inserito in Diritto&Diritti nel febbraio 2002

La privatizzazione delle carceri: una iniziativa moralmente ripugnante?

di Stefano Palazzi


"Funzionario delle
Nazioni Unite, e-mail: palazzi@un.org"

Sintesi

 

Per rispondere alla domanda, volutamente provocatoria, contenuta nel titolo di questa ricerca, é necessario verificare se la privatizzazione delle carceri, presente da anni in forma massiccia in molti Paesi esteri, soprattutto anglosassoni (USA, Gran Bretagna, Australia), sia stata in grado di fornire una risposta esaustiva agli interrogativi sulla credibilità del sistema, sul risparmio di denaro pubblico e sul miglioramento delle condizioni di vita e dei programmi di riabilitazione per i detenuti. Sulla base della documentazione raccolta, si può giungere alle seguenti conclusioni:

 

La credibilità del sistema privato deve essere migliorata, tramite la completa trasparenza degli accordi contrattuali tra lo Stato e le imprese, assicurando che il reale potere di supervisione rimanga direttamente sotto controllo statale.

 

Nonostante quanto asserito dal settore privato, non ci sono prove che le prigioni gestite privatamente costituiscano un risparmio di denaro pubblico, e ciò in parte é dovuto alle difficoltà di comparazione tra prigioni pubbliche e quelle private. Un recente studio del Ministero dell’Interno britannico conclude che in media, le prigioni gestite privatamente hanno fornito un risparmio del 13 % per quanto riguarda il rapporto costo/detenuto, ma nessun o limitato risparmio qualora vengano presi in esame i costi per “posti certificati” (ossia il numero totale di posti che la prigione é autorizzata a fornire) e per “posti disponibili” (il numero totale dei posti, esclusi quelli temporalmente indisponibili).

 

Anche le potenzialità del settore privato per quanto concerne il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione carceraria rimangono poco chiare. Negli Stati Uniti i risultati raggiunti dalle prigioni gestite privatamente per ciò che riguarda le condizioni di vita ed i programmi di riabilitazione dei detenuti appaiono più scadenti di quelli ottenuti in Gran Bretagna, ove più efficaci meccanismi di controllo impongono al settore privato di offrire migliore rendimento.

 

Lo Stato dovrebbe mantenere una responsabilità diretta nella gestione di tutto il sistema di giustizia. In particolare, relativamente all’universo carcerario, il settore privato potrebbe fornire servizi logistici, mentre il fondamentale ruolo di vigilanza e di custodia dovrebbe rimanere una pubblica responsabilità.

 

Introduzione

 

La risposta alle dure parole del titolo dipende ovviamente al gruppo al quale tale domanda viene rivolta: il pubblico in generale, la popolazione carceraria, sociologi, criminologi, lo Stato o le compagnie private interessate. Ed anche all’interno di questi gruppi troveremmo probabilmente differenze di opinione.

A livello semplicistico, possiamo affermare che la privatizzazione delle carceri certamente non é ripugnante per le imprese destinate a gestire o coinvolte nella gestione di un istituto di pena.

D’altro canto, un approccio deterministico troverebbe la privatizzazione delle carceri sicuramente “moralmente ripugnante”, una conferma diretta della teoria che vede nella prigione una invenzione della società capitalista, dove “i prigionieri devono essere lavoratori, i lavoratori devono essere prigionieri” (Melossi D. e Pavarini M., 19810 (1). Il massiccio coinvolgimento del settore privato nel tema “prigione” in alcuni Paesi esteri (USA, Regno Unito, Australia), e l’apparente mancanza di credibilità di tale processo, per alcuni autori sembrano confermare l’idea di una “re-feudalizzazione” del momento punitivo: “... L’originale e monolitico sistema correttivo sta sperimentando un violento processo di cambio... Si tratta quasi di un passo indietro nel tempo, una contraddizione al processo di centralizzazione amministrativa della pena, che é emerso con la formazione dello Stato Moderno. Ciò potrebbe essere assimilato ad un processo di re-feudalizzazione dell’azione punitiva” (Pavarini M., 1995) (2).

In maniera più pragmatica, in questo articolo si analizzeranno i problemi derivanti dal processo di privatizzazione, verificando se hanno soluzione.

Il primo grande problema é quello della “credibilità” di tale sistema, inserito in un più esteso processo di privatizzazione, in quanto la mancanza o una diminuzione di credibilità  in un argomento così delicato come la gestione delle carceri dovrebbe essere visto come un serio ostacolo per la sua applicazione in vasta scala. Inoltre, rifletteremo se gli obiettivi che lo Stato vuole raggiungere con tale manovra sono stati raggiunti. Ciò essenzialmente significa trovare risposta alle seguenti domande:

La privatizzazione delle carceri offre un reale risparmio economico per lo Stato?

Garantisce un miglior utilizzo del denaro pubblico, e quindi migliori condizioni di vita e migliori programmi di riabilitazione per la popolazione carceraria?

 

Credibilità

 

Negli ultimi anni, governi di differente credo politico nel mondo occidentale hanno adottato un modello economico che sottolinea il loro ruolo di operatori economici. Aree strategiche di intervento sono state cedute al settore privato, che ha gradualmente sostituito lo Stato, o perlomeno ha incominciato a fornire servizi in un numero sempre maggiore di attività:

Trasporti (ferrovie, autostrade, trasporto urbano, compagnie di linea area);

Salute (ospedali e cliniche private);

Educazione (scuole private, dall’asilo nido all’università);

Comunicazione (compagnie televisive e telefoniche);

Energia (elettricità, acqua, gas);

Servizi (poste, banche).

Tra le conseguenze di tale modello economico possiamo includere un restringimento del legittimo ruolo dello Stato. Per esempio, alcuni servizi sociali, soprattutto per la protezione delle parti più vulnerabili della società, sono stati rimpiazzati dal concetto “colui che beneficia di servizi paga”.

In ogni caso, lo Stato ha continuato ad assumersi la responsabilità diretta per le conseguenze dell’uso del potere di mantenere l’ordine e di imporre sentenze (che hanno conseguenze non solo sul delinquente, ma anche sulla vittima e sulla società in generale), attraverso la creazione ed il progressivo aggiornamento del sistema della Giustizia.

Credibilità per gli interventi dello Stato é molto più facile da ottenere quando questi usi suoi propri agenti (magistrati, forze dell’ordine, polizia penitenziaria); nel momento in cui il ruolo di tali agenti (o parte di essi) siano giocati da una azienda privata, vincitrice di un appalto, aumenta la possibilità che disservizi o condotte inadeguate risultino “insabbiati”.

Ovviamente, l’opinione pubblica avverte una maggiore mancanza di credibilità in presenza di messaggi contraddittori e confusi da parte delle forze politiche. Particolarmente significativa da questo punto di vista é la posizione assunta dal Partito Laburista in Gran Bretagna. Parlando alla Conferenza Annuale dell’Associazione della Polizia Penitenziaria il 21 Maggio 1996, Jack Straw, attuale Ministro degli Esteri, affermò che il Partito Laburista, se chiamato al governo nelle elezioni del 1997, avrebbe onorato i contratti esistenti per la gestione delle prigioni private, ma si sarebbe astenuto da ulteriori privatizzazioni, poiché egli trovava “...moralmente inaccettabile che il settore privato si occupi della carcerazione di coloro ai quali lo Stato ha imposto una pena detentiva... quasi tutti crediamo che questa sia un’area dove non c’è spazio per il libero mercato” (Prison Privatisation Report International, Numero 1, Giugno 1996) (3). Ma solo un anno più tardi, nel giugno 1997, lo stesso Straw, nominato Ministro dell’Interno del nuovo governo laburista,  ha deciso di continuare con la politica di fornire ulteriori spazi al settore privato.

Talvolta gli Stati che hanno portato avanti un piano di privatizzazione delle carceri non hanno lasciato abbastanza tempo all’opinione pubblica per abituarsi all’idea e per sviluppare un dibattito pubblico sul tema. In una prospettiva estrema, qualcuno potrebbe arrivare a pensare che il numero in costante crescita di detenuti, che scontano pene sempre più lunghe, é qualcosa di cui le compagnie private hanno bisogno per incrementare i loro profitti, facendo sorgere preoccupanti domande su chi veramente c’è  dietro le politiche penali di un Paese.

Per evitare i diversi tipi di problemi cui può portare una diminuzione della credibilità, é importante che il processo di privatizzazione:

goda di una completa trasparenza degli accordi contrattuali tra lo Stato e le ditte appaltatrici;

preveda che il reale potere di controllo rimanga direttamente sotto controllo statale, con la garanzia di una costante e genuina opera di supervisione da parte di diversi Uffici ed Istituzioni (che in Gran Bretagna, per esempio, viene svolta dal Prison Ombudsman, dal Prison Service e dal HM Chief Inspector of Prisons).

Tali basiche ma importanti azioni dovrebbero essere sufficienti a rassicurare il pubblico in generale e gli operatori di giustizia (magistrati e forze dell’ordine) in particolare. Un segnale di allarme in questo senso si può trovare nelle parole del giudice Frank Vincent: “Quando emetto una sentenza sul conto di una persona, non sto “facendo affari” con un cliente, né credo che la società veda tale processo in questo modo. Alla resa dei conti, nelle Aule di Giustizia, bene o male  noi emettiamo sentenze e creiamo una cornice per la reintegrazione e –speriamo- la riabilitazione dell’imputato. La società dovrebbe essere fiduciosa del fatto che le imposizioni che provengono dalla Corte sono sensate, attuate in maniera appropriata e che i diritti di coloro ai quali tali imposizioni sono dirette siano rispettati” (Giudice Frank Vincent, 1997) (4).

 

 

Costi

 

Fin dalle origini del programma di privatizzazione delle carceri, uno degli argomenti centrali fu che il settore privato sarebbe stato più economico. L’allora Direttore Generale del British Prison Service, Richard Tilt,  affermò “Dobbiamo osservare ciò che sta facendo il settore privato: a tutt’oggi sembra che gli istituti di pena gestiti privatamente siano capaci di raggiungere un uguale livello di servizio per un costo significativamente inferiore” (The Guardian, 1995) (5). In Australia “il risparmio economico sembra essere la motivazione principale per optare per la privatizzazione perlomeno per i prossimi anni” (Bob Semmens, 1995) (6).

Raffronti tra prigioni pubbliche e private sono difficili, dato che é complesso stabilire veridiche condizioni di confronto. Per esempio, comparare il prezzo stabilito per contratto per una prigione “privatizzata” con il budget annuale per la gestione di una pubblica (anche se entrambe fossero dello stesso tipo, della stessa epoca di costruzione, con lo stesso design, numero e categorie di detenuti con le stesse necessità e con lo stesso tipo di servizi forniti –cosa difficile da trovare-), non servirebbe a molto, dato che ci sono una miriade di ulteriori costi, spesso nascosti, da prendere in considerazione. “Anche disaggregando i costi di una singola prigione nel sistema statale dal resto, il calcolo dei costi richiede tutta una serie di approssimazioni...non é possibile fornire una risposta onesta alla maggior parte delle domande sulla questione del “costo”” (Mick Ryan, 1994) (7).

La difficoltà di comparare i costi e quindi di calcolare i “risparmi” offerti dal settore pubblico, può spiegare l’esistenza di punti di vista molto differenti sul tema, che possono essere sintetizzati nella maniera seguente:

La posizione delle compagnie private. Da una parte, le compagnie private affermano orgogliosamente di poter fornire un servizio di qualità in collaborazione con lo Stato ad un costo minore per il contribuente. L’obiettivo centrale di queste imprese può essere descritto come “una operazione economicamente efficace che riduce i costi per il governo ed il cittadino e che realizza profitti per la compagnia” (Anne Dutney, 1997) (8). Spesso l’argomento del risparmio economico é visto come una perfetta e logica giustificazione dell’intero processo di privatizzazione: “CCA (Corrections Corporation of America, una delle più grandi multinazionali dell’universo “carceri private”) é una industria in cerca di profitto. La dimensione “morale” della gestione privata delle prigioni é spesso il punto più importante del dibattito. Il punto di vista della CCA é che qui stiamo parlando di fornire un determinato servizio ad un determinato livello ad un prezzo stabilito dentro una cornice legislativa. Se quanto richiesto viene raggiunto ad un prezzo più basso per il contribuente, dal nostro punto di vista é difficile vedere la previsione di un margine di profitto per l’impresa come qualcosa di immorale” (ibid.).

Con parole differenti, nei loro annunci di marketing, le compagnie interessate affermano lo stesso concetto: privatizzare significa risparmiare denaro pubblico. Secondo la già citata CCA (9), “... negli ultimi dieci anni, almeno 14 differenti studi indipendenti hanno comparato i costi delle prigioni gestite privatamente e quelle pubbliche. Dodici di questi studi provano che il costo delle prigioni privatizzate é dal 2 al 28 % più economico di quelle gestite dalla Stato”. Per Correctional Systems Incorporated (10), “Municipi, Province ed il governo si stanno rivolgendo con sempre maggior frequenza al settore privato per risolvere il problema della crescente popolazione carceraria, e per diverse ragioni. Prima di tutto, il settore privato può costruire nuove carceri o prendere in gestione quelle esistenti in maniera rapida. Secondo, il settore privato si é dimostrato in quasi ogni tentativo di raffronto più economico che il settore pubblico: in molti casi, i costi del settore privato sono inferiori del 15/20 %”. Per un’altra impresa statunitense, Prison Realty Trust (11) “le istituzioni locali statunitensi stanno chiedendo di fare di più con meno risorse. Nuove leggi relative ad aumenti di tasse sono di difficile approvazione, l’emissione di Titoli dello Stato é esaminata con sempre maggior attenzione, però i contribuenti  pretendono più servizi e miglioramenti nell’educazione e nella sicurezza e bilanci in pareggio. Noi siamo in grado di fornire una soluzione unica nel suo genere a questo tipo di problemi”.

 

Il punto di vista delle organizzazioni umanitarie. Un considerevole numero di organizzazioni stanno lottando oggi contro la privatizzazione delle carceri. Uno degli argomenti principali da queste usati per dimostrare l’inutilità di tale operazione é che non c’è una prova reale di risparmio di denaro pubblico e che quindi i richiami alla “economicità” dell’intervento del settore privato dovrebbero essere visti come esagerati o devianti. Viene sottolineato per esempio che nel 1989, nel Regno Unito, in uno studio di fattibilitá dell’uso del settore privato per i detenuti in attesa di giudizio preparato da una impresa di consulenza, si affermava: “Tutti i potenziali appaltanti dichiarano di poter gestire un centro per i detenuti in attesa di giudizio più efficacemente del Prison Service (l’equivalente britannico del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria). In particolare, si propone di risparmiare riducendo il personale e razionalizzando la struttura direttiva... Le ditte appaltanti, tuttavia, non sono state in grado di fornire dettagliate, quantificate giustificazioni per gli asseriti miglioramenti in efficienza” (Deloitte, Haskins & Sells, 1989) (12).

Anche l’esperienza degli Stati Uniti, che hanno adesso più di 15 anni di storia di carceri private, non sono convincenti. Nel maggio 1994, l’ex assistente del controllore generale del General Accounting Office (la “Corte dei Conti” statunitense), affermava: “...E’ stato detto che la proprietà e la gestione privata delle prigioni massimizza i vantaggi della privatizzazione in termini di efficienza ed efficacia .... Sono stati intrapresi numerosi studi per stabilire il reale peso di questi risparmi, ma nessuno di questi é stato in grado di fornire una risposta chiara” (Harry S. Havens, 1994) (13).

Secondo un economista del Department of Research for the American Federation of State, County and Municipal Employees, il raggiungimento di consistenti risparmi economici attraverso la privatizzazioni delle prigioni rimane sostanzialmente senza prove: “Dalla privatizzazione delle carceri non é derivato né un risparmio economico né un miglioramento nella qualità del servizio fornito. Dopo un decennio di sperimentazione con prigioni gestite privatamente, la sola conclusione che si può trarre riguardo al fatto se stiano facendo risparmiare denaro pubblico o meno é che le prove sono ancora inconcludenti“ (Russel Clemens, 1995) (14).

 

Il punto di vista dell’Home Office: Recentemente, il 23 marzo 200, la Divisione Research Development and Statistics dell’Home Office, il Ministero degli Interni britannico, ha pubblicato la “Ricerca sui costi e attività comparati delle prigioni private e quelle pubbliche nel periodo 1998/1999”, a cura di Isabelle Park (15). Le seguenti sono le conclusioni della ricerca:

“58.     Lo studio dimostra che in media, le prigioni gestite privatamente hanno offerto un risparmio sul costo gestionale del 13 % per quanto riguarda il rapporto costo/detenuto, ma nessun o limitato risparmio qualora vengano presi in esame i costi per posti certificati (ossia il numero totale di posti che la prigione é autorizzata a fornire) e per i posti disponibili (ossia il numero totale di posti, esclusi quelli temporalmente indisponibili);

Per due delle misurazioni, costi per posti certificati e per posti disponibili, la differenza tra i costi delle prigioni private e quelle pubbliche si é ridotto in forma consistente su base annuale tra il 1994/95 ed il 1997/98. Le prigioni private hanno offerto un risparmio limitato o risparmio zero sulla base di queste misurazioni nel 1997/98. Tale risultato é continuato nel 1998/99, dove le prigioni gestite privatamente hanno offerto un risparmio dell’1 % sul costo per posti disponibili e risparmio zero per posti certificati;

Per quanto riguarda il risparmio prendendo in conto il rapporto costo/detenuto, la differenza tra le prigioni private e quelle pubbliche si é attestata sul 13 %, continuando la tendenza sostanzialmente stabile fin dal 1994/95;

Senza considerare la prigione di Doncaster (che rappresenta la principale fonte di risparmio offerto dalle prigioni private), il 9 % di risparmio sul rapporto costo/detenuto offerto dalle carceri private nel 1997/98 é continuato nel 1998/99. Prendendo in considerazione le misurazioni per posti certificati e posti disponibili, tuttavia, le prigioni gestite privatamente sono state 2-3 % più costose che quelle pubbliche”.

 

 

Un miglioramento delle condizioni di vita dei detenuti?

 

L’altro importante aspetto portato avanti dalle compagnie private e dai governi per giustificare la scelta della privatizzazione del carcere, é che in una prigione gestita privatamente il denaro pubblico sarebbe utilizzato in un modo migliore, migliorando le condizioni di vita della popolazione carceraria e fornendo migliori programmi di riabilitazione.

Questo é un punto molto importante, perché si prende in considerazione il processo di privatizzazione non solo dal punto di vista “economico” e dei risparmi (per lo Stato) e dei guadagni (per le imprese) che potrebbero derivarne. Teoricamente, optare per la privatizzazione delle carceri potrebbe essere la risposta corretta se ciò rappresentasse un miglioramento per i detenuti, indipendentemente dalla variabile “costi”.

Questo punto, inoltre, é strettamente relazionato al concetto di “credibilità”: un sistema carcerario più efficiente, aperto ad ogni tipo di controllo da parte dello Stato per assicurare il pieno rispetto dei diritti dei detenuti ed in grado di fornire concreti risultati di riabilitazione e di reinserimento nella società, di ridurre il livello di recidiva e di proteggere la popolazione, sarebbe probabilmente completamente accettato dalla società, non importa se gestito privatamente o dallo Stato.

Sfortunatamente, anche il reale potenziale del carcere privato sotto questo aspetto é poco chiaro e caratterizzato da forti discussioni.

La situazione, in ogni caso, sembra abbastanza diversa tra quello che accade negli Stati Uniti ed Australia da una parte ed in Europa, in particolare in Gran Bretagna, dall’altra.

Negli Stati Uniti, secondo recenti ricerche, ci sono oggi circa 145 istituti di pena gestiti privatamente, con una popolazione carceraria di circa 77.000 reclusi, numero che é più che raddoppiato in meno di un decennio. Il continuo sorgere di seri problemi nelle condizioni di vita dei detenuti ed i modesti risultati raggiunti dalle carceri private nella loro riabilitazione possono essere spiegati con la rapida crescita dell’industria del carcere privato, con i differenti criteri adottati dagli Stati e con il particolare punto di vista politico che, come dimostra la politica del “three strikes and you’re out” (secondo la quale il colpevole di tre infrazioni minori al codice penale, in caso di recidiva viene punito con la massima pena), sembra più preoccupata di mettere in galera che di riabilitare. Bisogna inoltre considerare il fatto che sia il partito democratico che quello repubblicano sono fautori della crescita delle privatizzazioni. Nelle ultime elezioni, il candidato alla presidenza USA Ralph Nader ha chiesto a  Bush e Gore di dire alle multinazionali di “uscire dall’industria del carcere”. Secondo le sue parole “... gli uomini politici assecondano il timore per l’aumento della criminalità, la popolazione carceraria aumenta a dismisura, e le multinazionali vedono come un’opportunità di profitto quello che dovrebbe invece essere considerato una crisi nazionale”. Nader ha anche sfidato Bush e Gore a restituire le donazioni ricevute dalle compagnie private (Prison Privatisation Report International, Numero 37, settembre-ottobre 2000) (16). Il Sovrintendente del Department of Corrective Services del New South Wales (Australia), afferma: “... Gli Stati Uniti hanno favorito la privatizzazione degli istituti di pena. La rivista New Yorker tre mesi fa ha dedicato un numero al tema criminalità e pena. Commentando la relazione della Commissione Giustizia federale, la rivista ci ricorda che negli Stati Uniti si trova in prigione un numero di cittadini ben più grande che in qualsiasi altro Paese occidentale. Insieme ad altre altrettanto sconvolgenti citazioni, ci viene detto che sebbene gli Stati Uniti abbiano il più alto tasso di povertà infantile tra i Paesi industrializzati, molte città americane oggi spendono più denaro nella sicurezza che nell’educazione. Si é sviluppato un “complesso di prigione industrializzata”, che ha scoraggiato misure alternative alla carcerazione; nelle aree rurali americane sono state costruite più carceri durante gli ultimi quindici anni che nei precedenti due secoli... Ma forse la statistica più allarmante della relazione é che uno su quattro uomini negli Stati Uniti é stato arrestato”. Il Sovrintendente conclude “... Mi disturba la prospettiva di imprese private (e dei loro dipendenti) il cui futuro economico dipende da un crescente numero di reclusi (con pene più lunghe), che potrebbero influenzare i partiti politici. L’etica e la moralità di una segreta lobby “legge e ordine” di questo tipo é altamente discutibile” (Leo Keliher, 1997) (17).

La situazione in Gran Bretagna sembra migliore.

Il numero delle multe applicate alle imprese per inadempimenti contrattuali é andato diminuendo nel corso degli anni, e poche di esse sono direttamente relazionate alle condizioni di vita dei detenuti. Tra il 01.12.97 ed il 30.08.98, per esempio, una delle principali imprese private che gestisce prigioni inglesi, Group 4, ha ricevuto multe per più di 212 mila sterline (circa 700 milioni di Lire) per oltre 700 inadempimenti contrattuali, dei quali solo 44 erano riferiti a insuccessi nel fornire condizioni di vita favorevoli per i detenuti  (18).

A tale proposito, é interessante analizzare l’andamento di uno degli obiettivi dichiarati nella “Relazione annuale del HM Prison Service – Aprile 1999/Marzo 2000” (19), quello di assicurare che i reclusi trascorrano almeno 24 ore alla settimana in attività utili: secondo tale relazione, questo obiettivo non é stato raggiunto, dato che la media settimanale delle attività utili é stata di 23.2 ore. Secondo la già citata ricerca del Ministero dell’Interno inglese (15), in generale le prigioni gestite privatamente hanno fornito più attività utili e più ore fuori dalla cella che le corrispettive prigioni pubbliche. Estrapolando grafici e numeri forniti dalla ricerca, nel 1998/1999 la media settimanale delle ore trascorse in attività utili é stata di 20.2 ore per recluso nelle prigioni pubbliche e di 23.6 ore (un dato quindi molto vicino all’obiettivo del Prison Service) in quelle private.

Il 13 luglio 2000 l’Ispettorato delle Prigioni inglese ha pubblicato il rapporto di una breve visita non annunciata al Carcere di Buckley Hall (gestita dall’impresa Group 4) (20). L’istituto é descritto come “una prigione decisamente buona” e che ha intrapreso numerose iniziative innovative in differenti aree di intervento. Queste includono:

Un programma di partnership per la riabilitazione dei detenuti, che ha coinvolto datori di lavoro locali, Servizi Sociali, il locale Istituto Case Popolari e organizzazioni volontarie, che é descritto come un buon modello pratico;

Il Centro di Salute sta portando avanti un avanzato programma di riabilitazione di tossicodipendenti ed ha dato vita ad un programma unico nel suo genere per il trattamento dell’epatite C, per il quale é stato premiato con il Butler Trust Award, che viene concesso quale riconoscimento per iniziative di eccezionale livello tra il personale del Prison Service;

Il Centro di Orientazione sulla Casa, organizzato dai detenuti, al quale i carcerati vengono iscritti al momento dell’arrivo, é stato ampiamente lodato dall’Istituto Case Popolari;

Il programma di educazione soddisfa sia necessità generiche che quelle individuali.

Nell’ambito di tale relazione, l’Ispettore Capo delle Prigioni Sir David Rambotham afferma: “Questa ispezione ha cercato di sottolineare i buoni risultati ottenuti nel trattamento e nelle condizioni di vita dei detenuti e di evidenziare le aree di miglior funzionamento da portare avanti all’interno della prigione e di altri Istituti... Ci sono poche carceri di categoria C nel Paese in cui i servizi per i detenuti sono forniti in maniera così soddisfacente come in Buckley Hall, che é esattamente quello per cui Group 4 é stata contrattata. Tutti gli interessati devono essere elogiati per i risultati raggiunti”.

Non sempre i rapporti suonano così entusiastici.

Nella “Relazione di una ispezione completa, 22-26 Novembre 1999” (21), pubblicata nell’aprile 2000,  relativa al carcere di Lowdham Grange (una prigione di 500 posti per maschi adulti, aperta nel febbraio 1998 e finanziata, costruita e gestita dall’impresa Premier Prison Service Ltd.), l’Ispettore Capo afferma: “... questa é una valutazione positiva, ancor più quando si consideri i risultati raggiunti in un periodo di tempo così limitato”. Ma la relazione includeva anche aspetti negativi, quali:

L’organizzazione del personale non sempre assicurava un ambiente sicuro sia per i prigionieri che per le guardie;

Si registrava una carenza di attività utili per i detenuti.

Nel rapporto su un’altra prigione gestita dalla Premier Prison Service (22), quella di Kilmarnock, aperta nel marzo 1999, l’unico carcere finanziato, progettato, costruito e gestito privatamente in Scozia, l’Ispettore Capo delle Prigioni asseriva:

“La prigione ha avuto un incoraggiante periodo di inizio attività, sebbene, in termini di aggressioni al personale, sia il carcere scozzese più violento;

Esiste la necessità di fronteggiare con maggiore fermezza comportamenti criminali;

Alcuni detenuti conducono una vita senza stimoli e non sempre sono incentivati ad affrontare i loro comportamenti criminali”.

Nel documento “Valutazione del Centro di Recupero Medway (Hagell A., Hazel N. E Shaw C., pubblicato nel 2000 dall’Home Office) (23), il primo Centro di Recupero per minorenni recidivi (12-14 anni) gestito privatamente in Gran Bretagna, i ricercatori hanno concluso che: “se da una parte la sicurezza del centro é in generale adeguata o buona, dall’altra i risultati del controllo sui ragazzi che hanno lasciato il Centro appaiono deludenti. L’introduzione di misure tese alla prevenzione della recidiva ha avuto poco successo, anche se ciò non costituisce una sorpresa, dato che tutto ciò é spesso normale con questo tipo di delinquenza giovanile”.

 

 

Conclusioni

 

Alla luce di quanto sopra riportato, possiamo quindi concludere che la privatizzazione delle carceri ha in sé il potenziale per essere “moralmente ripugnante”. Senza un ruolo di piena responsabilità e di legittimazione da parte dello Stato, con pressioni politiche e scarsa attenzione per i detenuti giustificati dal desiderio di guadagno delle compagnie private, la privatizzazione potrebbe diventare veramente un sistema ingiusto e pericoloso.

Fortunatamente, non siamo ancora arrivati a questi punti.

D’altro canto, si possono trovare anche dei benefici nel processo di privatizzazione delle carceri: per esempio, la necessità di una verifica più severa delle compagnie private ha avuto come conseguenza un miglioramento dei meccanismi di controllo nelle carceri statali, in passato spesso trascurati. In tale caso, si può affermare che il settore privato ha stimolato miglioramenti nel settore carcerario pubblico.

In ogni caso, tuttavia, lo Stato dovrebbe mantenere una responsabilità diretta nella gestione dell’intero sistema di giustizia, a maggior ragione quando non ci sono reali prove di migliori risultati forniti dal settore privato.

Con ogni probabilità, la soluzione migliore é quella portata avanti dall’attuale governo inglese: al Prison Service é stato chiesto di esplorare ogni possibilità affinché nuove prigioni possano essere finanziate e costruite dal settore pubblico, che fornirebbe inoltre i servizi di supporto logistico, mentre il ruolo di vigilanza e di custodia rimanga saldamente tra le responsabilità dello Stato.

 

NOTE

 

Melossi, D. e Pavarini, M. (1981) The Prison and the Factory: Origins of the Penitentiary System, London: MacMillan.

 

Pavarini, M. (1995) “El orden carcelario. Apuntes para una historia material de la pena” in Maier, J. e Binder, A. (eds) El Derecho Penal Hoy, Buenos Aires: Editores del Puerto.

 

Prison Privatisation Report International, No. 1, June 1996, Prison Reform Trust;

 

Frank Vincent, Supreme Court of Victoria, relazione presentata all’Australian Institute of Criminology Conference “Privatisation and Public Policy: A Correctional Case Study”, Melbourne, 16, 17 Giugno 1997;

 

The Guardian, 20.12.1995;

 

“The Public/Private Prison Dilemma in Australia” di B. Semmens, University of Melbourne, relazione presentata all’International Correctional Educational Association Conference, San Francisco, Luglio 1995;

 

“Some arguments against the use of private prisons”, Mick Ryan in “Contrast to Punish: Private or Public?” rapporto di una conferenza organizzata dall’Institute for the Study and Treatment of Delinquency, Manchester, 24 Novembre 1994;

 

Anne Dutney, General Manager Operations, CCA (Corrections Corporation of Australia), relazione presentata all’Australian Institute of Criminology Conference “Privatisation and Public Policy: A Correctional Case Study”, Melbourne, 16, 17 Giugno 1997;

 

www.correctionscorp.com/facts.html

 

www.crxs.com

 

www.prisonreit.com/html/index.htm

 

“The Practicality of Private Sector Involvement in the Remand System” un rapporto all’Home Office di Deloitte, Haskins and Sells, Febbraio 1989;

 

Harry S. Havens, relazione dal titolo “Private Sector Ownership and Operation of Prisons: An Overview of US Experience”, presentata al Convegno dei Capi Ufficio Bilancio organizzato dall’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD), Parigi, Maggio 1994;

 

Dr. Russell Clemens, in “Correctional Journal”, Volume 8, Numero 3, Giugno - Luglio 1995;

 

“Review of Comparative costs and performance of privately and publicly operated prisons 1998-1999” di Isabelle Park, Research Development and Statistic Directorate, Home Office, 23 Marzo 2000;

 

Prison Privatisation Report International, No. 37, Settembre - Ottobre 2000, Prison Reform Trust;

 

Dr. Leo Keliher, relazione presentata all’Australian Institute of Criminology Conference “Privatisation and Public Policy: A Correctional Case Study”, Melbourne, 16, 17 Giugno 1997;

 

Prison Privatisation Report International, No. 35, Maggio - Giugno 2000, Prison Reform Trust;

 

HM Prison Service Annual Report and Accounts – April 1999 – March 2000, presentato nel Luglio 2000 dal Direttore Generale del Servizio Martin Narey;

 

HMP Buckley Hall, rapporto di Sir David Ramsbotham, HM Chief Inspector of Prisons, Luglio 2000;

 

HM Prison Lowdham Grange, “Report of a Full Inspection 22-26 November 1999”, Home Office, Aprile 2000;

 

Rapporto su HM Prison Kilmarnock, HM Inspectorate of Prisons for Scotland, Scottish Executive, Luglio 2000;

 

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