Corte Costituzionale: no alla revoca consenso paternità dopo la fecondazione assistita

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L’uomo non può cambiare idea  revocando il suo consenso alla maternità, dopo la fecondazione assistita dell’ovulo.
Questo non ha delle conseguenze deleterie nel rispetto della vita familiare e non comporta disparità di trattamento, a norma dell’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e della Donna.
La Corte Costituzionale, con la sentenza 161/2023 si è espressa sulla questione della procreazione medicalmente assistita.
La previsione della legge 40/2004 è salva, in considerazione del fatto che non sia fondata la questione di legittimità  sollevata dal Tribunale Ordinario di Roma.
Come riporta il quotidiano Il Sole 24 Ore, secondo la Consulta, il bilanciamento fatto dal legislatore  nell’articolo 6 comma 3, ultimo periodo, della legge n, 40/2004, è ragionevole.
La norma, attraverso la crioconservazione, rende possibile la richiesta dell’impianto degli embrioni non esclusivamente dopo tempo ma anche quando una coppia si separa, come nel caso preso in considerazione, nel quale, dopo la separazione l’uomo aveva revocato il suo consenso, da lui prestato in modo valido in precedenza.

Per approfondire si consiglia: Come cambia il Diritto di Famiglia dopo la Riforma Cartabia

Corte Costituzionale -sentenza n. 161 del 24-07-2023

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Indice

1. L’ipotesi della crioconservazione


La Corte Costituzionale insieme al Tribunale, si è pronunciata sul diverso contesto normativo nel quale agisce la norma, secondo la quale il consenso dopo la fecondazione dell’ovulo, sia irrevocabile,
La legge 40/2004, prevedeva che il trasferimento in utero degli embrioni prodotti, non superiori a tre, dovesse avvenire entro pochissimi giorni del ciclo della loro sopravvivenza.
L’ipotesi della loro crioconservazione è vietata, ed era un’evenienza eccezionale, consentita esclusivamente “per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione” e l’impianto si dovrebbe realizzare “non appena possibile”.
In questa situazione era facile che nella coppia ci potessero essere degli stravolgimenti, che a loro volta, potessero fare venire meno le condizioni che c’erano al momento dell’accesso alla procreazione medicalmente assistita al momento dell’impianto.
Dopo la presa di posizione della Corte la situazione si è ribaltata e la negazione alla crioconservazione rappresenta l’eccezione.

2. Cambiare idea dopo la separazione


Nella questione esaminata dal Tribunale Ordinario di Roma,  la donna aveva richiesto l’impianto dell’embrione crioconservato, nonostante si fosse separata.
Il suo ex aveva fatto opposizione e aveva ritardato il consenso prestato in precedenza, perché riteneva di non potere essere obbligato a diventare padre.
Il giudice, a questo punto,  ha sollevato la questione di costituzionalità in relazione alla sopra menzionata norma, che stabilisce che il consenso debba essere irrevocabile.
Anche riconoscendo che la norma “si è venuta a collocare al limite di quelle che sono state definite scelte tragiche perché si caratterizzano dall’impossibilità di soddisfare gli interessi coinvolti”.
La stessa sentenza ha messo in evidenza che il consenso non bilancia i diversi interessi in gioco.
Stando alla Consulta il divieto di ripensaci, per l’uomo, non comporta una disparità di trattamento e non si allontana da quello che accade quando si ha un’interruzione di gravidanza, sulla quale l’uomo non può prendere decisioni.


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3. Salute della donna e stato di figlio


L’accesso alla procreazione medicalmente assistita, spiega il giudice, comporta “per la donna il grave onere di mettere a disposizione la propria corporalità, con un importante investimento fisico ed emotivo in funzione della genitorialità che coinvolge rischi, aspettative e sofferenze, e che ha un punto di svolta nel momento in cui si vengono a formare uno o più embrioni.
Corpo e mente della donna sono quindi inscindibilmente interessati in questo processo, che culmina nella concreta speranza di generare un figlio, a seguito dell’impianto dell’embrione nel proprio utero.
A questo investimento, fisico ed emotivo, che ha determinato il sorgere di una concreta aspettativa di maternità, la donna si è prestata in virtù dell’affidamento in lei determinato dal consenso dell’uomo al comune progetto genitoriale”.
Se è pur vero che dopo la fecondazione la disciplina dell’irrevocabilità del consenso si configura come un punto di non ritorno, che può risultare freddamente indifferente al decorso del tempo e alle vicende della coppia, è anche vero che la centralità che lo stesso consenso assume nella Pma, comunque garantita dalla legge, fa sì che l’uomo sia in ogni caso consapevole della possibilità di diventare padre; ciò che rende difficile inferire, nella fattispecie censurata dal giudice a quo, una radicale rottura della corrispondenza tra libertà e responsabilità”.
La Corte precisa che il consenso prestato in base alla legge 40 ha una portata diversa e un altro rispetto al “consenso informato” al trattamento medico, “in quanto si è in presenza di un atto finalisticamente orientato a fondare lo stato di figlio”.
In questa prospettiva il consenso, manifestando l’intenzione di avere un figlio, esprime un’assunzione di responsabilità, che riveste un ruolo di primo piano ai fini dell’acquisizione dello stato di figlio.
Il consenso dato alla pratica della procreazione medicalmente assistita, che diventa irrevocabile dal momento della fecondazione dell’ovulo, comporta una specifica assunzione di responsabilità in relazione alla filiazione, che si traduce nell’attribuzione al nascituro dello stato di figlio indipendentemente dalle successive vicende della relazione della coppia.
La Corte Costituzionale rileva anche “la complessità della fattispecie e le conseguenze che la norma oggetto del presente giudizio, in ogni caso, produce in capo all’uomo, destinato a divenire padre di un bambino nonostante siano venute meno le condizioni nella quale aveva condiviso il progetto genitoriale”.
Uno stato di genitore che “comporta una modifica sostanziale dei diritti e degli obblighi di una persona, idonea a investire la maggior parte degli aspetti e degli affetti della vita”.
La Corte è “altrettanto consapevole che il panorama del diritto comparato mostra soluzioni anche molto diversificate, sia a livello legislativo che giurisprudenziale”.

4. La situazione negli altri Stati


La Corte israeliana ha subordinato la possibilità dell’impianto a determinate condizioni relative alla responsabilità genitoriale.
A questa decisione di recente si è ispirata la Corte Costituzionale della Colombia, con la sentenza 13 ottobre 2022, T-357/22, che, in una vicenda analoga, ha permesso l’assimilazione del padre a un donatore anonimo.
Nella sentenza si legge:
È evidentemente la consapevolezza di trovarsi di fronte a una scelta complessa, che coinvolge interessi chiaramente antagonisti, a indurre gli ordinamenti ad adottare soluzioni differenti, che riflettono le precipue caratterizzazioni che in essi assumono i principi costituzionali coinvolti”.
La Corte costituzionale mette in chiaro che è compito del Legislatore, cercare una sorta di  equilibrio nel rispetto della dignità umana, che sia un ragionevole equilibrio “eventualmente anche diverso da quello attuale, tra le diverse esigenze in gioco in questioni che toccano temi eticamente sensibili”.

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Dott.ssa Concas Alessandra

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