (1976): I criteri scientifici di direzione e organizzazione aziendale, Angeli, Milano.