L'ULTIMO COMMA DELL'ART. 633 C.P.C. NON VIOLA
L'ART. 56 DEL TRATTATO U.E.

Brevissime considerazioni sulla sentenza emessa il 22.06.99
dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea (causa C-412/97).

di Andrea Sirotti Gaudenzi
Avvocato in Cesena

 La norma contenuta dall'ultimo comma dell'art. 633 c.p.c. che vieta il ricorso al procedimento di ingiunzione nei casi in cui la notificazione del decreto debba essere fatta al di fuori del territorio nazionale non rappresenta in alcun modo una violazione dei principi su cui si basa il Trattato dell'Unione Europea.

Questo, in sintesi, il senso della sentenza emessa il 22 giugno 1999 dalla Corte di Giustizia della Comunità Europea (causa C-412/97) in risposta ad una domanda pregiudiziale sollevata dal Pretore di Bologna sulla compatibilità dell'art. 633, u.c. c.p.c. con gli artt. 29, 49 e 56 del Trattato U.E., vale a dire con le norme che tutelano la libera circolazione di merci, capitali e servizi. In quella sede, il giudice nazionale aveva contestato la ratio della norma contenuta nel codice di procedura civile italiano, ricordando come l'ultimo comma dell'art. 633 fosse stato formulato in quel modo dal legislatore al fine di fornire una forte tutela al debitore con residenza all'estero, che avrebbe rischiato di venire a conoscenza del decreto ingiuntivo oltre i limiti di tempo ammessi per proporre opposizione.

Sulla base di queste considerazioni, il giudice nazionale lamentava il fatto che la norma de qua dovesse ritenersi oramai obsoleta, soprattutto in relazione alla possibilità di servirsi dello strumento della notificazione all'estero, riconosciuta da varie convenzioni internazionali, tra cui la Convenzione dell'Aja del 15/11/65 (ratificata dall'Italia con Legge n.42/81).

A queste doglianze presentate dal Pretore di Bologna, bisogna aggiungere le perplessità sollevate da molti operatori del diritto per la diversità tra il decreto ingiuntivo e l'ordinanza di cui all'art. 186-ter, dato che quest'ultima, pur avendo un ambito di applicazione meno ampio del decreto ingiuntivo, può essere emessa anche se il debitore risiede all'estero.

I giudici lussemburghesi, chiamati a decidere sulla compatibilità della norma con i principi del Trattato U.E., hanno rilevato che la norma nazionale contestata non fa altro che sottoporre l'operatore economico (lato sensu) a due regimi processuali diversi a seconda che fornisca merci all'interno dei confini nazionali o le esporti verso altri Paesi. A questo proposito, la Corte di Giustizia ha sostenuto che "la circostanza che i cittadini nazionali esiterebbero per questo motivo a vendere merci ad acquirenti stabiliti in altri stati membri è troppo aleatoria e indiretta perché detta disposizione nazionale possa ostacolare il commercio tra gli stati."

Quindi, ponendo l'attenzione sul fatto che l'art. 633 u.c. c.p.c. rappresenti solo una norma processuale non in grado di modificare la sfera dei diritti soggettivi, la Corte di giustizia ha stabilito il principio in virtù del quale non devono essere intese quali violazioni dell'art. 56 del Trattato U.E. le semplici "modalità procedurali alle quali è soggetta l'azione di un creditore diretta ad ottenere da un debitore renitente il pagamento di una somma di denaro".