inserito in Diritto&Diritti nel novembre 2000

Conflitti di attribuzione dei domain names

Il problema maggiore che il legislatore europeo[1] incontra nel regolamentare il cyberspazio[2] e’ il fatto che il suo intervento incide solo a posteriori su un sistema che e’ stato ideato e costruito secondo i criteri degli Stati Uniti.

Le “autostrade dell’informazione”[3] infatti vengono prima di tutto progettate e poi materialmente asfaltate da organizzazioni americane. L’esempio più eclatante e’ quello della saga dei domain names.

Come sappiamo, ogni pagina WEB per essere individuata ha bisogno di un indirizzo di Uniform Research Locator. Le URL sono composte da più parole alternate da punti o da trattini.

La parte finale viene detta Top Level Domain (TLD), perché individua una destinazione principale e i TLDs si distinguono a seconda che abbiano estensione generica (.com) o geografica (.it)[4].

Davanti al TLD c’e’ il Second Level Domain che individua il computer e l’indirizzo dell’utente.

Ogni domain name e’ unico perché serve a indirizzare le informazioni che vengono trasferite nella Rete.

La conseguenza di questo sistema e’ che non possono esservi due siti con nomi uguali.

Agli inizi dello sviluppo di Internet l’assegnazione dei nomi di dominio era gestita da una sola persona, Jon Postel, che operava come rappresentante della Internet Assigned Numbers Authority (IANA)[5] sotto contratto con l’agenzia governativa statunitense DARPA.

Nel 1992 la registrazione dei Top Level Domains divenne a pagamento e furono istituite autorità regionali (come la RIPE per l’Europa), mentre le assegnazioni di domini generici furono affidate alla Network Solution, Inc. (NSI), società privata sita nello stato della Virginia, per conto della National Science Foundation americana.

Infine, nel 1998[6] fu creata la Internet Corporation for Assigned Name and Numbers (ICANN).

La ICANN e’ un’organizzazione privata, not-for-prifit, che e’ responsabile per il controllo del sistema dei domain names, della assegnazione degli indirizzi, dello sviluppo di nuovi standards per i protocolli Internet e per l’organizzazione dei grandi fornitori d’accesso[7]. Di fatto rappresenta gli interessi della comunità degli internauti.

Tuttavia, l’ICANN e’ un’agenzia privata, situata in California, pertanto soggetta alla giurisdizione USA. Indirettamente, si ha così una regolamentazione unilaterale da parte statunitense di un fenomeno che per sua natura e’ internazionale.

In particolare e’ da evidenziare che attualmente il criterio base per l’assegnazione dei domain names oggi e’ quello del: “Primo arrivato, primo registrato”[8].

Ciò significa che il titolare di un marchio può vedersi preclusa la possibilità di registrare il proprio segno distintivo come indirizzo elettronico in quanto altri ne ha già ottenuto l’assegnazione.

La procedura di registrazione delineata non rispetta i due principi che sono a fondamento della disciplina giuridica per la protezione dei segni distintivi:

 

1) il principio di territorialità, in base al quale le registrazioni relative ad un marchio hanno un ambito di efficacia limitato all’area geografica per la quale sono state richieste;

 

 2) il principio di specialità, secondo il quale possono coesistere marchi identici, appartenenti a soggetti diversi, ove proteggano prodotti o servizi distinti (e non si tratti di marchi celebri, che in quanto tali godono di tutele ultramerceologiche).

 

Da questa disfunzione derivano abusi e comportamenti ai limiti della legalità, come il “cybersquatting”, ovvero la registrazione di nomi di dominio di Aziende o personaggi famosi, finalizzata alla vendita a caro prezzo a coloro che dovrebbero esserne i legittimi proprietari.

L’Organizzazione Mondiale per della Proprietà Intellettuale[9] ha elaborato nel  1999 un documento[10] sulla regolamentazione dei domain names, specialmente in riferimento alla lotta al “cybersquatting[11].  Il suggerimento e’ di riconoscere particolari diritti ai titolari di nomi o marchi famosi, prevenendo in tal modo la registrazione dei marchi notori da parte di terzi.

Il documento e’ stato trasmesso all’ICANN poiché spetta a quest’autorità, essendo l’unica competente, decidere se adottarlo.

In seguito viene riportato un caso di cybersqatting risolto dalla giurisprudenza italiana.


Il caso Altavista.com[12]

 

La Compaq Computer S.p.A., colosso nel settore informatico e titolare del marchio Alta Vista e del motore di ricerca ad esso collegato “Altavista.com”, lamentava l’utilizzo abusivo dello stesso nome di dominio da parte della società italiana ABX Sistemi (registrato presso la Registration Authority italiana) percependo quest’ultima dalla notorietà del nome e dalla vendita di spazi pubblicitari un ingiusto profitto. Si veniva a creare secondo la ricorrente la fattispecie di contraffazione del marchio e si poneva altresì in essere un atto di concorrenza sleale.

La ABX si costituiva in giudizio ed eccepiva che il nome Altavista.it era stato da lei coniato e registrato presso l’Authority competente per designare una pagina web creata per un cliente, tale Bazzacco Gianfranco, titolare di un’azienda che operava sotto la stessa denominazione nel campo immobiliare. Il dominio “altavista.it” avrebbe infatti fatto riferimento ad un’agenzia immobiliare, esistente fin dal 1981.

In base all’art. 2598, n.1 cod. civ., sulla concorrenza sleale, il Giudice accoglieva il ricorso ed inibiva a ABX Sistemi l’utilizzo del marchio Altavista.

Innanzitutto questa sentenza e’ importante[13] perché da’ una definizione di “motore di ricerca” in Internet:

 “ i motori di ricerca sono realizzati da società specializzate che li inseriscono nella rete consentendone l’accesso gratuito a tutti gli utenti, l’interesse economico che giustifica questa operazione e’ rappresentato dalla vendita di spazi pubblicitari all’interno del programma: e’ evidente che più un motore di ricerca viene utilizzato, più esso acquisisce valore sia come canale di pubblicità sia come mezzo di orientamento dei consumatori”.

In secondo luogo, perché il provider, citato in giudizio in un primo momento dal ricorrente, resta escluso da ogni responsabilità, respingendo la tesi giurisprudenziale[14] che assimilerebbe il gestore di rete ad una sorta di editore che avrebbe l’obbligo di vigilare affinché attraverso la sua pubblicazione non vengano compiuti illeciti di natura civilistica, in particolare l’abusiva registrazione di un nome di dominio in violazione delle regole sulla concorrenza.

Infine, perché non tiene in considerazione il fatto che il nome di dominio era stato registrato nel rispetto del regolamento stabilito dalla Registration Authority, la quale addirittura e’ definita: “soggetto privo di qualunque connotazione o funzione pubblica, istituito su base puramente privata e convenzionale quale filiazione di una più vasta organizzazione sorta a livello mondiale attorno alla rete Internet”[15].

Le conclusioni a cui arriva il Giudice, di contraffazione del marchio e quindi la conseguente condanna, non sarebbero condivisibili se non si specificasse che nella fattispecie la difesa ha omesso di fornire una qualunque prova del rapporto economico che la legava al titolare del marchio immobiliare Altavista.

Si può a ragione dubitare che la ABX Sistemi agisse per conto o con mandato del Bezzacco.

Nei fatti la ABX Sistemi all’inizio aveva utilizzato il nome di dominio altavista.it per fornire servizi informatici, sfruttando la notorietà del marchio americano e l’errore dei consumatori. Solo in seguito all’istaurarsi del procedimento davanti al Giudice aveva accampato una relazione con il marchio del Bezzacco, il quale tra l’altro non si era costituito in giudizio e, presumibilmente, era all’oscuro di tutto.


[1] In un recente articolo intitolato: Europe and the Internet: The Old World and the New Medium, il prof. Franz MAYER dedicava gran parte del suo lavoro a spiegare le motivazioni per le quali a suo avviso la regolamentazione di Internet fosse di fatto una “cosa” americana. Apparso su the European Journal of International Law, (EJIL), Oxford University Press, marzo 2000, pag. 161 e seguenti. A tale impostazione in questa sede ci si richiama.

[2] Termine preso in prestito dalla letteratura fantascientifica per indicare Internet: “un’allucinazione vissuta contestualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione , da bambini a cui vengono insegnati concetti matematici… Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come luci di una città che si allontanano…” dal romanzo di William GIBSON, Neuromante, Milano, Mondatori, 1993.

[3] Termine coniato proprio negli Stati uniti e ripreso dalla comunità degli internauti. Vedi ad esempio L. KALOGEROPOULOS e A. LARAMEE, Multimedia et autoroutes de l’information, Paris, ed. Nathan, 1995.

[4] Più propriamente: Country-code top-level domains (ccTLDs) e Generic top-level domain (gTLDs).

[6] L’evoluzione della regolamentazione nell’assegnazione dei domain names è stata molto sofferta e con numerosi scontri dialettici tra Europa e Stati Uniti. Alla fine del 1997 l’amministrazione Clinton aveva adottato un direttiva intitolata “Presidential Memorandum on Electronic Commerce” che aveva portato all’adozione del Green Paper “Proposal to improbe Technical Management of Internet Names and Addresses”. La Commissione europea in una comunicazione al  Consiglio europeo, 20 febbraio 1998,  aveva risposto a questi documenti manifestando forti critiche sulle politiche USA e chiedendo l’istituzione di una struttura che tenesse conto dell’aspetto  internazionale del nuovo media globale. Gli Stati Uniti avevano allora rivisto il Green Paper e lo avevano riformulato sotto forma di White Paper nel giugno 1998, ma la sostanza rimaneva inalterata.  

[7] Si tratta del root-server-system. Per avere un idea si consideri che al mondo esistono 13 root servers di cui 9 situati negli Stati Uniti. Quelli europei sono a Londra e Stoccolma.

[8] Vedi Giovanni ZICCARDI, La tutela giuridica del nome di dominio, reperibile all’indirizzo  http://www.netjus.org/bulletinita/zic11.htm

[9] World Intellectual Property Organisation (WIPO).

[11] Pratica di registrare nomi di dominio di Aziende o personaggi famosi per poi rivenderli a caro prezzo.

[12] Tribunale di Genova, 17 luglio 1999.

[13] Come sottolineato da Rosario D’ARRIGO nelle note alla sentenza pubblicate in Dir.Inf. marzo 2000, pag. 246 e seguenti.

[14] Vedi F. OLIVIER – E. BARBRY, La responsabilité des prestataires d’hébergement sur l’Internet, in Jurisprudence Pénale Commenté, ed. G, 1999, pag 1085. ma anche M.E. BICHON LEFEUVRE, Note à Cour d’Appel de Paris, 10 février 1999, in D.I.T. 1999, n.2 pag. 54.

[15] Tra l’altro le clausole di esonero della responsabilità che la R.A. fa sottoscrivere ai richiedenti è da considerarsi nulla ai sensi dell’art. 1229 cod. civ., poiché il comportamento dell’Authority integra gli estremi della colpa grave. Vedi anche C. QUARANTA, La registrazione abusiva del domain name, nota al Tribunale Macerata 2 dicembre 1998, in Il dir. Industriale, 1/1999, p.38.

Maurizio DE ARCANGELIS