inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2001

Uno studio sulle nuove sfide del millennio

***

Di Simona Grossi


La ricerca come fonte di progresso: lo "Stato del futuro,2001",Consiglio
Americano dell'Universita' delle Nazioni Unite, Washington DC, USA, di
Jerome C. Glenn and Theodore J. Gordon. 87 pages print and 1500 page
CD-ROMcon grafici, tavole, ed una bibòliografia annotata di oltre 400
"scenari".ISBN 0-9657362-8-8 (Paperback with CD-ROM)
Library of Congress: 2001092336  Price: $49.98


E' difficile parlare di diritto e politica internazionale alla luce delle
tragedie di New York e Washington dello scorso 11 Settembre, ma le
difficoltà non devono scoraggiare tutti coloro che si impegnano nella lotta
per la tutela dei diritti dell'uomo, la collettivita' intera, nella
consapevolezza del ruolo di primaria importanza che l'informazione e
l'educazione svolgono nella prevenzione di molti crimini internazionali.

Il gruppo di ricerca del Consiglio Americano dell'Universita' delle Nazioni
Unite, l'American Council of The United Nations University, con sede a
Washington DC, negli Stati Uniti, ha fatto e continua a fare della ricerca
uno degli strumenti forti e validi di questa lotta, contribuendo al
raggiungimento di molti risultati, che dimostrano il valore fondamentale
della ricerca come fonte di progresso, in direzione di una migliore tutela
dei diritti dell'uomo, specie in un momento delicato come quello che sta
oggi vivendo la Comunita' Internazionale.

Il Millennium Project of the American Council for The United Nations
University(Progetto del Millennio del Consiglio Americano dell'Universita'
delle Nazioni Unite) e' un gruppo di 1000 studiosi, scienziati, politologhi,
che lavora per organizzazioni internazionali, governi, societa',
organizzazioni non governative, ed universita', producendo ogni anno, tra i
vari lavori, anche un lavoro di ricerca complesso, lo "State of the
Future"(Stato del Futuro), risultato di ricerche specifiche ed analisi
avanzate su tematiche globali, che riguardano il futuro del mondo.

Come partecipante a questo gruppo di ricerca, voglio presentare, in questo
articolo, il V "State of the Future"dell'anno 2001, risultato di un lavoro
di ricerche condotte negli ultimi cinque anni dal gruppo stesso sotto la
guida e la direzione del Direttore dell'AC-UNU, Jerome C. Glenn, e con il
contributo fondamentale di Theodore J. Gordon, cofondatore del Progetto del
Millennio, e che e' stato, peraltro, riconosciuto tra i migliori 70 libri
del periodo compreso tra il 1996 ed il 2000 dalla Future Survey, tra 3000
revisionati.

Consapevoli dell'impossibilita' di fornire ai lettori un quadro completo e
dettagliato di un lavoro di estrema complessita' e specificita' tecnica, un
volume di oltre 1500 pagine che e' stato prodotto in formato
CD-ROM(informazioni possono essere reperite sul sito
<http://www.stateofthefuture.org>), mi limitero' a presentarvi il volume
stesso nei suoi tratti essenziali, invitando i lettori che fossero
interessati ad ulteriori approfondimenti, a reperirne una copia direttamente
dal sito suddetto.

Il lavoro parte dalla consapevolezza della stretta interdipendenza tra la
crescita economica registrata negli ultimi 200 anni e lo sviluppo
tecnologico, ma dall'altrettanto radicata convinzione che i prossimi 200
anni potrebbero non registrare un fenomeno simile, ed anzi dare luogo a
serie difficoltà e problemi da risolvere se allo sviluppo economico non si
accompagna un miglioramento delle strategie finanziarie, economiche,
ambientali e sociali.

La popolazione mondiale sta crescendo sempre piu' rapidamente, ma la maggior
parte della popolazione stessa riesce a malapena a sopravvivere. Le risorse
d'acqua diminuiscono vertiginosamente, ed il 30% delle morti derivano da
malattie infettive, alcune delle quali, nuove, non hanno ancora cure, mentre
le malattie tradizionali diventano resistenti ai farmaci.
Si stima un aumento della popolazione mondiale di oltre 6 milioni nei
prossimi 50 anni, e con una crescita economica come quella che sta
interessando il pianeta agli attuali ritmi dell'urbanizzazione, il
fabbisogno energetico potrebbe triplicare. Appare evidente che, senza
cambiamenti significativi nella produzione energetica, nei modelli di
consumo e distribuzione(specialmente dell'elettricita')seri problemi
ambientali e sociali saranno inevitabili.

Secondo i primi studi condotti dal Progetto del Millennio, grazie agli
sviluppi registrati negli ultimi vent'anni, la prospettiva del futuro sta
migliorando con riferimento al tasso di mortalità infantile, alla
disponibilita' di cibo nei Paesi a basso reddito pro-capite, alla
disponibilita' di acqua potabile, al tasso di educazione, all'accesso
all'educazione secondaria, alla disponibilita' del servizio sanitario, ma la
prospettiva peggiora per quel che riguarda le emissioni di carbonio, il
tasso di disoccupazione, la deforestazione, le morti da AIDS, il debito dei
Paesi in via di sviluppo.

Agli antichi conflitti etnici, si aggiungono nuove forme di terrorismo
ancora piu' distruttive, piu' violente e diffuse, difficili da combattere.
Nuove forme di armi chimiche, biologiche sono nelle mani di piccoli gruppi,
in grado di usarle con facilita'.Ci sono oltre 21.5 milioni di profughi nel
mondo.

Sempre piu' spesso, i leader mondiali si rivolgono alle organizzazioni
specializzate del sistema delle Nazioni Unite, quali la Banca Mondiale, il
Fondo Monetario Internazionale, l'Organizzazione Mondiale del Commercio,
alle societa' multinazionali e ad altri attori chiave del processo di
globalizzazione, per coordinare le rispettive politiche che non possono non
fare i conti con il grande paradosso della nostra epoca: mentre un numero
relativamente piccolo di persone gode dei benefici dello sviluppo economico
e tecnologico, la maggioranza vive nella poverta', nella malattia e
nell'ignoranza.

Le sfide piu' importanti presentano un carattere trasnazionale e, come tali,
non possono essere affrontate in modo decisivo dal singolo governo o dalla
singola organizzazione, richiedendo, piuttosto, uno sforzo congiunto da
parte dei governi, delle organizzazioni internazionali, societa',
universita', organizzazioni non governative. Questa consapevolezza sempre
piu' diffusa ormai, si scontra, purtroppo, con la mancanza dei meccanismi
interistituzionali capaci di concentrare e dare una direzione unitaria a
questi attori "globali", di modo che, le azioni risultano incapaci di
raggiungere quei risultati molto probabilmente raggiungibili attraverso il
coordinamento e la concertazione.

Contrariamente a coloro che combattono il fenomeno della globalizzazione ed
i suoi impatti sulla cultura dei popoli, riteniamo che sia sempre piu'
evidente e forte l'esigenza di un cambiamento culturale per affrontare le
sfide globali che il nuovo millennio ci presenta, come la realizzazione di
una democrazia reale, una prevenzione effettiva dell'AIDS, la realizzazione
di uno sviluppo sostenibile, della fine delle violenze sulle donne. Gli
strumenti della globalizzazione, come Internet ed il commercio globale,
potrebbero e dovrebbero essere usati per realizzare quel cambiamento
culturale necessario a migliorare le condizioni di vita dell'uomo.

Il lavoro affronta e discute queste c.d."sfide globali",interdipendenti tra
di loro al punto che, il miglioramento che si registra in relazione ad una
di esse, rende piu' semplice affrontare le altre. L'educazione risulta
essere una delle strategie piu' importanti per affrontare la maggior parte
delle sfide, dimostrando la necessita' di identificare i materiali educativi
piu' effettivi, i mass media che diffondono l'educazione insieme ai
meccanismi istituzionali per accelerare l'apprendimento.

Le c.d. "sfide" che costituiscono i temi di discussione, studio e ricerca,
oggetto del lavoro di cui si discute, si riferiscono allo sviluppo
sostenibile, alla scarsita' dell'acqua, al difficile equilibrio tra
incremento demografico e risorse disponibili, all'esigenza di ottenere
democrazie reali da regimi autoritari, all'esigenza di costruire delle
politiche di sviluppo che prendano in considerazione prospettive di lungo
periodo, la globalizzazione ed i suoi effetti, la necessita' di adottare
strategie di mercato sensibili al divario tra ricchi e poveri, come ridurre
la minaccia di malattie nuove e vecchie che si stanno ripresentando, come
migliorare la capacita' di decisione alla luce dei cambiamenti del campo del
lavoro e delle armi di distruzioni di massa, come un cambiamento della
condizione delle donne puo' condurre ad un miglioramento delle condizioni di
vita dell'umanita' intera, come impedire al crimine organizzato di assumere
proporzioni globali, come soddisfare il fabbisogno energetico in modo sicuro
ed efficiente, come accelerare le innovazioni tecniche e scientifiche per
migliorare la vita dell'uomo, come far si' che considerazioni etiche
diventino una componente normale delle decisioni globali.

Come si intuisce, il lavoro si presenta estremamente ambizioso nell'estrema
complessita' e vastita' dei profili che tocca, ma, lungi dalla pretesa di
dare delle risposte definitive e certe a tutti questi interrogativi, il
Progetto del Millennio ha voluto concentrare l'attenzione sulle tematiche in
discussione, nell'intento, tra gli altri, di stimolare la sensibilità del
pubblico, o almeno, di coloro che partecipano ai processi di decisione nei
campi esplorati.

Sarebbe impossibile, nonche' superficiale, per un articolo di recensione
trattare tutte le tematiche, seppure in estrema sintesi, del lavoro di cui
si discute, ma, e per l'estrema importanza che l'argomento riveste al giorno
d'oggi, alla luce dei tragici eventi che stanno interessando il mondo
intero, e per il carattere innovativo con cui il tema e' affrontato, ci
preme presentarvi, in questa sede, i capitoli relativi al terrorismo,
all'uso delle armi di distruzione di massa, al crimine organizzato,
rinviando al lettore interessato, l' approfondimento delle tematiche
relative alla condizione delle donne ed alla globalizzazione ed al problema
delle acque(anch'esso di importanza fondamentale, a pochi mesi dalla
chiusura della IV Conferenza per combattere la desertificazione, tenutasi a
Bonn, lo scorso dicembre 2000).

Mesi prima degli attacchi di New York e Washington, il lavoro di ricerca
aveva evidenziato e dettagliatamente descritto il quadro generale della
situazione mondiale, denunciando molti dei malesseri e delle deboli
risposte, che hanno finito per sfociare nei tragici eventi.

Che il terrorismo fosse avvertito dalla Comunita' Internazionale come un
fenomeno al quale doversi rispondere con maggiore decisione lo avevano
dimostrato i numerosissimi eventi a livello internazionale, come l'incontro
del settembre 2000, a New York, dei leader di tutto il mondo, organizzato
dall'ONU per individuare le c.d. sfide del XXI sec. In questa circostanza,
il Ministro indiano aveva sottolineato come ".delle tante minacce alla pace,
alla democrazia ed allo sviluppo, nessuna e' diventata cosi' pericolosa come
il terrorismo internazionale, con i suoi legami con l'estremismo religioso,
il traffico di droga, il commercio di armi illecite. L'India richiede
un'azione globale",proseguiva il ministro, "un'azione collettiva contro
questi pericoli. Noi richiediamocon urgenza alla Comunita' Internazionale
l'adozione di una convenzione completa sul terrorismo". Allo stesso
incontro, i cinque Paesi dell'Asia centrale- Afghanistan, Kazakhstan,
Kyrgyzstan, Tajikistan e Uzbekistan- avevano identificato l'Afghanistan come
il luogo da dove si genera, per diffondersi nel mondo, l'estremismo ed il
terrorismo internazionale. Gli stessi sottolineavano il legame tra il
commercio di droga e le attivita' dei terroristi in Afghanistan, e
chiedevano assistenza per combattere questo fenomeno e portare alla
normalita' la situazione nel loro paese. Il Kazakhstan proponeva di
organizzare un incontro speciale al Consiglio di Sicurezza dell'ONU per
adottare un Piano d'Azione. L'Uzbekistan proponeva l' istituzione di un
Centro Internazionale contro il Terrorismo all'interno del sistema dell'ONU.

Nella stessa direzione si inquadra la Conferenza delle Nazioni Unite,
tenutasi lo scorso dicembre 2000 a Palermo, che ha prodotto il c.d."Trattato
di Palermo", contenente un elenco dettagliato di misure che i Paesi possono
adottare in modo coordinato in aree di mutua assistenza legale,corruzione,
confische, misure giudiziarie, cooperazione a livello informale,
investigazioni congiunte e tecniche speciali investigative. Il Trattato
rendera' piu' semplice stabilire le ipotesi in cui un crimine in un Paese e'
considerato crimine in un altro, e cio' attraverso l'adozione di leggi
uniformi. Il trattato ha raccolto un grandissimo numero di firme in un
periodo di tempo brevissimo, paragonabile a nessun altra Convenzione delle
Nazioni Unite.

Tra le cause dei conflitti internazionali, il lavoro di ricerca ha
evidenziato quella che deriva dal fatto che molti gruppi si sentono
perseguitati ed isolati(questa potrebbe essere anche la chiave di lettura
degli attentati dell'11 settembre). Le innovazioni tecnologiche, i rapidi
cambiamenti nel campo politico, economico, sociale, hanno indotto molti
gruppi a temere il futuro ed a resistere ai cambiamenti. Molti temono di
essere "lasciati indietro" e sentono il bisogno di ristabilire principi
fondamentali. I conflitti si acutizzano anche per le disparita' economiche e
sociali, che aumenteranno col crescere della popolazione, l'esaurimento
delle risorse, l'inquinamento ambientale.

Allo stato attuale, non esiste un sistema globale per fermare il terrorismo,
ma solo centri isoplati che combattono il fenomeno, non disponendo di fondi
necessari.

Alcuni studiosi del fenomeno sostengono che il terrorismo religioso sia
un'idea perniciosa, non esistendo conflitti che hanno ragioni esclusivamente
religiose, ma, piuttosto, leader terroristici che sfruttano l'identita'
religiosa di gruppi per rafforzare la capacita' di combattimento dei loro
seguaci, rendendo difficile la comprensione delle cause iniziali dei
conflitti. Al giorno d'oggi, la minaccia del terrorismo proviene
principalmente da attori non stati, con pochi legami con i governi, proprio
come la rete di al-Qaida, ma anche Aum Shinrikyo, in Giappone, la FARC in
Colombia, organizzazioni terroristiche che trovano le proprie fonti di
finanziamento nel narcotraffico, in altri affari di natura privata, ecc., e
reclutano nuovi membri con facilita', specie in quei luoghi afflitti da
conflitti interni come Cecenia, Afghanistan, Colombia.

La globalizzazione, non si puo' non riconoscerlo, ha agevolato lo sviluppo
delle organizzazioni terroristiche, fornendo maggiori possibilita' di
cooperazione con le reti criminali internazionali.

Per cio' che riguarda l'uso delle armi biologiche, l'antrace, quelle che
causano il butolino, il virus Ebola, la febbre Q., minacciano catastrofi
umanitarie, ma oggi, queste armi, sebbene vietate dal diritto
internazionale(la Convenzione delle NU sul divieto di sviluppo, produzione e
stoccaggio di armi batteriologiche-biologiche- e tossiche e sulla loro
distruzione e quella relativa alle armi chimiche, Pairigi, 13 gennaio 1993,
entrata in vigore nel 1997) sono possedute da Libia, Nord Corea, Egitto,
Vietnam, Laos, Cuba, Bulgaria, India, Sud Africa, Russia, e questa, secondo
Bassiouni, questa puo' essere considerata una violazione di diritto
internazionale consuetudinario, qualificabile come crimine di guerra.
Sebbene l'Unione Sovietica abbia apparentemente distrutto la sua industria
di armi biologiche, nessuno sa, oggi, a favore di chi le migliaia di
scienziati sovietici, hanno messo a disposizione la loro esperienza.
L'uso di queste armi integra un crimine di guerra: non cosi' il semplice
possesso, in tempo di pace, ma la distinzione si sta gradualmente erodendo
nella dottrina giuridica contemporanea(vedi M.C. Bassiouni, "Fonti e
contenuto del diritto penale internazionale", Giuffre',1999).

Il lavoro riporta un progresso a livello globale nella eliminazione delle
armi chimiche: l'Organizzazione per il Divieto delle Armi Chimiche(OPCW)
riporta che dall'entrata in vigore, nell'aprile 1997, della convenzione
sulle armi chimiche, 60 impianti di produzione delle suddette armi sono
stati dichiarati inattivi, 14 sono stati distrutti e 5 sono stati convertiti
in impianti di altro genere e per altre finalita', ma, Jose Bustani,
direttore generale dell'Organizzazione, afferma che si tratta solo della
punta di un iceberg.

Per quanto riguarda la minaccia del terrorismo nucleare, il lavoro registra
un aumento in seguito ai test nucleari in India ed in Pakistan. Sono almeno
7 i casi di mercato nero di armi nucleari registrati negli anni tra il 1992
ed il 1994, i cui responsabili sono stati processati e condannati.

Di fronte a questi dati, il gruppo di ricerca propone di rafforzare i
sistemi di primo avvertimento e monitoraggio delle Nazioni Unite, che
utilizzino indicatori della pace e della sicurezza accessibili ai media, ai
governi, alle organizzazioni non governative, al pubblico, e cio' al fine di
aumentare le probabilità di collegare gli avvertimenti ad azioni di risposta
tempestive ed appropriate.
Sarebbe opportuno identificare le problematiche culturali, etniche e
religiose e le tendenze che potrebbero sfociare in conflitti, e lavorare
insieme ad altri sistemi per promuovere e facilitare la mediazione tra i
gruppi coinvolti.
Gli Stati Uniti hanno istituito il "Genocide Early Warning Center"(Centro di
primo avvertimento sul genocidio), collegato alla CIA ed al Dipartimento di
Stato, per avvisare le autorità di imminenti omicidi di massa.

C'e' consenso circa il potere della Comunita' Internazionale di intervenire
quando le circostanze lo richiedono, e, probabilmente, un intervento
tempestivo nella ex Jugoslavia, minacciando, o anche bombardando, avrebbe
limitato o impedito molta della violenza poi verificatasi in quei luoghi.

Secondo il gruppo di ricerca, i primi interventi dovrebbero articolarsi
secondo una sequenza ben definita:  attenzione dei mass media internazionali
con l'ausilio delle organizzazioni non governative; in caso di mancata
risposta, intervenire con pressioni economiche poste in essere dai governi
e, solo in quest'ultimo caso, se ancora non si ottengono risultati, come
estrema ratio, ricorrere all'azione militare.

Le Nazioni Unite stanno lavorando all'implementazione di questi sistemi, ma
e' difficile collegare i sistemi di primo monitoraggio ed avvertimento ad
un'azione appropriata: sebbene lo scambio di intelligence sia oggi
migliorato, i governi non permetteranno alle Nazioni Unite di utilizzare i
propri servizi di intelligence allo stesso modo in cui il Consiglio di
Sicurezza dell'ONU puo' usare la forza militare dei governi stessi. I nuovi
sistemi dovrebbero essere in grado di mandare un numero maggiore di
osservatori dei diritti umani per prevenire massacri. Il massacro in Ruanda,
iniziato da un gruppo ristretto di persone, non avrebbe raggiunto le
proporzioni gigantesche di cui siamo a conoscenza: il Consiglio di
Sicurezza, infatti, era venuto a conoscenza dei primi segnali di quel
massacro, ma non si agiva. Allo stesso modo, in Liberia, la situazione
sarebbe stata peggiore se l'ECOWAS(Commissione economica degli stati
africani dell'Ovest) e gli osservatori non fossero intervenuti.

Ancora, si dovrebbe rafforzare il coordinamento e la cooperazione tra i
governi, relativamente allo scambio di informazioni, avvertimenti, per la
cattura e la punizione dei terroristi.(2001 State of the Future,Chapter 1,
Global Challengess, Trasnational Organized Crime).

Secondo il gruppo di ricerca, i governi, in cooperazione con le
organizzazioni internazionali dovrebbero compilare una serie di accordi per
individuare ed arrestare gli autori dei crimini internazionali(tra queste
misure, si propone la condivisione delle informazioni sulle transazioni
finanziarie ed il coordinamento delle misure giudiziarie). Inoltre, i
governi e le organizzazioni delle Nazioni Unite dovrebbero dare vita a
sistemi di primo avvertimento, specificamente rivolti alle minacce criminose
potenziali ed emergenti.

Altro tema che il lavoro affronta e che, in questa sede, mi preme di
presentarvi e' quello relativo alla sicurezza ambientale, concetto
relativamente sconosciuto, rispetto a quello di sicurezza militare,
sicurezza alimentare e finanziaria, che il mondo conosce da diverso tempo,
o, almeno, sconosciuto fino a qualche tempo fa. Nella sua definizione piu'
semplice, la sicurezza ambientale e' definita come fattibilità ambientale
per supportare la vita umana. Il Progetto del Millennio ha condotto una
serie di studi relativi alla sicurezza ambientale e, partendo dalla
consapevolezza della scarsa comprensione del concetto, ha cercato di
pervenire ad una definizione quanto piu' chiara possibile, per favorirne la
comprensione, individuare le minacce alla stessa(come l'incremento
demografico, la perdita della biodiversita', il cambiamento climatico, la
scarsita' delle riserve d'acqua e l'inquinamento compreso quello dell'acqua,
la sicurezza alimentare, la deforestazione, la contaminazione industriale
dell'aria e degli oceani, la conservazione del suolo, l'erosione, il buco
dell'ozono, il riscaldamento del pianeta) e le relative responsabilità.

Le ricerche e gli studi condotti in precedenza dal Progetto del Millennio
avevano dimostrato che nella dottrina delle Nazioni Unite per le azioni
militari ci sono solo linee guida formali sulla sicurezza ambientale. Il
Bollettino del Segretario Generale delle Nazioni Unite del 6 agosto 1999,
intitolato "Osservanza del Diritto Internazionale Umanitario da parte delle
Forze delle Nazioni Unite" prevede che "E' fatto divieto alle forze delle
Nazioni Unite di usare metodi di guerra che possono causare danni superflui
e sofferenze non necessarie, o che sono volte a causare o possono causare
all'ambiente naturale danni di estese proporzioni, a lungo termine e gravi".
Questo Bollettino usa lo stesso linguaggio adottato dal I Protocollo del
1997 alle Convenzioni di Ginevra del 1949, ed il linguaggio e' lo stesso di
quello usato dallo statuto della Corte Penale Internazionale del 1998 e
dalla Convenzione sul Divieto di uso militare e di ogni altro uso ostile di
tecniche di modificazione dell'ambiente
(ENMOND). Ne' il Bollettino, ne' lo statuto della CPI contengono una
definizione di "esteso", "a lungo termine" o "grave", ma il I Protocollo del
1977 contiene una tale definizione che, tuttavia, richiederebbe un'attesa di
anni per verificare che il danno ambientale persiste, e lo stesso vale per
le previsioni a vasto raggio delle conseguenze di quel danno, prima di
decidere se lo standard e' stato violato. Lo stesso linguaggio e' usato
dalla Convenzione ENMOND suaccennata e l'Istituto di Diritto Ambientale di
Washington DC, USA, ha fornito un'interpretazione di questi termini,
provvedendo a specificare, tuttavia, che quella interpretazione deve
ritenersi circoscritta alla Convenzione ENMOND, non potendosi applicare agli
altri due strumenti suaccennati.

Il Dipartimento di Operazioni di Peacekeeping delle Nazioni Unite non ha
prodotto manuali di informazione o regole da rispettare per salvaguardare le
sicurezza ambientale durante le suddette operazioni, di modo che, i
contingenti che operano ne sono sforniti. Tuttavia, considerata la rilevante
autonomia a livello operativo della quale godono i contingenti stessi, essi
seguono le istruzioni e le linee guida promulgate dai rispettivi governi per
le proprie truppe. Ne consegue che gli standard variano da contingente a
contingente in modo considerevole, e cio' non solo da' luogo a discrepanze
nelle operazioni attuali, ma anche a potenziali frizioni tra le Nazioni
Unite, i governi ospitanti e le popolazioni. La causa prima di tale
situazione e' da rintracciarsi proprio in questa attenzione, per cosi' dire
"irregolare", ai problemi ambientali.

In sintesi, il Progetto denuncia la mancanza, all'interno del sistema delle
Nazioni Unite, di un collegamento concettuale ed operativo tra le operazioni
di peacekeeping e la sicurezza ambientale, ed il fatto che non risulta
neppure che questa deficienza si stia prendendo in considerazione, per
cercare di farvi fronte.

Il lavoro, inoltre, esamina i conflitti del passato per individuare
l'andamento delle misure di sicurezza adottate per proteggere l'ambiente nel
contesto dei conflitti stessi, eventuali responsabilità addebitate, e
sottolinea il ruolo fondamentale rivestito dagli accordi internazionali(vedi
Nato, Committee on the Challenger of Modern Society,1999, Environment &
Security in an International Context , Report 232, Brussels, Belgio).

Il Progetto ha anche svolto un'analisi approfondita del ruolo della futura
Corte Penale Internazionale in relazione ai c.d. crimini contro l'ambiente,
sottolineando la scarsa attenzione ad essi dedicata dagli autori del
relativo statuto. Dagli studi e dalle ricerche condotte, e considerati gli
stretti requisiti richiesti, si arriva a concludere che difficilmente un
caso di crimini ambientali commessi durante operazioni militari sara'
portato dinanzi ed esaminato dalla Corte Penale Internazionale, e cio'
alimenta le preoccupazioni relative alla necessita' di assicurare una
giustizia penale globale effettiva, in grado di tutelare i diritti
dell'umanita' intera(2001 State of the Future,Charter 7, Environmental
Security)

Poco tempo e' trascorso da quel tragico 11 settembre, ma la nostra fiducia
in un sistema che assicuri una protezione effettiva dei diritti dell'uomo
non si e' scalfita, cosi' come la nostra profonda convinzione che la ricerca
ha un ruolo essenziale da svolgere in questa direzione.





                                                                            
                         Simona Grossi

                                                                            
                         AC-UNU Washington DC,USA