*** Dal 1994 (anno nel quale il
legislatore è intervenuto per porre fine a tangentopoli)
l’amministrazione pubblica è stata privata del potere discrezionale in
fase di aggiudicazione degli appalti di lavori.
Si è voluto rendere
l’aggiudicazione dipendente da fattori matematici ed annullare il potere
decisionale dai funzionari responsabili delle gare pubbliche.
Assoggettata a qualche modificazione
(non sostanziale, bensì tecnica) la procedura di aggiudicazione
attualmente vigente è disciplinata dalla L.109/94.
L’amministrazione, in fase di
apertura delle offerte, deve determinare (per appalti di importo inferiore
alla soglia comunitaria) quali siano automaticamente escluse per
“anomalia” e determinare l’impresa aggiudicataria.
A tal fine la procedura è più o meno
questa: si ordinano le offerte dalla più bassa alla più alta, si
eliminano immediatamente le più vantaggiose e le offerte con minor
percentuale di ribasso (il cosiddetto “taglio delle ali”), si calcola
la media delle offerte rimaste in gara, si trova lo scarto tra le offerte
con ribasso maggiore alla media e la media stessa, si fa la media di
questi scarti e si somma alla precedente e in tal modo si individua la
soglia di anomalia. L’offerta (non anomala)
più prossima a tale percentuale è quella aggiudicataria.
Indubitabilmente l’obiettivo del
legislatore è stato raggiunto. Si è reso l’ambiente circostante
all’aggiudicazione totalmente asettico. Privo di possibilità di
infiltrazioni sia da parte delle imprese che da parte dei funzionari
pubblici.
Dall’altra però occorre rilevare
che l’assoluta casualità dell’aggiudicazione ha reso completamente
inutile qualunque analisi del progetto per la redazione dell’offerta
economica.
E’ ormai molto più utile affidarsi
a numeri fortunati che non a valutazioni ponderate da analisi dei prezzi
posti in capitolato dall’Amministrazione.
Per rendere quanto è accaduto di
facile comprensibilità anche a coloro che non sono specializzati nella
materia oserei paragonare l’attuale sistema di aggiudicazione dei lavori
pubblici ad una tombola.
L’amministrazione pubblica un bando
sul giornale dichiarando di aprire un tavolo da gioco ed invita le imprese
a comprare le cartelle. Le imprese (minimo una cinquantina) acquistano la
cartella e il diritto di partecipare al gioco inviando un’offerta
economica in busta chiusa.
In sede di gara una commissione
aggiudicatrice estrae dal bussolotto tanti numeri (le offerte economiche
delle imprese) le elenca ad alta voce, le ordina e compie le incredibili
evoluzioni aritmetiche che la Legge impone. Infine un funzionario, si alza
in piedi e con voce rotta dall’emozione grida il numero fatidico. Le
imprese scrutano la propria cartella cercando il numero vincente, ma solo
una delle tante potrà eseguire il lavoro.
Gli imprenditori edili da anni si
trovano in questa situazione. La realizzabilità di lavori pubblici è
assolutamente affidata al caso, alla fortuna, alla dea bendata.
Questo significa poter restare per
lunghi periodi senza lavoro da realizzare, costretti a stipendiare operai
che non si possono utilizzare (salvo arrivare all’estrema ratio del
licenziamento).
Questo significa non poter in alcun
modo fare della programmazione del lavoro, non investire in macchinari che
rischierebbero poi di dover attendere la cartella vincente per essere
utilizzati.
Alcuni imprenditori per tutelarsi e
partecipare a più tombole, hanno cercato di diversificare al massimo le
proprie attività paventandosi abili nel compimento di qualunque lavoro,
dalla ricostruzione di un alveo alla ristrutturazione della chiesa di
paese, pur di poter partecipare ad un numero maggiore di appalti e avere
più speranze di incorrere nel numero vincente.
Altri imprenditori invece si sono resi
conto che potevano aiutarsi ancora maggiormente “comprando più cartelle
presso la medesima tombola”. Ovvero potevano accordarsi nel determinare
un ribasso pressoché identico, per cercare di influenzare la media e le
evoluzioni aritmetiche del funzionario pubblico, spingendo l’offerta
vincente verso il ribasso offerto dal proprio gruppo di imprese.
In qualche caso questo atteggiamento,
quando rilevato dall’amministrazione è stato punito con l’esclusione
del gruppo dalla gara e con l’imputazione del reato di turbativa
d’asta.
Nulla quaestio sulla esclusione dalla
gara, inevitabile almeno fino a che questo sistema di gara d’appalto non
sarà modificato, ma vorrei piuttosto soffermarmi sull’analisi del reato
di turbativa d’asta.
L’art.353 del codice penale dispone
che “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni
o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti
o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero
ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e
con la multa da lire duecentomila a due milioni. (…)”.
La turbativa d’asta è un reato
volto a garantire il buon andamento e l’imparzialità delle aste
pubbliche. E’ pertanto rivolto a perseguire l’interesse
dell’amministrazione e della collettività. E la violazione dello stesso
dovrebbe comportare conseguentemente un danno ad entrambe.
Proprio dall’inesistenza di questo
danno io traggo l’origine delle mie convinzioni.
Gli imprenditori edili, determinando
tra loro un offerta economica comune non ottengono la certezza di
aggiudicarsi l’appalto e tanto meno la certezza di pilotarlo verso
questa o quell’impresa.
L’identità di un numero
relativamente basso di offerte, sul totale delle offerte presentate in
gara da tutte le altre imprese, può certamente influenzare una media
aritmetica, ma non determinarla in tutto. Gli imprenditori non possono
sapere a priori quale sarà l’orientamento degli altri offerenti. E non
possono sapere se qualcuno degli altri non presenterà un ribasso simile
al loro incuneandosi senza saperlo all’interno del sistema e rischiando
di usufruire di una situazione incolpevolmente a lui favorevole.
Il fatto che più imprenditori violino
il segreto dell’offerta (si noti bene che è un segreto non codificato e
comunque valido esclusivamente nell’interesse delle imprese per
garantire l’imparzialità dell’amministrazione) rivelandosi tra loro
quale sia il ribasso non può comportare di per sé reato.
La turbativa si costituisce
esclusivamente se le imprese, con il loro comportamento, realizzano un
“cartello” invalicabile per le altre imprese (o meglio, ma questo non
venga detto alle Procure della Repubblica, per gli altri gruppi di
imprese).
Così non è mai nelle gare
d’appalto. Le offerte del gruppo si mescolano con quelle degli altri
imprenditori. Il ribasso che rimane aggiudicatario dell’appalto non
viene condizionato se non in piccolissima parte (sempre per il
ragionamento matematico di quanto una media di
circa 50 numeri possa essere influenzata da una decina di numeri
uguali).
Non voglio in alcun modo, con queste
mie asserzioni, giustificare il comportamento degli imprenditori che
rimane senza dubbio concorrenzialmente scorretto, ma ritengo sia ingiusto
far derivare da ciò gravi conseguenze penali.
Con parole più semplici. Gli
imprenditori non hanno alcuna intenzione di turbare l’asta e
aggiudicarsi un appalto a prezzi incredibilmente favorevoli. Ma cercano
solo di aggiudicarsi l’appalto facendo un prezzo sempre e comunque
favorevole all’amministrazione bruciando sul palo gli altri gruppi di
imprese.
La turbativa d’asta è un delitto
contro la pubblica amministrazione. Il fatto commesso dagli imprenditori
è esclusivamente rivolto ad avversare gli altri imprenditori, mai
l’amministrazione procedente.
Per fare un esempio attuale.
In ambito sportivo è frequente
assistere a tattiche di squadra sportivamente molto scorrette. Queste in
qualche caso sono anche perseguite dal regolamento sportivo che le
punisce. Ma non si rilevano mai conseguenze penali.
Assimilare la turbativa d’asta ad un
fatto gravissimo quali le tangenti negli appalti è come assimilare
l’antisportività di una tattica di squadra al doping.
Infine e concludo. Anche volendo
ammettere che le imprese riescano con il loro comportamento a costituire
una sorta di “cartello”, ciò non può essere considerato un fatto
penalmente rilevante, ma una scorrettezza imprenditoriale civilmente
perseguibile.
L’Unione Europea ha avuto modo negli
ultimi anni di sanzionare alcune imprese che hanno realizzato tra loro
cartelli violando i principi di concorrenza, ma le sanzioni si sono sempre
limitate a sanzioni civili. Mai penali.
Credo che questi argomenti meritino
una riflessione approfondita da parte delle Procure prima di iniziare una
campagna contro gli imprenditori edili che potrebbe solo nuocere
all’intero settore.
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