inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2004

Italo Franco, alcune postille alla sentenza 204/2004 della corte costituzionale  (La “nuova” giurisdizione esclusiva)

 

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Alcune postille alla sentenza 204/2004 della corte costituzionale (La “nuova” giurisdizione esclusiva)

Sommario: 1- Corte Cost. n. 204 del 2004: arresto di una consolidata tendenza evolutiva della giurisdizione del G.A. e timori di ritorno al passato. 2.1- La “partita a scacchi” fra S.U. e Consiglio di Stato. 2.2- Il contesto europeo dimenticato. 3- Materie “particolari” e casi nei quali la P.A. agisce come autorità. 4- Comportamenti della P.A. 5- Decreti ingiuntivi, e altro. 6.1- Riflessi sulla ripartizione della giurisdizione in tema di esecuzione di contratti della P.A. 6.2- La c.d. pregiudiziale amministrativa. 7- Prospettive della G.A.

1- Corte costituzionale n. 204/2004: arresto di una consolidata tendenza evolutiva della giurisdizione del G.A. e timori di ritorno al passato

Non appena pubblicata la sentenza 6-7 luglio 2004 n. 204 della Corte costituzionale, sono fioccati i commenti (alcuni dei quali verosimilmente già pronti o in preparazione, viste le rivelazioni che già trapelavano numerose sui contenuti).  Altri ne seguiranno, così come i convegni di studio dedicati all’argomento, vista la rilevanza della sentenza, non a torto da taluno definita “storica”[1], intendendo tuttavia l’aggettivo non nel senso, generalmente positivo (evolutivo), che si attribuisce solitamente all’espressione, ma nel senso, verosimilmente obbiettivo, di evento che cambia lo stato più o meno assestato delle cose. In verità, si tratta più propriamente di una revisione o restaurazione di orientamenti ormai da qualche tempo consolidati e avallati sul piano normativo.

Quello che è certo -e che non costituisce propriamente un punto di vanto della sentenza- è che occorrerà incrementare gli sforzi interpretativi per intenderne l’effettiva estensione e la portata, poiché da un lato alcuni passaggi logici paiono impliciti o sottintesi, dall’altro, in relazione a passaggi decisivi, figurano rinvii ad altre parti della sentenza non si sa quanto congruenti (come –anticipiamo- nel caso dei comportamenti della P.A.), che occorrerà chiarire al fine di  comprendere i nuovi confini della giurisdizione esclusiva del G.A.

Senza volere rifare ab initio l’esegesi della sentenza con la ricostruzione organica delle questioni affrontate e risolte(?) a partire dalle molteplici ordinanze di rimessione, vorremmo qui soffermarci su taluni punti che appaiono critici già ad un primo livello ermeneutico, ma che affiorano con maggiore consistenza dopo la prima lettura, e che abbisognano di essere ben individuati e, nei limiti del possibile, chiariti, onde comprendere se e come si assesterà il riparto di giurisdizione fra i giudici ordinario e amministrativo d’ora in avanti. In prevalenza si tratterà di sottolineare le difficoltà concrete che si presenteranno per individuare il giudice di volta in volta competente, con tutto quello che ciò comporterà per il cittadino in termini di durata del processo e di possibilità di ottenere giustizia in tempi ragionevoli. Ma prima di sottolineare detti punti critici e problematici, conviene indugiare su talune considerazioni di fondo, che bene evidenziano l’aspetto problematico dell’intera operazione condotta dalla Consulta su sollecitazione del giudice ordinario.

In primo luogo si osserva che l’arrét della corte blocca in buona misura quel processo di cambiamento che, a torto o a ragione, fra non pochi contorcimenti, andava trasformando il giudice amministrativo[2] in giudice (anche) civile, del rapporto, certo imponendogli un travaglio notevole –fondamentalmente, per l’esigenza di far coesistere, al suo interno, formae mentis talora notevolmente diverse, attento come deve (doveva) essere sia all’interesse pubblico sia agli aspetti paritetici di un rapporto contrattuale o obbligatorio di stampo civilistico- ma, a conti fatti, con esiti interessanti e proficui. Insomma, la lettura ortodossa da un punto di vista tradizionale e su certi aspetti di fondo particolarmente censurabile[3] (ci sia consentito dire) del dato testuale della Costituzione blocca una tendenza evolutiva che aveva segnato il modo di essere e la sostanza stessa della giurisdizione amministrativa, e ci si chiede se l’operazione si riveli funzionale a un più razionale assetto dei rapporti fra le giurisdizioni, o se, per caso, non convenisse dare impulso a un cambiamento della Costituzione sul punto (oggi, poi, che la Carta costituzionale viene non cambiata, ma addirittura stravolta, con grande disinvoltura,  in ampi suoi pezzi di grande importanza).

2.1- La “partita a scacchi” fra S.U. e Consiglio di Stato.

Sotto un secondo profilo, già da quanto detto poco addietro è possibile cogliere un’altra caratteristica di fondo della questione: la sentenza n. 204/2004 si pone, palesemente, come un’ulteriore “puntata” (l’ultima, per ora) della secolare diatriba fra i giudici ordinario e amministrativo (non soltanto in persona dei rispettivi organi di vertice), quasi fossero mosse di una partita a scacchi prolungata nel tempo (anzi, in un certo senso senza tempo, considerata la ultrasecolarità della tenzone), che ha segnato, alternativamente, punti a favore dell’uno o dell’altro contendente. (In questa partita negli ultimi anni si era inserito il legislatore, ma con sortite, a conti fatti, infelici, stando all’esito attuale della pugna, esito che non semplifica affatto i problemi per i cittadini, ma li complica notevolmente).

La Consulta –che si è mossa, in effetti, in quasi completa consonanza con le tesi prospettate dai giudici (ordinari) rimettenti- si pone sulla scia di un recente indirizzo delle S.U. della Cassazione, tendente a dare un’interpretazione restrittiva dell’area di estensione della giurisdizione esclusiva del G.A., in concreto ritenuta ammissibile soltanto se correlata all’interesse generale, e, pour cause, volta alla tutela di posizioni di interesse legittimo o “in casi particolari” anche “di diritti soggettivi, senza possibilità di estensione indiscriminata a tipologie di liti coinvolgenti unicamente diritti patrimoniali”.[4] In una simile ottica, il riconoscimento –contenuto nella 204- di “piena dignità” di organo giurisdizionale al giudice amministrativo può suonare all’incirca come una sorta di  superfluo “contentino” (del resto alquanto sofferto) fatto a detto G.A. dopo decenni e decenni di elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, fiumi di inchiostro spesi a dimostrare ciò che adesso la Corte costituzionale viene (bontà sua) a riconoscere con una sorta di tautologia, senza tema di apparire leggermente in contraddizione con gli esiti attinti nel suo insieme con la sentenza.   

Ora, il fatto che da noi la corretta applicazione dei criteri di riparto della giurisdizione non viene assicurato da un organo a composizione paritetica quanto alla rappresentanza delle varie giurisdizioni (come nel caso del Tribunal des conflits in Francia[5]), bensì da un organo giudiziale che è espressione unicamente del G.O. (le Sezioni unite della Corte di cassazione, del quale si può comprendere la propensione ad estendere l’ambito della giurisdizione del G.O. e comunque a difenderlo da eccessive interferenze, confinando quello del G.A. entro schemi per quanto possibile rigidi e riduttivi), fa prevedere, nelle sue future pronunce sui conflitti di giurisdizione, una strenua opera di sbarramento, all’incirca in funzione di “gendarme” della sentenza in rassegna e delle “linee- guida” da questa fissate. Ciò significa che occorrerà molta più attenzione, specialmente da parte del G.A., a non superare le anguste e non limpide linee di confine poste da Corte cost. n. 204/2004, ad es. onde, al tempo stesso, difendere il senso della sua giurisdizione esclusiva e ben individuare le fattispecie in cui la P.A. agisce come autorità, cosa alquanto difficile in tempi in cui anche compiti e finanche funzioni pubbliche tendono ad assumere sempre più le sembianze dell’attività privata (sul punto si tornerà brevemente più avanti).

Proprio dopo avere scritto queste parole chi scrive ha avuto conoscenza della sentenza delle Sezioni unite n. 19200 del 24 settembre 1990, la quale suona come conferma di quanto da noi osservato, in chiave se possibile ancora più pessimistica. I titoletti e la massima[6] sono di seguito riportati:

Giurisdizione e competenza – Lesione di un interesse legittimo - Azione di condanna al risarcimento del danno – Natura della situazione giuridica vantata – è diritto soggettivo di credito – giurisdizione del G.O. – Sussiste – Eccezione - Ipotesi di giurisdizione esclusiva del G.A. estesa ai diritti patrimoniali consequenziali

 

In presenza di un richiesta di condanna di una P.A. al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un interesse legittimo il titolare della situazione giuridica lesa vanta un diritto soggettivo (di credito) al risarcimento, sicché la relativa azione va proposta innanzi al giudice ordinario, salvo non sussista una ipotesi di giurisdizione amministrativa esclusiva estesa ai diritti patrimoniali consequenziali

In verità, detta pronuncia suona a smentita della stessa sentenza 204 nella parte in cui questa ha “salvato” la giurisdizione generale del G.A. in ordine al risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, individuando in detto strumento un mezzo di tutela ulteriore rispetto a quello rappresentato dall’annullamento dell’atto, e non, invece (come avevano prospettato i giudici remittenti), come una “materia” nuova, in quanto tale –nella loro prospettazione, respinta (questa sì dalla Corte costituzionale)- da sottrarre alla giurisdizione del G.A. (sul punto, v. ancora infra). Ed invero, sembra che le S.U. abbiano dimenticato ciò che nella sentenza 204/2004 è scritto a chiare lettere, vale a dire che in ordine alla giurisdizione sul risarcimento del danno (patrimoniale conseguenziale o comunque derivante da lesione di un interesse legittimo), rimane fermo quanto scritto nella legge 21 luglio 2000 n. 205, in relazione sia alla giurisdizione esclusiva del G.A. sia alla giurisdizione generale di legittimità.

 

2.2- Il contesto europeo dimenticato.

Sotto un secondo profilo, molto vistoso appare l’avere negletto in toto i sistemi di riparto della giurisdizione in auge nei paesi europei a noi più vicini e, in generale, il contesto costituito dalla normativa comunitaria in materia di giurisdizione nei riguardi della P.A.[7] Nell’ansia (si direbbe) di riaffermare la valenza dei criteri previgenti (con i connessi richiami a concetti e dibattiti ottocenteschi, anche se penetrati nella Costituzione), la Corte ha del tutto omesso di considerare che generalmente negli ordinamenti a noi più vicini (quelli di Francia e Germania in particolare, entrambi a giurisdizione “binaria” nei confronti della P.A.)  è affatto sconosciuta la nozione di interesse legittimo e la relativa posizione soggettiva. Anzi, più correttamente, bisogna dire che dall’esistenza di posizioni “deboli” connessi all’esercizio del potere pubblico (indubbiamente presenti in detti ordinamenti come in qualsiasi altro, anche senza che se ne faccia una posizione giuridica soggettiva a sé stante) nessuna  inferenza se ne trae per ancorarvi il criterio di riparto di giurisdizione.

 

Pare, infatti, di poter dire che nemmeno in Spagna -che da noi ha derivato detta nozione, inserendola in epoca recente nella Costituzione di quel Paese- conseguenze tanto elaborate e sottili, ma dalle indubbie ricadute problematiche sul piano concreto traggano da detta nozione di interesse legittimo, in termini di criterio generale per definire il riparto di giurisdizione.

 

Orbene, va da sé che non si può nemmeno immaginare che le questioni sottoposte alla Consulta siano state esaminate trascurando il contesto comunitario (il cui ordinamento, come è arcinoto, refluisce in maniera incisiva e significativa nel nostro come negli altri ordinamenti nazionali, ed ha mostrato la sua forza di penetrazione proprio in un settore –quello dell’affidamento degli appalti pubblici- da noi soggetto alla giurisdizione amministrativa, ora per di più esclusiva, costringendo il sistema ad aprirsi al risarcimento di lesioni di posizioni giuridiche diverse dal diritto soggettivo, in caso di violazione di norme comunitarie). Bisogna giocoforza concludere che l’ignoranza del sistema normativo europeo in materia di giurisdizione nei riguardi della P.A. è stata voluta[8]? E se così fosse, quale ne potrebbe mai essere la spiegazione? Se il sistema di integrazione fra ordinamento europeo e ordinamenti nazionali è ormai un fatto irreversibile per gli effetti già realizzati, invece di scrivere una sentenza così pesantemente manipolativa al fine di ricondurre il sistema all’osservanza della vecchia ortodossia, non era forse opportuno scriverne una diversa, nel senso di esortare il legislatore a scrivere una modesta modifica della Costituzione, che, pur senza sacrificare l’illustre e interessante figura dell’interesse legittimo, evolvesse verso un criterio di ripartizione della giurisdizione ancorata a blocchi di materie?

 

Insomma, proprio la compenetrazione con l’ordinamento comunitario (e anzi la primauté di questo sull’ordinamento nazionale[9], specie in materia di affidamento di appalti pubblici) avrebbe più che giustificato (imponeva) una lettura adeguatrice delle norme della Costituzione, ove è pur sempre presente la previsione della giurisdizione esclusiva per materia. Ma, come si sa, la Corte ha imboccato una strada affatto opposta, sminuendo al massimo detta previsione, interpretando in maniera affatto discutibile (a nostro modesto avviso) l’aggettivo “particolari” aggiunto al sostantivo “materie” nell’art. 103 Cost. (per accenni sul punto, infra, par. 3).

  

3- Materie “particolari” e casi nei quali la P.A. agisce come autorità.

Non intendiamo in questa sede soffermarci sulla ricostruzione, effettuata nella sentenza n. 204, della ratio della previsione costituzionale (art. 103) concernente la giurisdizione esclusiva del G.A. –con conseguente ricostruzione, altresì, del sistema di riparto della giurisdizione fra i giudici ordinario e amministrativo, mediante l’interpretazione adottata dell’espressione “ materie particolari”. Al riguardo ci limitiamo ad osservare che il percorso argomentativo seguito nella sentenza appare oggettivamente periglioso e affatto discutibile, forzato e, insomma, scopertamente “a tesi”, là dove ci si sforza di esplicare l’assunto che le materie per le quali il legislatore ordinario può prevedere l’attribuzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. delle relative controversie debbano essere “particolari” rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità, nel senso che  “devono partecipare della loro medesima natura, che è contrassegnata dalla circostanza che la P.A. agisce come autorità nei confronti della quale è accordata tutela al cittadino davanti al giudice amministrativo” (punto 3.2 della sentenza).

 

Il meno che si possa dire al riguardo, tenuta presente la tendenza attuale a configurare legislativamente lo svolgimento di compiti e finanche di funzioni concettualmente riconducibili all’ambito pubblicistico in forme il più possibile privatistiche (ad onta della loro spesso scoperta “funzionalizzazione” all’interesse pubblico nelle sue varie manifestazioni), che un simile criterio riporta la ricerca del corretto criterio di riparto della giurisdizione, e dunque del giudice competente a decidere una determinata lite in un sorta di “porto delle nebbie”, in cui si possa tirare la corda da una parte o dall’altra, a seconda che si intravveda, o meno, un barlume di autoritatività (ma se è solo un barlume, o se si dubiti che sia rintracciabile nemmeno quello, si potrà discutere all’infinito…).

 

Bisogna ammettere, poi, che la ricostruzione interpretativa appare un fuor d’opera rispetto al tema della distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi, con riguardo all’attuale stadio di elaborazione. Se, infatti, si leggesse senza pregiudizi di parte l’art. 103, si scoprirebbe la naturalezza della disposizione che consente di attribuire per “particolari materie” le controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A.: dire che è possibile attribuire la cognizione al G.A. (oltre che degli interessi legittimi) “anche dei diritti soggettivi”, non significa istituire affatto –sembra- un legame necessario fra i due tipi di giurisdizione (di legittimità ed esclusiva), nel senso che occorra la compresenza di entrambe le posizioni giuridiche soggettive per potere devolvere la materia ad essa giurisdizione esclusiva. Semplicemente, la Costituzione consente che per certe materie, il legislatore possa devolvere la cognizione delle relative controversie alla giurisdizione esclusiva del G.A. anche se vi si faccia questione –soltanto o congiuntamente- di  diritti soggettivi (ferma restando la giurisdizione generale di legittimità, che riguarda ogni materia o settore). Ed invero, poiché si tratta, appunto, di giurisdizione generale, non può istituirsi –secondo un canone di pura logica- un rapporto di particolarità “rispetto a quelle devolute alla giurisdizione generale di legittimità”, proprio perché questa, che è generale, riguarda (non solo alcune ma) tutte le materie[10].

 

A parte dette osservazioni critiche, bisogna dire che la vera difficoltà, d’ora in avanti, quanto meno in astratto, consisterà nel distinguere le situazioni in cui la P.A. agisce come autorità da quelle in cui agisce alla stregua di un comune soggetto di diritto privato. Se può, in astratto, giustificarsi la preoccupazione della Corte di volere impedire che si segua, nel ripartire a giurisdizione, il criterio della presenza, comunque, in giudizio di un soggetto pubblico (secondo il disegno della “Bicamerale” rimasto inattuato, richiamato nella stessa sentenza 204), rimane il fatto che pare alquanto arduo sceverare le materie in base al tasso di pubblicità o di autoritatività riscontrabile nel caso concreto. Infatti, si può dire che soltanto nelle ipotesi in cui la P.A. agisca scopertamente jure privatorum, con atti di gestione diretti a porre in essere negozi di diritto comune, è sicuramente ravvisabile l’assenza di autoritatività; per il resto, vi è una vasta gamma di fattispecie nelle quali la distinzione non sarebbe sempre facile e agevole. Insomma, a dir poco si rischia di assistere a dispute sulla giurisdizione che si possono prolungare nel tempo, con quali effetti sulla effettività della giustizia è facile immaginare.

 

D'altronde, bisogna dire che la Corte, nel riscrivere in parte qua l’art. 33, in buona sostanza prefigura, in un certo senso “d’ufficio”, preventivamente e in generale, le ipotesi in cui il fatto che la P.A. agisca come autorità deve ritenersi, per così dire, in re ipsa. Nella nuova formulazione dell’art. 33 coniata dalla Corte, infatti, si dice che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A. (anziché tutte quelle in materia di pubblici servizi, come si esprimeva il testo dichiarato incostituzionale) le controversie:

      a) in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi;

      b) relative a provvedimenti adottati dalla P.A. o da un gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241 (ivi compresi gli accordi modificativi o sostitutivi del provvedimento, ai sensi dell’art. 11);

      c) relative all’affidamento di un pubblico servizio, e alla vigilanza e controllo nei confronti del gestore.

 

Naturalmente, ci pare, stando al percorso argomentativo della sentenza, deve ritenersi che, quand’anche si versi in siffatti ambiti, ove nel caso concreto la P.A. agente non abbia inteso esercitare pubblici poteri o agire come autorità (anche nel contesto di un rapporto concessorio saranno ipotizzabili atti paritetici dell’ente concedente come, ad es., quanto alle contestazioni concernenti il corretto adempimento degli obblighi contrattuali, il rispetto delle modalità poste nel contratto per l’effettuazione di determinate prestazioni, ecc.), eventuali controversie che su simili atti si  innestino appartengono alla giurisdizione del G.O. Riserve possono, poi, avanzarsi circa la possibilità di circoscrivere l’ambito di applicazione della legge n. 241/90, vale dire di stabilire se l’ente fosse tenuto, nello svolgere quella determinata attività, a porre in essere un procedimento amministrativo o se, pur tenuta, abbia agito ignorando le norme sul procedimento. Ma ci fermiamo qui, per dedicare qualche osservazione al tema dei comportamenti della P.A.

 

4- Comportamenti della P.A.

E’ noto che, con la sentenza in  rassegna, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale anche l’art 34 del D.Lgs. n. 80 del 1998 (nel testo sostituito dall’art. 7 della legge n. 205 del 2000) nella parte in cui lo stesso devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative all’edilizia e urbanistica non soltanto ove si facesse questione di atti e provvedimenti, ma anche di comportamenti della P.A. Bisogna convenire, d’altra parte, che il ragionamento seguito per pervenire a un simile risultato è stato tuttavia svolto in maniera affatto sintetica e sbrigativa, e con un rinvio a quei punti precedenti ove si discuteva della necessità, perché il legislatore devolva alla giurisdizione esclusiva del G.A. le controversie relative a particolari materie, che la P.A. agisca come autorità.

 

Qui si pongono due ordini di questioni (che saranno esaminate concisamente, in questa sede, per brevità): a) se la sottrazione al G.A. delle controversie concernenti i comportamenti valga solo per l’edilizia e urbanistica, o non, piuttosto, per l’intera giurisdizione esclusiva; b) se la Corte abbia inteso riferirsi ai soli comportamenti materiali, o a tutti gli altri.

 

Cominciando da quest’ultimo punto, osserviamo che, in conformità alle impostazioni seguite dagli autori che si sono interessati dell’argomento della responsabilità della P.A., in particolare quella extracontrattuale[11], il riferimento alla condotta o comportamento dell’agente che opera per un organo della P.A. (pubblico dipendente) implica una contrapposizione all’atto (più spesso il provvedimento) amministrativo: nelle trattazioni del tema, segnatamente, della risarcibilità delle lesioni inferte a posizioni giuridiche soggettive come gli interessi legittimi[12], si tengono generalmente distinte le fattispecie di danno derivante dall’emissione (o mancata emissione, in caso di doverosità del provvedere, o ritardata emissione) da quelle connesse ad attività ed operazioni poste in essere dall’agente della P.A. o al di fuori dei suoi compiti istituzionali, oppure nell’ambito degli stessi, ma con una colorazione particolare dell’elemento psicologico, caratterizzato dalla presenza del dolo o comunque di una intenzione sviata, diretta a porre in essere la condotta (che si riveli, poi) lesiva per una finalità diversa da quella sottostante al provvedimento tipico. Più in particolare, alcuni parlano di comportamento materiale per indicare quelle condotte dell’agente consistenti non in attività di tipo procedimentale, dirette a sfociare in un provvedimento, e non nel provvedimento medesimo (in thesi illegittimo o illecito), bensì in attività tecniche (come sarebbero, ad es., le prestazioni svolte nel contesto dello svolgimento di pubblici servizi quali l’insegnamento ovvero l’attività dei sanitari e delle altre figure professionali non mediche nell’ambito del servizio sanitario nazionale), operazioni o attività più propriamente materiali come la guida di un autoveicolo, la riparazione di uno strumento, e così via, da cui scaturisse il fatto illecito (damnum iniuria datum).

 

Ebbene, l’operato dei pubblici dipendenti in siffatti ambiti, qualora si ponga come lesiva di un diritto soggettivo, è stata da sempre ritenuta fonte di responsabilità aquiliana (di cui all’art. 2043 c.c.), ai sensi dell’art. 28 Cost. (responsabilità solidale dell’ente pubblico e del dipendente), nonché degli art. 22 ss. del T.U. sullo status degli impiegati civili dello Stato. Dunque, il danno ingiusto in tal modo arrecato a terzi va risarcito secondo le regole della responsabilità civile extracontrattuale, in forza delle regole poste dagli art. 2043 ss. del codice. Certo, può discutersi (e in concreto ciò frequentemente avviene) se il  pubblico dipendente cui sia ascrivibile il comportamento fosse, effettivamente, da considerare in servizio oppure no, se i compiti che stava svolgendo al momento in cui si è prodotto il danno derivante dalla sua condotta rientrassero, o meno, in quelli di sua competenza, se sussistesse in concreto una volontà sviata, e così via. Ma rimane il fatto che, una volta accertato che la fattispecie concreta presenta i caratteri di siffatto tipo di responsabilità, la stessa va ricompressa nello schema legale ad essa inerente, con la conseguenza che ne discendono. Incidentalmente, con riguardo a tali conseguenze, si osserva che il giusto rilievo assume in simile tipo di responsabilità l’indagine sull’elemento psicologico e la sua intensità, contrariamente a quanto si ritiene, secondo  un orientamento consistente di una parte della giurisprudenza e della dottrina[13], in relazione alla reintegrazione patrimoniale in merito alla lesione di interessi legittimi e dei diritti patrimoniali consequenziali (di cui alla legge n. 205 del 2000) . Va da sé (diciamo qui brevemente) che competente a conoscere delle relative controversie doveva già prima ritenersi il giudice ordinario (siccome, in principio, vengono in  questione lesioni di diritti soggettivi non connesse allo svolgimento di attività autoritativa o comunque inerente allo svolgimento di un procedimento, e che non si traduce nell’emissione di un provvedimento).

 

Ora, si può ritenere che il sopravvenire prima degli art. 33 – 35 del D. Lgs. 80 del 1998 e poi dell’art. 7 della legge n. 205 del 2000 –con l’introduzione della concentrazione della giurisdizione sulle controversie concernenti il risarcimento del danno ingiusto nelle fattispecie ivi indicate presso il G.A. che, così, veniva a conoscere, oltre che dell’annullamento degli atti e comportamenti illegittimi, anche di questa fase ulteriore di contenzioso in precedenza riservata al G.O. (i primi nell’ambito della sola giurisdizione esclusiva; l’art. 7, modificandoli e in tal modo “legificandoli”[14], in tutta intera la giurisdizione del G.A.)- avesse modificato la situazione sommariamente descritta? L’avere, cioè, il legislatore ricompreso anche i comportamenti della P.A. in questa nuova giurisdizione sulla reintegrazione patrimoniale –espressamente in relazione all’edilizia e urbanistica (art. 34), implicitamente nella materia dei pubblici servizi (art. 33) e nella giurisdizione generale di legittimità (art. 35 nella parte –comma 4°- in cui modificava l’art. 7.3 della L. n. 1034 del 1971) - aveva comportato l’attrazione in detto ambito di giurisdizione di tutti i comportamenti, in particolare anche dei comportamenti materiali?

 

Orbene, anche se il dato testuale delle novelle legislative non aiutava a dare una risposta sicura, un’interpretazione di tipo logico- sistematico induceva a far propendere per la tesi che, quanto meno per quanto concerne la giurisdizione generale di legittimità, i soli comportamenti materiali in senso stretto fossero da ritenere tuttora rientranti nella giurisdizione del G.O. Invece, per quelli comunque connessi, anche indirettamente, o ad un procedimento amministrativo, o all’emissione di provvedimenti sviati, o all’omissione di atti e provvedimenti doverosi, era da ritenere che le controversie inerenti fossero attratte nel nuovo ambito di cognizione del G.A.

 

Più problematica si  presentava la questione in relazione alle controversie inerenti alle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva –vecchia e nuova- del G.A. Ed invero, posto che la giurisdizione, in simili ambiti, non poteva non riferirsi anche ai comportamenti, per così dire, paritetici della P.A., e posto, altresì, che pacificamente la giurisdizione esclusiva veniva intesa come giurisdizione sul rapporto (anche se il giudice amministrativo ha sempre distinto, al suo interno, fra controversie concernenti atti autoritativi e liti nascenti da atti paritetici, cui, in questa sede, possiamo ritenere assimilabili i comportamenti), sembrava doversi concludere che ogni contesa giudiziale nascente all’interno del rapporto, ad es., concessorio,[15] appartenesse alla cognizione del G.A. A tali conclusione si giungeva (come accennato retro) estrapolando la regola espressa posta dall’art. 34 in relazione all’edilizia e urbanistica e applicandola, con interpretazione logico- sistematica- a tutta intera la giurisdizione esclusiva.

 

Ora, a seguito della sentenza 204 del 2004, le cose cambiano aspetto, almeno in parte, dal momento che, sic et simpliciter, i comportamenti della P.A. vengono espunti dalla giurisdizione esclusiva (in verità, come si è detto, limitatamente alla materia dell’urbanistica e dell’edilizia), con una motivazione che rinvia, nella sua notevole semplicità, a quanto nella sentenza si era detto poco addietro a proposito del senso da attribuire all’espressione “particolari materie”, su cui ci siamo poco addietro soffermati. D’ora in poi, a seguito della sentenza 204 (che ha espunto i comportamenti dalla devoluzione alla giurisdizione esclusiva del G.A. delle controversie concernenti l’urbanistica e l’edilizia, modificando in tal senso l’art. 34), bisognerà tenere ben distinti i casi di impugnazione di atti e provvedimenti, per i quali rimane detta giurisdizione esclusiva, dalla contestazione dei comportamenti della P.A nelle stesse materie.

 

Senza troppo dilungarci sul punto, ci si chiede se anche il ricorso contro il silenzio o inerzia dell’amministrazione competente –che è, incontestabilmente- un comportamento[16]- vadano attribuiti alla cognizione del G.O. La risposta affermativa ad un simile quesito avrebbe, in verità, il sapore di un paradosso, e costituirebbe comunque un’aporia del sistema, dato che l’istituto del silenzio (in particolare il silenzio- rifiuto) è stato elaborato e si colloca per intero nel contesto della giurisdizione amministrativa, ragion per cui parrebbe all’incirca un fuor d’opera deferire al giudice ordinario l’azione contro il medesimo [a meno che non lo si voglia configurare come un comportamento “particolare”, per qualche verso, onde giustificarne -ad es. rispolverando la concezione del silenzio come finzione di atto- l’attrazione nella giurisdizione del G.A. (generale di legittimità?)].

 

Peraltro, sembra innegabile che il qualificare come comportamenti oppure atti determinate fattispecie non è cosa semplice o pacifica, dal che discende comunque la problematicità del criterio di suddividere la giurisdizione fra i giudici ordinario e amministrativo, nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del G.A., sulla base della distinzione atto – comportamento. Così, se -per riferirsi a una casistica ben nota e sottostante alla pronuncia in discorso- l’occupazione sine titulo di un terreno da parte dell’ente pubblico espropriante in assenza (tout- court) di un decreto di esproprio o della dichiarazione di pubblica utilità dell’opera da realizzare, o in presenza di un provvedimento da ritenere inesistente o nullo perché affetto da vizi comportanti, appunto, l’inesistenza o la nullità dell’atto (per avere, ad es., l’ente agito in chiara carenza di potere) deve configurarsi come un comportamento materiale (come tale determinante l’attrazione della controversia inerente nella giurisdizione del G.O.), cosa si dirà in relazione all’ipotesi che siffatti provvedimenti esistano ma debbano ritenersi illegittimi perché affetti da vizi determinanti, appunto, (solo) l’illegittimità o invalidità dell’atto?

 

Quanto all’estensione dell’area interessata dalla sottrazione dei comportamenti alla cognizione del G.A. (nell’ambito della giurisdizione esclusiva), si è già detto che, formalmente, ciò ha pronunciato la Consulta solo in relazione alle materie dell’edilizia e urbanistica (art. 34). Tuttavia il nesso logico istituito onde pervenire a simile conclusione con il ragionamento fatto addietro in relazione alle “materie particolari” (con un ragionamento di ordine sistematico), porta a trarne la conclusione che la giurisdizione sulle controversie imperniate sulla contestazione di un comportamento abbia valenza generale, vale a dire estesa all’intero ambito della giurisdizione esclusiva del G.A. (vecchia e nuova). Dunque, la piana interpretazione della sentenza porta a concludere che le controversie inerenti ai comportamenti (non materiali, nel senso sopra chiarito) sono comunque sottratte alla giurisdizione del G.A. (compresa quella esclusiva).

 

Ma si tratta di soluzione che, verosimilmente, apre più problemi di quanti non ne risolva (analogamente a quanto deciso in relazione alla distinzione fra atti in cui la P.A. agisce come autorità e atti “paritetici”, distinzione (ri)adottata come criterio di riparto di giurisdizione, secondo quanto si è osservato), rendendo difficoltoso il discrimine fra le due giurisdizioni, e interrompendo quel circolo virtuoso che si era innescato, tendente a concentrare, per quanto possibile, tutti i tipi di controversie di un dato settore o materia davanti al medesimo giudice.

 

5- Decreti ingiuntivi e altro.

Stante l’indirizzo assunto dalla Corte costituzionale, di stampo (si direbbe) rétro siccome diretto a restaurare dottrine e concezioni fino a poco tempo fa in auge, anche se pressate da indirizzi giurisprudenziali dottrinali alquanto critici, si potrebbe essere indotti a pensare che l’interrotta “tribunalizzazione”[17] del giudice amministrativo possa comportare anche il venir meno delle competenze in materia di decreti ingiuntivi e ordinanze c. d. provvisionali assegnategli dall’art. 8 della legge n. 205 del 2000 (come pure qualcuno ha prospettato).

 

Senonché, a parte la considerazione che la pronuncia della Corte non riguarda la norma in questione, non essendole stata prospettata alcuna possibile incostituzionalità della stessa, né essendo stata essa richiamata nella sentenza, pare evidente che non può inferirsi dalla sentenza 204 alcuna illazione del genere. Ed invero, le competenze in questione, secondo il dato testuale della norma, riguardano le “controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo aventi ad oggetto diritti soggettivi di natura patrimoniale”, i quali diritti soggettivi patrimoniali continuano ad inerire alla medesima giurisdizione esclusiva, anche se commisti –o in aggiunta- a posizioni di interesse legittimo. Soltanto, si potrà constatare una sostanziosa contrazione della casistica in relazione alla quale il G.A. sarà chiamato ad emettere ordinanze o decreti del genere, proprio per la constata contrazione della sua giurisdizione esclusiva. Beninteso, quanto alle controversie rimaste attribuite alla giurisdizione esclusiva, ove si controverta su diritti a contenuto patrimoniale, ben potrà verificarsi tuttora l’eventualità che il G.A. venga adito per l’emissione di provvedimenti di tal fatta.

 

6.1- Riflessi sulla ripartizione della giurisdizione in tema di contratti della P.A.

Ad una valutazione ancora provvisoria (vale a dire, salvo riflessioni più approfondite), parrebbe che la sentenza 204 possa fornire una quanto meno parziale soluzione della ben nota vexata quaestio della distribuzione della giurisdizione sulle controversie concernenti la fase di esecuzione dei contratti della P.A. A tale riguardo si ricorda, brevemente, che l’art. 33 del D. Lgs. n. 80/1998, come modificato dall’art. 7 della legge 205 del 2000, nel testo vigente fino alla “manipolazione” operata dalla pronuncia della Corte costituzionale che ne occupa, devolveva alla giurisdizione esclusiva del G.A. “tutte le controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi…”. Ebbene, è facendo leva su tale dicitura testuale, messa a confronto con le altre norme scritte in tema di giurisdizione (l’art. 6 della legge 205; il comma 2 lett. d) del richiamato art. 33) che una molto recente pronuncia della sezione V[18] perveniva a rigettare l’eccezione di difetto di giurisdizione in una controversia concernente un caso di risoluzione per inadempimento del contratto di appalto stipulato per lo svolgimento del servizio di raccolta di rifiuti solidi urbani. In buona sostanza argomentava la sentenza citata che, trattandosi di servizio pubblico in senso proprio (vale a dire reso nei confronti dei cittadini- utenti, e non a vantaggio della stessa amministrazione appaltante), sulla scorta del menzionato art. 33.1 la cognizione del G.A. deve intendersi estesa –oltre che all’affidamento dell’appalto di servizi- anche alla fase riguardante l’esecuzione del contratto stipulato a seguito dell’affidamento dell’appalto di servizi.

 

Secondo detta pronuncia, invero “tutte le controversie relative alla fase successiva all’affidamento e alla stipula del contratto per l’esecuzione di un servizio pubblico, nonostante la loro attinenza ai diritti soggettivi e obblighi sorti nella fase esecutiva del contratto stesso, ricadono nell’alveo della nuova giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 7 L. 21 luglio 2000 n. 205, sol che incidano direttamente sull’espletamento del servizio, proprio per effetto dell’attribuzione generalizzata di tale tipo di giurisdizione in ordine a tutta la gamma di controversie ipotizzabili ratione materiae nel vasto ambito fenomenico dei servizi pubblici”[19].

 

Come pare evidente, la causa non poteva essere stata decisa successivamente alla sentenza 204 della Corte costituzionale, ad onta della data di pubblicazione (infatti, la causa è stata decisa nella camera di consiglio del 27 gennaio 2004). Dopo la 204, non può ragionarsi in detti termini, proprio perché è stata cancellata la dicitura “tutte le controversie in materia di pubblici servizi”. Tuttavia, ci sembra di poter dire che il testo dell’art. 33, comma 1 riscritto dalla Corte sia tale che, negli ambiti dei servizi pubblici rimasti nella giurisdizione esclusiva del G.A. per effetto della stessa[20], l’indirizzo assunto dalla sentenza del Consiglio di Stato testé richiamata può continuare a sostenersi. Ed invero, si deve ritenere che, quanto meno le controversie nascenti da provvedimenti di risoluzione del contratto di appalto di servizi, ecc. per inadempimento o di recesso dal medesimo, assunti mediante esercizio di quell’autoritatività che la Corte costituzionale stessa dice essere presupposta dall’art. 11 in capo alla P..A procedente- parte del contratto rimangano attratte nella giurisdizione esclusiva del G.A.

 

Per ora, in merito a questo argomento ci fermiamo qui -ribadendo che, negli ambiti più ristretti cui si è accennato, pare sostenibile la tesi che la giurisdizione esclusiva amministrativa si estenda fino alla fase di esecuzione del contratto[21]-, riservando eventuali approfondimenti ad una prossima occasione.

 

6.2- La c.d. pregiudiziale amministrativa.

Per quanto non direttamene coinvolta dalla sentenza 204, non sarà inutile aggiungere una postilla in merito alla questione c.d. della pregiudiziale amministrativa, vale a dire della quérelle circa la necessità del previo ricorso al G.A. con l’azione di annullamento del provvedimento la cui illegittimità è causa di danni prima di agire in sede di risarcimento (come sostengono il Consiglio di Stato e, nel complesso, i TAR), oppure se possa adirsi direttamente il giudice civile con l’azione di risarcimento, indipendentemente da una previa pronuncia di annullamento dell’atto (come sostengono le S.U.).

 

Bisogna dire al riguardo che la questione –oggetto tuttora di dibattito, e di contrasto fra i giudici ordinario e amministrativo, che appaiono nettamente divisi sul punto- non viene scalfita dalla sentenza 204 del 2004. La questione rimane, dunque, in piedi nei medesimi termini sui quali si era attestato il contrasto alla vigilia della pronuncia della Corte costituzionale. Tanto sembra netto il contrasto che ultimamente le S.U. non si sono fatte scrupolo di riaffermare la tesi sostenuta, anche in via soltanto incidentale e nel contesto di una sentenza che, oltre tutto, risolveva la disputa intorno al conflitto di giurisdizione stabilendo che quella data controversia apparteneva alla giurisdizione (generale di legittimità) del G.A. (in base al criterio c.d. del petitum sostanziale)[22], e che ad esso G.A. appartiene, di conseguenza –ex art 7 della legge n. 205 del 2000- la cognizione dell’azione di risarcimento dei danni inferti a posizioni di interesse legittimo, “senza che all’uopo sia necessaria in via pregiudiziale una illegittimità provvedimentale consacrata dalla pronunzia di annullamento”.

 

Dal canto suo il G.A. continua a riaffermare la linea assunta in ordine alla necessità della pregiudiziale instaurazione dell’azione di annullamento del provvedimento illegittimo, salvi gli opportuni temperamenti riferiti ai casi in cui un provvedimento manchi (essendone doverosa l’emissione) ovvero sia stato adottato tardivamente, in entrambi i casi con produzione di danni al soggetto interessato[23].  

 

7- Prospettive della giurisdizione amministrativa.

Nonostante che sia passato già qualche mese dalla storica sentenza, sembra ancora presto per capire quale possa essere l’avvenire che si prospetta, ora, per la giurisdizione amministrativa, che esce sicuramente ridimensionata dalla menzionata sentenza 204. Se, invero, si può dire che i rapporti fra giurisdizione ordinaria e amministrativa si assesteranno via via, pur fra prevedibili aggiustamenti, nel solco disegnato dalla sentenza 204, indubbiamente peserà questo ritorno all’ortodossia. Senza volere fare facili profezie, ad avviso di chi scrive comincerà a farsi sentire, col tempo, l’esigenza di una revisione della Costituzione anche nella parte (in fondo esigua, anche se di rilievo sotto il profilo dell’assetto della giurisdizione e del suo rapporto con il potere esecutivo) concernente, in particolare, la giurisdizione amministrativa. Del resto, una simile considerazione è contenuta nella stessa sentenza in discorso, che ha ritenuto non giustificata l’evoluzione che aveva interessato, con le ultime novelle legislative, detta giurisdizione senza che fosse stata previamente modificata la Costituzione.

 

Naturalmente non ci si deve nascondere che cominciare a interrogarsi su ipotesi di revisione costituzionale sul punto indurrà a interrogarsi sulla natura stessa di detta giurisdizione, la sua funzionalità e la sua coerenza con il sistema, la sua giustificazione (permanendo l’attuale assetto), e così via. Probabilmente, interrogandosi sulla questione, ci si accorgerà che l’unica soluzione (o una delle poche) compatibile con il mantenimento in vita della giurisdizione binaria o dualistica quanto alle controversie in cui è parte la P.A. è quella prospettata dalla defunta Commissione bicamerale (che introduceva modifiche, fra l’altro, proprio sul punto del criterio di ripartizione della giurisdizione tra i giudici ordinario e amministrativo). Comunque, sarà necessario prospettare ipotesi di revisione costituzionale cui nessuno (all’infuori del citato esempio della Bicamerale), del tutto incongruamente, aveva pensato, limitandosi, dopo lunga incubazione, a proporre modifiche soltanto con legge ordinaria.

                                                                                               Italo  Franco

                                                                                   (Consigliere nel TAR Veneto)

Note:

[1] GAROFOLI, La nuova giurisdizione in tema di servizi pubblici dopo Corte costituzionale 6 luglio 2004 n. 204, scritto tratto da Idem, Trattato di giustizia amministrativa (a cura di F. CARINGELLA, R. GAROFOLI) Tomo I, Il riparto di giurisdizione  (di F. CARINGELLA, R. DE NICTOLIS, R. GAROFOLI, V. POLI),  di prossima pubblicazione per i tipi della Giuffré.

[2] Si veda, al riguardo , lo scritto di CLARICH citato alla nota 4, dall’emblematico titolo: La “tribunalizzazione” del giudice amministrativo evitata

[3] Le parti maggiormente criticabili, non solo ad avviso di chi scrive, sono quelle riguardanti la materie “particolari” e i comportamenti della P.A. (accenni infra, nel testo).

[4] C. Cass., S.U. 30 marzo 2002 n. 72. La sentenza è richiamata (con altre citate in nota), risalenti al ‘2000) da M. CLARICH, La “tribunalizzazione” del giudice amministrativo evitata: commento alla sentenza della Corte costituzionale 5 luglio 2004 n. 204, in corso di pubblicazione su Giornale di diritto amministrativo. 

[5] La cosa è ricordata anche da M. CLARICH, La “tribunalizzazione” del giudice amministrativo evitata…, ma pressoché en passant, senza soverchie considerazioni sul punto, nel contesto di un commento rapido che appare a sostegno delle determinazioni della sentenza annotata.

[6] La sentenza è pubblicata nella rivista telematica giustamm.it – Rivista di diritto amministrativo.

[7] L’osservazione figura, fra gli altri, in G. STANCANELLI, La giurisdizione esclusiva nella sentenza della Corte costituzionale n. 204/2004 (Riflessioni “a caldo”), in questa Rivista.

[8] L’interrogativo  appare vieppiù indecifrabile ove si consideri che la Corte ha richiamato espressamente (al punto 3.4.1), nel contesto del ragionamento condotto al fine della conferma della costituzionalità delle disposizioni sul risarcimento e la reintegrazione in forma specifica anche quanto alla giurisdizione generale di legittimità, di cui all’art. 35 del D.Lgs. n. 80/98, l’art. 13 della legge 19 febbraio 1992 n. 142.

[9] Nell’ampia letteratura sul punto, si rimanda per tutti a R. CARANTA, Giustizia amministrativa e diritto comunitario, Napoli 1992, in particolare pag. 326 ss.

[10] In via puramente logica, dunque, poiché in principio la giurisdizione generale di legittimità riguarda, in quanto tale, tutte le possibili materie (poiché in tutte la P.A. può trovarsi ad agire come autorità), proprio seguendo il ragionamento della Corte, per tutte le materie sarebbe consentito al legislatore prevedere ipotesi di giurisdizione esclusiva.

[11] Ovviamente molti Autori si sono occupati dell’argomento, sia in opere manualistiche o monografiche, sia in articoli e saggi. Ex multis segnaliamo: A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, XIV ed., Napoli 1984, pag. 1111 ss., in particolare 1124; E: CASETTA, Responsabilità della pubblica amministrazione, in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. XIII, Torino 1997, ad vocem; C. GALLUCCI, Responsabilità civile- V Tutela aquiliana degli interessi legittimi, in Enc. Giur., vol. XXVI, ad vocem (aggiornata alla legge n. 205/2000); I. FRANCO, Strumenti di tutela nei confronti della P.A., Padova 2003, pag. 676; ecc.  

[12] Si veda, in particolare, lo scritto di GALLUCCI  citato alla nota precedente.

[13] Per tutti ci sia consentito rinviare a I. FRANCO, Strumenti di tutela nei confronti della P.A. 2^ ed., Padova 2003, pag. 547 ss. e passim, con qualche indicazione di giurisprudenza e bibliografica. 

[14] In tal senso ci eravamo pronunciati nel commento all’art. 7 della legge 205 del 2000 in AA. VV. (a cura di V. ITALIA), La giustizia amministrativa – commento alla L. 21 luglio 2000 n. 205, Milano 2000, pag. 199 (osservazione ripresa, poi, da altri autori).

[15] Tale sembra l’avviso –in verità espresso in relazione alla questione della necessità, o meno, della previa impugnazione dell’atto con l’azione di annullamento, prima di esperire l’azione di risarcimento- anche di M. DIDONNA, La pregiudiziale amministrativa come accertamento non demolitorio (nel risarcimento del danno per equivalente, in GiustAmm.it, rivista telematica di diritto amministrativo [(nota a Cass. S.U. Ord. 26.5.2004 n. 10180 (ivi)].

[16] Si ricorda che il SANDULLI qualificava la giurisdizione del G.A. inerente al silenzio come giudizio su rapporto, pur nel contesto della giurisdizione generale di legittimità (A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amm., cit., pag. 1334 ss.). 

[17] Secondo l’espressione usata da M. CLARICH, La “tribunalizzazione” del Giudice Amministrativo evitata…, cit.

[18] Cons, Stato, sez V, 12.10.2004 n. 6574, in www.giustizia-amministrativa.it.

[19] Cfr. punto 2 del “Diritto”, in fine.

[20] Si ricorda: le controversie in materia di pubblici servizi relative a concessioni di pubblici servizi; controversie relative a provvedimenti adottati dalla P.A. o dal gestore di un pubblico servizio nell’ambito di un procedimento disciplinato dalla L. 241 del 1990 (compresi gli atti inerenti agli accordi ex art. 11); controversie relative all’affidamento di un pubblico servizio, alla vigilanza e controllo, anche sul credito, sui servizi farmaceutici, telecomunicazioni, ecc. 

[21] Modifichiamo in parte, in tal senso, con la menzionata riserva di approfondimento, l’opinione che avevamo espressa in I. FRANCO, Riforma dei servizi pubblici locali e giurisdizione esclusiva del G.A., in Riv. Trim. app., 11/2003, pag. 780-823 e 795.

[22] Cass., S.U., ord. 26.5.2004 n. 10180, in www.giustamm.it, con nota di DIDONNA, La pregiudiziale amministrativa come accertamento non demolitorio…, cit. (ove, fra l’altro, si prospetta l’interessante tesi che il G.A. possa far luogo al risarcimento alla ditta esclusa anche nell’ipotesi che il previo giudizio di annullamento sia sfociato in una pronuncia non di illegittimità dell’atto impugnato, bensì di inammissibilità del ricorso, ad es., per intempestivo deposito ex art. 23-bis della legge n. 1034 del 1971 (nota 14). Ragionamento analogo, in relazione a fattispecie in qualche modo parallela (omissione o ritardo colpevole di provvedimento doveroso, fa TAR Veneto, sez. I, 25 giugno 2003 n. 3414, richiamata  dalla conforme sentenza TAR Calabria, Sez. II, 11 maggio 2004 n. 1070, in Rass. i TAR,, 5-6/2004, II, 360.    

[23] Da ultimo le sentenza del  TAR Calabria CZ citata alla nota precedente (che fa proprio l’orientamento deel TAR Veneto ivi menzionato), in Rass. i TAR, loc ct., con nota di P. VELLUSO, La c.d. pregiudiziale amministrativa (ove sono riportati i due contrari orientamenti giurisprudenziali).