inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2005

La crisi del sistema multilaterale previsto dal capitolo VII della carta dell'onu ed il passaggio all'unilateralismo

Di Michele Bruno

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1. LA DEGENERAZIONE DEL SISTEMA

 

Da circa un quindicennio a questa parte, si è manifestata in maniera sempre più preponderante l'adozione di soluzioni unilaterali armate da parte di alcuni Stati e, in special modo, da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Tale situazione è andata ancor più crescendo o, per meglio dire, degenerando dopo l'11 settembre 2001 a seguito dell'attacco alle Twin Towers. Ciò ha fatto sorgere in capo a molti studiosi delle convinzioni alquanto pessimistiche sul crollo del sistema delle relazioni internazionali istituzionalizzato nella Carta dell'Onu e sulla validità dell'ordinamento internazionale; secondo alcuni studiosi già con l'intervento in Kosovo sono sorti pesanti dubbi sulla validità dell'ordinamento internazionale.(1) A prima vista tutti gli interventi, dal 1990 ad oggi, potrebbero sembrare essere avvenuti con decisioni unilaterali. Una tale convinzione è radicata, soprattutto, nei non addetti ai lavori (come politologi, sociologi, ecc.); ma in realtà ci sono notevoli differenze intercorrenti, sia sul piano sostanziale che formale, tra le varie operazioni che si sono susseguite in questi ultimi quindici anni (si pensi, come punto di partenza alla prima azione contro l'Iraq del 1990, la quale era in legittima difesa collettiva; passando poi per l'intervento "umanitario" in Kosovo e l'operazione in Afghanistan; fino a giungere all'ultimo intervento in Iraq, qualificabile al pari di una "guerra preventiva"). Se, da un lato, i non esperti di diritto internazionale semplificano troppo i problemi sminuendo a "guerra" ogni episodio di violenza verificatosi dal primo intervento in Iraq; dall'altro, gli studiosi di diritto internazionale tendono ad assumere due posizioni estreme. Gli studiosi europei sono fidelizzati alla Carta dell'Onu e considerano, addirittura, illecite le modifiche affermatesi all'interno delle istituzioni; quindi, si considerano illecite quelle autorizzazioni ad usare la forza per conto dell'Onu.(2) Agli antipodi delle posizioni europee, troviamo gli internazionalisti statunitensi i quali sono soliti effettuare interpretazioni più flessibili della Carta, arrivando anche a teorizzare un nuovo diritto internazionale fondato sulla supremazia degli Stati Uniti.(3) Potremmo, tranquillamente, affermare che emergono due posizioni: quella dei "feticisti del multilateralismo" o "multilateraliristi ad oltranza" che si attaglia agli studiosi europei e la posizione degli "interventisti" o "yes-man" che si confà agli statunitensi. Gli atteggiamenti dei Paesi coinvolti sono stati alquanto variopinti e si è giunti allo schieramento in totale favore degli "yes-man" da parte del governo americano ed inglese, ad una posizione più neutrale secondo la quale si sarebbe potuti intervenire solo in presenza di un'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Francia, Russia e Cina), ad una posizione totalmente a favore dei "feticisti del multilateralismo" secondo cui non si sarebbe potuti intervenire neanche con la suddetta autorizzazione (Germania federale e movimenti per la pace).

 

2. GLI OBBLIGHI ERGA OMNES NEL DIRITTO INTERNAZIONALE GENERALE ED I RAPPORTI CON L'UNILATERALISMO

 

Questa crisi del sistema di garanzia della pace costruito intorno al Consiglio di Sicurezza dell'Onu, che subisce sempre maggiormente le pressioni degli Stati forti, si è avuta dopo il dissolversi dal grande blocco socialista. Prima dello scioglimento del "blocco" il Consiglio di Sicurezza dell'Onu si trovava, molte volte, nell'impossibilità di operare e di assumere decisioni multilaterali a causa del veto posto da parte della Russia o della Cina. L'avvio del processo di trasformazione del sistema si è avuto, intorno gli anni '70, con la formazione delle norme di diritto internazionale generale produttive di obblighi erga omnes. In sostanza, questi obblighi incombono sugli Stati nei confronti della Comunità internazionale nel suo complesso; il rispetto di questi obblighi può essere accertato da qualunque Stato, in quanto gestore uti universi degli interessi della Comunità medesima.(4) In questo frangente si incrementa l'incidenza del passaggio dal diritto internazionale basato sul multilateralismo a quello dell'indipendenza. Volendo analizzare gli obblighi erga omnes, questi si basano sulla previsione di certi comportamenti degli Stati verso la Comunità stessa, comportamenti che sono "indisponibili" agli Stati e "non delegabili" nella gestione ad una qualsiasi Organizzazione internazionale. Il fondamento della indisponibilità è rintracciabile già nell'articolo 51 della Carta il quale ne prevede un'unica deroga con la previsione del "diritto naturale" degli Stati a difendersi da un atto di aggressione; la liceità della difesa dura fino a quando il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non adotta le misure necessarie in tema di legittima difesa individuale o collettiva. Sia uti singuli, sia uti universi è possibile la reazione contro lo Stato aggressore; e proprio l'aggressione era l'unico crimine internazionale noto al tempo dell'emanazione della Carta dell'Onu. Oggi, invero, esistono molti altri crimini internazionali ed un esempio della continua evoluzione di questi e della loro novità è riscontrabile in quei crimini che provocano danni ambientali e danni tecnologici. Queste particolari modalità di gestione da parte degli Stati degli obblighi erga omnes comportano che gli stessi siano attuabili in via autonoma da parte degli Stati, anche con la forza, quando l'Onu non abbia competenza in materia o sia impossibilitato per i veti "politici" all'interno del Consiglio di Sicurezza.(5) In quest'ultima ipotesi è necessario sottolineare che la considerazione che un ricorso alla forza da parte degli Stati sia legittimo meno, al fine di reagire a violazione degli obblighi erga omnes, va risolta alla luce del diritto internazionale generale e non trova riscontro nell'articolo 2, paragrafo 4, della Carta, in quanto c'è una categorizzazione degli obblighi in questione. Questa situazione ha prodotto, da una parte, delle aperture del sistema dell'Onu a compiti non previsti dalla Carta; dall'altra, ad una chiusura del Consiglio di Sicurezza. In merito alla prima ipotesi, questa si è verificata con l'operazione condotta dagli Stati Uniti e loro alleati in Iraq nel 1990, operazione "in legittima difesa collettiva" condotta in via unilaterale (poiché aveva "delega in bianco"); la verifica della seconda ipotesi la abbiamo avuta nell'intervento in Kosovo.

 

3. OPERAZIONI CONTROLLATE DAL CONSIGLIO DI SICUREZZA E DELEGHE IN BIANCO

 

La trasformazione "istituzionale" è iniziata con la prassi delle autorizzazioni agli Stati all'uso della forza per conto del Consiglio di Sicurezza. Tale prassi si è generata a causa della impossibilità per il Consiglio di condurre "personalmente" operazioni di polizia internazionale per sedare azioni di minaccia o violazione della pace, o per porre fine ad un atto di aggressione; tuttavia, per poter fare ciò l'Onu deve stipulare accordi con gli Stati membri destinati a porre a sua disposizione le necessarie "forze navali, terrestri ed aeree" che non ha. In genere le autorizzazioni concesse dall'Onu sono considerate idonee per lo svolgimento delle operazioni delegate come se "fossero condotte sotto l'autorità delle Nazioni Unite", in quanto le stesse sono ricostruite in modo unitario.(6) Una tesi sui generis è quella elaborata da Picone che critica entrambi i punti ora espressi. Secondo questo internazionalista si può correttamente ritenere che le autorizzazioni all'uso della forza concesse agli Stati realizzano una alternativa istituzionale ed organizzativa, per le operazioni condotte dal Consiglio di Sicurezza come variante al modello prefigurato dall'articolo 42 e seguenti della Carta dell'Onu, nel caso in cui una simile autorizzazione sia accompagnata da un'elencazione chiara, precisa e pregnante dei fini delle operazioni militari che si autorizzano ed a condizione che ci sia un effettivo controllo delle operazioni da parte dell'Onu. Quindi, secondo Picone la prima conditio sine qua non è la elencazione delle competenze degli Stati autorizzati nelle operazioni, mentre la seconda è il controllo effettivo delle operazioni da parte delle Nazioni Unite. Così, se le due condizioni non si verificassero, saremmo fuori dal modello normativo originario della Carta e le autorizzazioni verrebbero richieste dagli Stati al fine di ottenere una sorta di nulla-osta operativo per operazioni decise ed attuate in via unilaterale. In definitiva, si collegano a due modelli diversi e, per stretta conseguenza, queste c.d. "deleghe in bianco" non servirebbero a far svolgere alcuna operazione come "sotto l'egida dell'Onu". Pertanto, la prassi delle autorizzazioni va inquadrata nel contesto delle più generali trasformazioni che si sono verificate nel rapporto tra il sistema dell'Onu ed il diritto internazionale generale, anche se tale prassi si ricollega alla paralisi del modello degli articoli 42 e 43 della Carta. A questo punto, è interessante discernere circa la posizione del Conforti. Quest'autore nella sua opera sul diritto internazionale ha cambiato opinione circa le autorizzazioni fra le edizioni del 1999 e del 2002. Nel 1999 Conforti riteneva che le autorizzazioni, in quanto modifica consuetudinaria endogena al sistema frutto di una regola ancora in formazione nella prassi, rimarrebbero in un "limbo" indefinito.(7) Nel 2002 la regola succitata "si sarebbe ormai formata nella prassi", ma nel contempo le stesse autorizzazioni hanno iniziato a non ritenersi più necessarie dagli Stati che intendono iniziare delle operazioni in tutto e per tutto unilaterali, quindi disintegrandosi nella prassi stessa.(8) Conforti finisce col considerare il problema meno articolato di quanto lo sia realmente; ed, addirittura, ne sminuisce la portata anche quando dovrebbe rinforzarla nell'ambito dell'Onu.(9)

 

4. LA NUOVA PRASSI DEGLI INTERVENTI ARMATI SENZA AUTORIZZAZIONE

 

Negli ultimi anni si è registrata una sostanziale trasformazione nel rapporto tra la potenziale attuazione degli obblighi erga omnes in via unilaterale per gli Stati e la "legittimazione" dei comportamenti attraverso le autorizzazioni all'uso della forza rilasciate dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. I tipi di autorizzazione tipicamente rilasciate fino alla metà degli anni '90 (grosso modo fino alle operazioni in Bosnia-Erzegovina) erano esplicite ed in via preventiva. Quindi, tali autorizzazioni si configurano come "deleghe in bianco" concesse agli Stati che hanno lo scopo di legittimare delle operazioni da condurre al di fuori del sistema Onu, sulla base del solo diritto internazionale generale (tra le "deleghe in bianco" non va inclusa la missione UNITAF in Somalia). Dopo la prima metà degli anni '90 aumentarono i casi di interventi con uso della forza condotti senza autorizzazione dal Consiglio di Sicurezza. Il primo caso di siffatte operazioni è stato la missione "deliberate force" in Bosnia-Erzegovina. Tuttavia, il caso più importante e palese di mancanza di autorizzazione negli anni '90 fu l'intervento umanitario in Kosovo. Tale intervento fu condotto da alcuni Stati della Nato senza una precedente autorizzazione all'uso della forza, al fine di reagire e porre fine alle gravi violazioni dei diritti umani commesse da Milosevic nei confronti della popolazione kosovara. Tale operazione riassume ed illustra il precedente assunto secondo cui gli Stati possono, in linea di principio, reagire con la forza contro uno Stato responsabile di crimini internazionali; così, almeno nell'ipotesi appena indicata si configurerebbe una situazione in cui le autorizzazioni non sarebbero in senso stretto "necessarie". Quest'ultimo assunto ha creato una situazione alquanto inquietante negli ultimi anni, facendo in modo che gli Stati decidano, a prescindere da qualsiasi autorizzazioni, di intraprendere missioni servendosi della forza in caso di inoperatività del Consiglio di Sicurezza, senza misurare preventivamente ed adeguatamente la legalità della propria azione. La degenerazione del sistema ha trovato un manifesto programmatico nel documento strategico statunitense del 17 settembre 2002, concernente "I nuovi indirizzi di politica internazionale dell'amministrazione Bush" nella lotta al terrorismo globale. Nel documento gli USA manifestano la volontà di tutelare i propri interessi nazionali, attraverso non solo azioni unilaterali, ma anche attraverso azioni preventive di difesa dal terrorismo internazionale e da altri tipi di aggressione.(10) Nel testo il terrorismo viene definito come "un comportamento che nessun governo responsabile può condonare o sostenere ed a cui tutti devono opporsi".(11)

 

5. CONCLUSIONI

 

In definitiva, abbiamo il sorgere di tre filoni argomentativi in riguardo al capitolo VII della Carta dell'Onu. Il primo filone è quello degli interventisti che ammettono qualsiasi intervento con uso della forza, anche in via preventiva ed unilaterale; tale filone è quello maggiormente responsabile della degenerazione e della vera e propria crisi del diritto internazionale generale; è appena il caso di ricordare che tra gli interventisti sono presenti molti internazionalisti americani. Il secondo filone è quello dei  multilateralisti ad oltranza, secondo il quale è possibile un'intervento con uso della forza non solo a condizione che ci sia una autorizzazione del Consiglio di Sicurezza ma anche a condizione che dall'autorizzazione siano desumibili i limiti e le finalità dell'intervento; in questo filone annoveriamo molti internazionalisti europei. Infine, il terzo filone è quello che vede l'adesione di molti autori alla teoria del Picone, secondo cui, in breve, bisogna guardare più che alla quantità dell'autorizzazione alla qualità della stessa. Personalmente, riteniamo che bisognerebbe interpretare in modo estensivo tutto il capitolo VII della Carta ed in particolare l'articolo 42 laddove sancisce che "... il Consiglio di Sicurezza... può intraprendere... ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale...". Tale interpretazione estensiva si rende necessaria, in quanto, solo di recente si è andata estendendo la categoria di crimini internazionali. Se in un primo momento l'unico crimine internazionale era l'aggressione armata e la conseguente minaccia della pace, col tempo, si è andato via via estendendo il settore dei crimini internazionali grazie all'Accordo di Londra del 1945 (in cui si riconoscevano quattro tipi di crimini: il genocidio, i crimini contro l'umanità, i crimini di guerra e il crimine di aggressione) e grazie ai nuovi crimini internazionali sia ambientali che tecnologici. Pertanto, a nostro avviso un'interpretazione riduttiva del capitolo VII porterebbe senz'altro ad una negazione della punibilità ed alla conseguente negazione degli interventi contro tutta una serie di crimini internazionali di "nuova generazione".

 Michele Bruno

Note:

(1)scovazzi, Corso di diritto internazionale Parte I, Milano, 2000, p.200

(2)bernardini, ONU non deviata o NATO (e oltre): Diritto o forza, Teramo, 2002

(3)vagts, Hegemonic International Law, in American Journal of Int. Law, 2001, p. 843 e ss.

(4)annacker, Die Durchsetzung von erga omnes Verpflichtungen vor dem Internationalen Gerichtshof, Hamburg, 1994; ragazzi,  The Concept of International Obligations Erga Omnes, Oxford, 1997

(5)wedgwood, Unilateral action in the UN System, in European Journal of Int. Law, 2000, p. 340

(6)white/ulgen, The Security Council and the Decentralised Military Option: Constitutionality and Function, in Netherlands Int. Law Review, 1997, p. 378 e ss.

(7)conforti, Diritto Internazionale, Napoli, 1999, p. 405

(8)conforti, Diritto Internazionale, Napoli, 2002, p. 410

(9)conforti, Le Nazioni Unite, Padova, 2000, p. 207 e ss

(10)varwick/woyke, Nato 2000. Transatlantische Sicherheit im Wandel, Oplanden, 1999, p. 140 e ss

(11)annunziata, No. La seconda guerra irachena e i dubbi dell’Occidente, Roma, 2002, p. 124