inserito in Diritto&Diritti nel luglio 2002

Gli accordi tra gli imprenditori edili e il reato di turbativa d’asta

Di Vittorio Miniero

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Dal 1994 (anno nel quale il legislatore è intervenuto per porre fine a tangentopoli) l’amministrazione pubblica è stata privata del potere discrezionale in fase di aggiudicazione degli appalti di lavori.

Si è voluto rendere l’aggiudicazione dipendente da fattori matematici ed annullare il potere decisionale dai funzionari responsabili delle gare pubbliche.

Assoggettata a qualche modificazione (non sostanziale, bensì tecnica) la procedura di aggiudicazione attualmente vigente è disciplinata dalla L.109/94.

L’amministrazione, in fase di apertura delle offerte, deve determinare (per appalti di importo inferiore alla soglia comunitaria) quali siano automaticamente escluse per “anomalia” e determinare l’impresa aggiudicataria.

A tal fine la procedura è più o meno questa: si ordinano le offerte dalla più bassa alla più alta, si eliminano immediatamente le più vantaggiose e le offerte con minor percentuale di ribasso (il cosiddetto “taglio delle ali”), si calcola la media delle offerte rimaste in gara, si trova lo scarto tra le offerte con ribasso maggiore alla media e la media stessa, si fa la media di questi scarti e si somma alla precedente e in tal modo si individua la soglia di anomalia. L’offerta (non anomala)  più prossima a tale percentuale è quella aggiudicataria.

Indubitabilmente l’obiettivo del legislatore è stato raggiunto. Si è reso l’ambiente circostante all’aggiudicazione totalmente asettico. Privo di possibilità di infiltrazioni sia da parte delle imprese che da parte dei funzionari pubblici.

Dall’altra però occorre rilevare che l’assoluta casualità dell’aggiudicazione ha reso completamente inutile qualunque analisi del progetto per la redazione dell’offerta economica.

E’ ormai molto più utile affidarsi a numeri fortunati che non a valutazioni ponderate da analisi dei prezzi posti in capitolato dall’Amministrazione.

Per rendere quanto è accaduto di facile comprensibilità anche a coloro che non sono specializzati nella materia oserei paragonare l’attuale sistema di aggiudicazione dei lavori pubblici ad una tombola.

L’amministrazione pubblica un bando sul giornale dichiarando di aprire un tavolo da gioco ed invita le imprese a comprare le cartelle. Le imprese (minimo una cinquantina) acquistano la cartella e il diritto di partecipare al gioco inviando un’offerta economica in busta chiusa.

In sede di gara una commissione aggiudicatrice estrae dal bussolotto tanti numeri (le offerte economiche delle imprese) le elenca ad alta voce, le ordina e compie le incredibili evoluzioni aritmetiche che la Legge impone. Infine un funzionario, si alza in piedi e con voce rotta dall’emozione grida il numero fatidico. Le imprese scrutano la propria cartella cercando il numero vincente, ma solo una delle tante potrà eseguire il lavoro.

Gli imprenditori edili da anni si trovano in questa situazione. La realizzabilità di lavori pubblici è assolutamente affidata al caso, alla fortuna, alla dea bendata.

Questo significa poter restare per lunghi periodi senza lavoro da realizzare, costretti a stipendiare operai che non si possono utilizzare (salvo arrivare all’estrema ratio del licenziamento).

Questo significa non poter in alcun modo fare della programmazione del lavoro, non investire in macchinari che rischierebbero poi di dover attendere la cartella vincente per essere utilizzati.

Alcuni imprenditori per tutelarsi e partecipare a più tombole, hanno cercato di diversificare al massimo le proprie attività paventandosi abili nel compimento di qualunque lavoro, dalla ricostruzione di un alveo alla ristrutturazione della chiesa di paese, pur di poter partecipare ad un numero maggiore di appalti e avere più speranze di incorrere nel numero vincente.

Altri imprenditori invece si sono resi conto che potevano aiutarsi ancora maggiormente “comprando più cartelle presso la medesima tombola”. Ovvero potevano accordarsi nel determinare un ribasso pressoché identico, per cercare di influenzare la media e le evoluzioni aritmetiche del funzionario pubblico, spingendo l’offerta vincente verso il ribasso offerto dal proprio gruppo di imprese.

In qualche caso questo atteggiamento, quando rilevato dall’amministrazione è stato punito con l’esclusione del gruppo dalla gara e con l’imputazione del reato di turbativa d’asta.

Nulla quaestio sulla esclusione dalla gara, inevitabile almeno fino a che questo sistema di gara d’appalto non sarà modificato, ma vorrei piuttosto soffermarmi sull’analisi del reato di turbativa d’asta.

L’art.353 del codice penale dispone che “Chiunque, con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, impedisce o turba la gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private per conto di pubbliche Amministrazioni, ovvero ne allontana gli offerenti, è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa da lire duecentomila a due milioni. (…)”.

La turbativa d’asta è un reato volto a garantire il buon andamento e l’imparzialità delle aste pubbliche. E’ pertanto rivolto a perseguire l’interesse dell’amministrazione e della collettività. E la violazione dello stesso dovrebbe comportare conseguentemente un danno ad entrambe.

Proprio dall’inesistenza di questo danno io traggo l’origine delle mie convinzioni.

Gli imprenditori edili, determinando tra loro un offerta economica comune non ottengono la certezza di aggiudicarsi l’appalto e tanto meno la certezza di pilotarlo verso questa o quell’impresa.

L’identità di un numero relativamente basso di offerte, sul totale delle offerte presentate in gara da tutte le altre imprese, può certamente influenzare una media aritmetica, ma non determinarla in tutto. Gli imprenditori non possono sapere a priori quale sarà l’orientamento degli altri offerenti. E non possono sapere se qualcuno degli altri non presenterà un ribasso simile al loro incuneandosi senza saperlo all’interno del sistema e rischiando di usufruire di una situazione incolpevolmente a lui favorevole.

Il fatto che più imprenditori violino il segreto dell’offerta (si noti bene che è un segreto non codificato e comunque valido esclusivamente nell’interesse delle imprese per garantire l’imparzialità dell’amministrazione) rivelandosi tra loro quale sia il ribasso non può comportare di per sé reato.

La turbativa si costituisce esclusivamente se le imprese, con il loro comportamento, realizzano un “cartello” invalicabile per le altre imprese (o meglio, ma questo non venga detto alle Procure della Repubblica, per gli altri gruppi di imprese).

Così non è mai nelle gare d’appalto. Le offerte del gruppo si mescolano con quelle degli altri imprenditori. Il ribasso che rimane aggiudicatario dell’appalto non viene condizionato se non in piccolissima parte (sempre per il ragionamento matematico di quanto una media di  circa 50 numeri possa essere influenzata da una decina di numeri uguali).

Non voglio in alcun modo, con queste mie asserzioni, giustificare il comportamento degli imprenditori che rimane senza dubbio concorrenzialmente scorretto, ma ritengo sia ingiusto far derivare da ciò gravi conseguenze penali.

Con parole più semplici. Gli imprenditori non hanno alcuna intenzione di turbare l’asta e aggiudicarsi un appalto a prezzi incredibilmente favorevoli. Ma cercano solo di aggiudicarsi l’appalto facendo un prezzo sempre e comunque favorevole all’amministrazione bruciando sul palo gli altri gruppi di imprese.

La turbativa d’asta è un delitto contro la pubblica amministrazione. Il fatto commesso dagli imprenditori è esclusivamente rivolto ad avversare gli altri imprenditori, mai l’amministrazione procedente.

Per fare un esempio attuale.

In ambito sportivo è frequente assistere a tattiche di squadra sportivamente molto scorrette. Queste in qualche caso sono anche perseguite dal regolamento sportivo che le punisce. Ma non si rilevano mai conseguenze penali.

Assimilare la turbativa d’asta ad un fatto gravissimo quali le tangenti negli appalti è come assimilare l’antisportività di una tattica di squadra al doping.

Infine e concludo. Anche volendo ammettere che le imprese riescano con il loro comportamento a costituire una sorta di “cartello”, ciò non può essere considerato un fatto penalmente rilevante, ma una scorrettezza imprenditoriale civilmente perseguibile.

L’Unione Europea ha avuto modo negli ultimi anni di sanzionare alcune imprese che hanno realizzato tra loro cartelli violando i principi di concorrenza, ma le sanzioni si sono sempre limitate a sanzioni civili. Mai penali.

Credo che questi argomenti meritino una riflessione approfondita da parte delle Procure prima di iniziare una campagna contro gli imprenditori edili che potrebbe solo nuocere all’intero settore.