inserito in Diritto&Diritti nel marzo 2001

Copyright e Stato di Necessita’ , nota a sentenza: Trib. Roma, 15 febbraio 2001 (pubblicata su http://eugius.supereva.it/sentenza_anticopyright.htm)

di Giovanni Fontana ([1])

1. PREMESSA

Il Tribunale di Roma, con la Sentenza del 15 febbraio u.s., individua nel comportamento di uno straniero, trovato in possesso di un esiguo numero di copie di CD masterizzati ovvero, contraffatti, la scriminante dello stato di necessità, di cui all’art. 54 del c.p.

Ciò che peraltro colpisce (ed affascina), chi oggi commenta questa sentenza, non è tanto l’aspetto del giudicato — del resto, comune, ad altri simili giudizi — quanto piuttosto, lo slancio di politica (neppure criminale, ma) economico-sociale, che promana dalla lettura della medesima.

2. FATTISPECIE ED ELEMENTI DI DIRITTO

L’episodio oggetto del giudizio, è riconducibile ad un fatto assai noto agli “addetti ai lavori” e che coincide con la distribuzione di CD sprovvisti di contrassegno SIAE — quindi, contraffatti — da parte di un cittadino straniero. La fattispecie è regolamentata dalla L.D.A. 22 aprile 1941, n. 633, così come recentemente modificata dalla legge in contrasto della c.d. “pirateria” n. 248 del 2000 e per mezzo della quale «viene sempre dato maggiore valore al contrassegno in quanto mezzo che semplifica i controlli e attribuisce certezze, quanto meno in merito alla identificazione del richiedente la vidimazione che è il soggetto che riproduce l’opera sul supporto [...]. Una nozione, quella di certezza, che deve intendersi come certezza apparente non reale, insomma una certezza giuridica» ([2]). Il delitto, è sanzionato nei termini di cui all’art. 171-bis della L.D.A., così come sostituito dall’art. 13 della legge “antipirateria” e quindi, con la diversa qualificazione del dolo specifico, cioè il fine di profitto ([3]): è quindi ovvio, che al concetto di profitto, si debba necessariamente associare quello dell’arricchimento.

Ma ne consegue anche, che la stessa attività d’indagine, deve porre il giudice nella condizione di appurare concretamente questo dato così importante: sul piano soggettivo, dando descrizione compiuta delle fonti di reddito e del tenore di vita condotto dall’indagato; sul piano oggettivo, il considerevole numero di oggetti (comunque nella disponibilità del soggetto attivo del reato, ancorché non rinvenuti sul luogo dell’accertamento) contraffatti, che dimostrino (almeno) la potenzialità del suo arricchimento economico.

E si legge infatti in sentenza che «in via preliminare il Giudice, dopo aver accertato che non risultano nelle carte del P.M., atti tendenti a dimostrare che il prevenuto straniero abbia altre forme di sostentamento oltre quella illecita rilevata» e quindi, che non esista il fine specifico del profitto, quanto piuttosto «lo stato di necessità di salvare se stesso dal pericolo attuale di un danno grave alla salute e alla vita rappresentato dal bisogno alimentare non altrimenti soddisfatto».

E va altresì rilevato, che in linea con la nuova lettura dell’art. 111 della Cost., così come modif. dalla L. Cost. 23 novembre 1999, n. 2 (sul c.d. “giusto processo”), l’onere della prova non incombe più all’imputato, ma spetta al giudice, «valutare anche d’ufficio, già a monte (quindi, allo stato degli atti, N.d.A.) qualunque elemento possa escludere la responsabilità del prevenuto.

3. GIUDIZIO E ANALISI SOCIO-ECONOMICA

Come già detto, la parte centrale della sentenza, è tutta incentrata sull’analisi socio-economica non solo del fenomeno “contraffazione”, in quanto tale, ma anche delle componenti individuali e sociali che, in certo qual modo, la “incentivano”.

Da un lato, quella riconosciuta consuetudine che rende il fenomeno della distribuzione di prodotti contraffatti sotto gli occhi (per niente attoniti!) di tutti. Più in definitiva, manca, rispetto al fenomeno di cui si discute, quel sentimento di deprorevolezza ed allarme sociale che caratterizza il fatto criminoso e che impone l’applicazione della pena.

Piuttosto, si osserva una sorta d’ipocrita solidarietà di massa, che peraltro, è la tipica manifestazione di un disagio collettivo, che il giudice individua come l’impossibilità di accedere compiutamente alle opere dell’ingegno creativo, quale appunto il brano musicale.

In concreto, gli elevati prezzi imposti dal mercato lecito, non garantiscono le prerogative costituzionali (ex art. 2 Cost.) che tendono a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che si frappongono al libero ed egualitario sviluppo della comunità». Ed in ragione di tutto, ne consegue un’azione del tutto naturale — quella dell’acquisto del materiale contraffatto, in una sorta di ricettazione sociale — «tendente a calmierare le sproporzioni economiche del mercato capitalistico in materia».

E tale consuetudine, seppur inidonea a depenalizzare la fattispecie, «incide sull’interpretazione della norma penalistica, quanto meno nel senso di far percepire al giudice quanto possa essere ridotta la forza cogente di una norma espressa, imposta, ma non accettata dalla maggioranza del consesso sociale».

A tutto ciò si aggiunga che «anche sul campo della concreta offensività la New economy ha dimostrato come addirittura la diffusione gratuita delle opere artistiche acceleri paradossalmente la vendita anche degli altri prodotti smistati nei canali ufficiali».

Non da meno, l’ordinamento garantisce comunque la più congrua tutela civile: in certo qual modo, l’intervento dell’accusatore pubblico (in sostituzione di quello privato), si va anche a scontrare con l’economia del processo penale, destinato quest’ultimo alla sola verifica di quei fatti decisamente ed inequivocabilmente offensivi per il bene pubblico (e non certo, per quello privato)([4]).

4. CONCLUSIONI

Si legge ancora che «nel contempo permette di rilevare come ai fini dell’enunciando stato di necessità il fatto del vendere casette per sopravvivere è più che proporzionato al pericolo connesso alla lesione del copyright», per giungere quindi a vedere assolto il cittadino straniero e questo, anche per il fatto che «difetta l’antigiuridicità del comportamento incriminato per mancanza del danno sociale rilevante ai fini penalistici». E’ ben evidente, infatti, che l’attività illecita scriminata, è direttamente connessa «alla sopravvivenza degli extracomunitari entrati nel nostro paese senza alcuna regolamentazione lavorativa, essendo la loro attività di venditori operanti per sopravvivere assolutamente necessaria per sopravvivere e proporzionata al pericolo di danno (minimo se non inesistente visto il numero modesto di cassette contra legem trovate) arrecato ai produttori».

E certamente, in questa breve, ma significativa sentenza, v’è uno “stato d’accusa” ad un sistema amministrativo che malfunziona o fa fatica a funzionare. Certamente, non può essere il sistema giudiziario a risolvere un problema di politica sociale che non c’è e che garantisce l’indiscriminato ingresso nel territorio dello Stato, di sempre più numerosi “clandestini”, che poi, debbono pur vivere.

Ma se questo sistema di controllo di conformità giuridica deve, suo malgrado, intervenire posto che l’azione penale è sempre obbligatoria e le merci poste in commercio sono pur sempre contraffatte e quindi, da qualificare come corpo di reato, è necessario che la polizia giudiziaria, indaghi a 360°, non soltanto od esclusivamente sul fatto-(pseudo)reato, quanto piuttosto su tutto ciò che lo precede e lo succede, onde fornire al giudice cognizione di causa, per poter istruire il giusto processo ovvero, quello più equo.


[1] Ruolo direttivo del Comando Polizia Municipale di Forte dei Marmi (LU) e docente di attività d’indagine della polizia municipale, presso la Scuola per le Autonomie Locali “Civita”, di Torre del Lago (LU)

[2] L. Chimenti, Lineamenti del nuovo diritto d’autore — Direttive comunitarie e normativa interna, IV Ed. , pag. 291, GIUFFRE EDITORE MILANO.

[3] L. Chimenti, Op. cit., pag. 305

[4] Quando parlo di “bene pubblico”, intendo qui ovviamente riferirmi all’interesse dello Stato che, non a caso, può anche coincidere con quello del singolo individuo o della persona giuridica (produttore): ma, pur sempre e soltanto, quando dalla minaccia del singolo interesse, possa risultare minacciato l’intero sistema statuale.