SENTENZA DELLA CORTE

5 maggio 1998 (1)

«Agricoltura — Polizia sanitaria — Misure di emergenza contro l'encefalopatia spongiforme bovina — Malattia detta ”della mucca pazza”»

Nella causa C-180/96,

Regno Unito di Gran-Bretagna e Irlanda del Nord, rappresentato dalla signora Lindsey Nicoll, del Treasury Solicitor's Department, in qualità di agente, assistita dai signori Nicholas Lyell, QC, Paul Lasok, QC, e David Anderson, barrister, con domicilio eletto in Lussemburgo presso l'ambasciata del Regno Unito, 14, boulevard Roosevelt,

ricorrente,

contro

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai signori Dierk Booss, consigliere giuridico principale, e James Macdonald Flett, membro del servizio giuridico, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Carlos Gómez de la Cruz, membro del medesimo servizio, Centre Wagner, Kirchberg,

convenuta,

sostenuta da

Consiglio dell'Unione europea, rappresentato dal signor Arthur Brautigam e dalla signora Moyra Sims, consiglieri giuridici, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo presso il signor Alessandro Morbilli, direttore generale della direzione Affari giuridici della Banca europea per gli investimenti, 100, boulevard Konrad Adenauer,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda d'annullamento della decisione della Commissione 27 marzo 1996, 96/239/CE, relativa a misure di emergenza in materia di protezione contro l'encefalopatia spongiforme bovina (GU L 78, pag. 47), e di altri determinati atti della Commissione,

LA CORTE,

composta dai signori G.C. Rodríguez Iglesias, presidente, C. Gulmann, H. Ragnemalm, M. Wathelet e R. Schintgen, presidenti di sezione, G.F. Mancini, J.C. Moitinho de Almeida, J.L. Murray, D.A.O. Edward, J.-P. Puissochet, G. Hirsch, P. Jann e L. Sevón (relatore), giudici,

avvocato generale: G. Tesauro

cancelliere: signora L. Hewlett, amministratore

vista la relazione d'udienza,

sentite le difese orali svolte dalle parti all'udienza del 2 luglio 1997,

sentite le conclusioni dell'avvocato generale, presentate all'udienza del 30 settembre 1997,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1.    Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria della Corte il 24 maggio 1996, il Regno Unito ha chiesto, ai sensi dell'art. 173 del Trattato CE, l'annullamento della decisione della Commissione 27 marzo 1996, 96/239/CE, relativa a misure di emergenza in materia di protezione contro l'encefalopatia spongiforme bovina (GU L 78, pag. 47, in prosieguo: la «decisione impugnata»), e di altri determinati atti della Commissione.

2.    Con atto separato dello stesso giorno, esso ha parimenti chiesto la sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata e/o l'adozione di determinati provvedimenti provvisori. Quest'ultima domanda è stata respinta con ordinanza della Corte 12 luglio 1996, causa C-180/96 R, Regno Unito/Commissione (Racc. pag. I-3903).

3.    Con ordinanza del presidente della Corte 12 settembre 1996, il Consiglio è stato autorizzato ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

4.    Risulta dagli atti che il primo caso di encefalopatia spongiforme bovina (in prosieguo: la «BSE»), malattia detta «della mucca pazza», veniva rilevato nel Regno Unito nel 1986. Tale patologia fa parte di un gruppo di malattie chiamate encefalopatie spongiformi trasmissibili, caratterizzate da una degenerazione del cervello e dall'aspetto spongiforme delle cellule nervose del medesimo, rilevato all'analisi microscopica. Tutte queste malattie colpiscono sia l'essere umano (malattia detta «kuru» in Nuova Guinea e malattia di Creutzfeldt-Jakob, che colpisce generalmente persone anziane) sia diverse specie animali fra le quali i bovini, gli ovini (la «malattia del trotto della pecora» o «scrapie»), il gatto domestico e il visone d'allevamento.

5.    L'origine probabile della BSE consisterebbe in una modificazione della composizione dei mangimi destinati ai bovini, che conterrebbero proteine provenienti da pecore affette dalla malattia detta «del trotto della pecora». La malattia è caratterizzata da un periodo d'incubazione di numerosi anni durante i quali non può essere rilevata sinché l'animale resta in vita.

6.    Per lottare contro tale malattia, a partire dal luglio del 1988 il Regno Unito adottava diversi provvedimenti, tra i quali il divieto di vendita dei mangimi per ruminanti contenenti proteine di ruminanti, e il divieto di alimentare i ruminanti con mangimi di tal genere («Ruminant Feed Ban», contenuto nel Bovine Spongiform Encephalopathy Order 1988, SI 1988/1039, e successive modifiche). Data la presunta origine della malattia, cioè l'ingestione di mangimi contaminati, secondo gli esperti tale divieto avrebbe dovuto impedire nuovi casi di BSE negli animali nati dopo la sua imposizione.

7.    Per ridurre i rischi per la salute umana, il Regno Unito adottava parimenti un certo numero di misure, tra le quali il divieto di vendita e di uso di talune frattaglie specifiche di carni bovine, che si pensava contenessero gli elementi infetti [The Bovine Offal (Prohibition) Regulations 1989, SI 1989/2061, e successive modifiche]. Le parti così escluse erano, segnatamente, la testa e il midollo spinale.

8.    La Commissione adottava anch'essa un certo numero di provvedimenti relativi alla BSE nel Regno Unito, tra i quali la decisione 9 aprile 1990, 90/200/CEE, che stabilisce requisiti supplementari per taluni tessuti ed organi in relazione alla encefalopatia spongiforme bovina (BSE) (GU L 105, pag. 24), sostituita dalla decisione della Commissione 27 luglio 1994, 94/474/CE, che stabilisce misure di protezione contro l'encefalopatia spongiforme bovina e abroga le decisioni 89/469/CEE e 90/200/CEE (GU L 194, pag. 96), a sua volta modificata dalla decisione della Commissione 18 luglio 1995, 95/287/CE (GU L 181, pag. 40). Questi vari provvedimenti concernono l'asportazione dei tessuti di carni bovine che possano contenere l'agente infettivo, nonché l'alimentazione dei ruminanti. La decisione della Commissione 14 maggio 1992, 92/290/CEE, recante misure di protezione contro l'encefalopatia spongiforme bovina (BSE) nel Regno Unito (GU L 152, pag. 37), assoggettava peraltro l'esportazione degli embrioni a condizioni molto rigorose.

9.    Con comunicato 20 marzo 1996, lo Spongiform Encephalopathy Advisory Committee (in prosieguo: il «SEAC»), organo scientifico autonomo, che svolge funzioni di consulente del governo del Regno Unito, riferiva dieci casi di una variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob in persone aventi 42 anni di età o più. Tale comunicato era redatto in questi termini: «Benché non esista nessuna prova diretta di un collegamento, alla luce dei dati attualmente disponibili e in assenza di qualsiasi alternativa credibile, la spiegazione al presente più verosimile (”the most likely explanation”) è che tali casi siano collegati a un'esposizione all'encefalopatia spongiforme bovina prima dell'introduzione, nel 1989, del divieto concernente talune frattaglie specifiche di carni bovine. Tale circostanza è motivo di grande inquietudine».

10.    Nel medesimo comunicato il SEAC sottolineava la necessità imperativa che i provvedimenti adottati in materia di tutela della sanità fossero attuati correttamente e raccomandava un controllo costante della completa asportazione del midollo spinale. Esso raccomandava inoltre che le carcasse di bovini di oltre 30 mesi di età fossero disossate in stabilimenti riconosciuti sotto la sorveglianza del Meat Hygiene Service, che le rifilature fossero classificate come frattaglie specifiche di carni bovine e che fosse vietato l'uso di farine di carni e di ossa provenienti da mammiferi nell'alimentazione di tutti gli animali d'allevamento.

11.    Il giorno stesso il ministro dell'Agricoltura, della Pesca e dell'Alimentazione adottava la decisione di vietare, da un lato, la vendita e la fornitura di farine di carni e di ossa provenienti da mammiferi, nonché il loro uso nei mangimi destinati a tutti gli animali d'allevamento, ivi compresi il pollame, i cavalli e i pesci d'allevamento e, dall'altro, la vendita di carni provenienti da bovini di oltre 30 mesi di età per il consumo umano.

12.    Contemporaneamente un certo numero di Stati membri e di paesi terzi adottavano provvedimenti volti a vietare l'importazione di bovini o di carni bovine provenienti dal Regno Unito o, per quanto concerne i provvedimenti adottati da alcuni paesi terzi, dall'Unione europea.

13.    Il 22 marzo 1996 il Comitato scientifico veterinario dell'Unione europea (in prosieguo: il «comitato scientifico veterinario») concludeva che i dati disponibili non consentivano di provare la trasmissibilità della BSE all'uomo. Tuttavia, in considerazione dell'esistenza di un rischio al riguardo, del resto sempre tenuto presente dal comitato, quest'ultimo raccomandava l'attuazione, nell'ambito degli scambi intracomunitari, dei provvedimenti recentemente adottati dal Regno Unito in relazione al disossamento delle carcasse di bovini di oltre 30 mesi di età in stabilimenti riconosciuti e l'adozione da parte della Comunità di provvedimenti adeguati in materia di divieto di uso di farine di carne e di ossa nell'alimentazione degli animali. Il comitato riteneva inoltre che si dovesse evitare qualsiasi contatto tra il midollo spinale, da un lato, e il grasso, le ossa e la carne, dall'altro, e che, in caso contrario, la carcassa dovesse essere trattata al pari delle frattaglie specifiche di carni bovine. Il comitato caldeggiava infine la prosecuzione delle ricerche relative al problema della trasmissibilità della BSE all'essere umano. Allegata a tale parere compare la seguente dichiarazione di un membro del comitato: «in base ai pochi dati scientifici che si fondano solo sulla valutazione effettuata a partire da materiali provenienti da nove bovini, non possiamo essere certi che la carne bovina sotto forma di muscolo non costituisca un rischio per quanto concerne la trasmissione dell'affezione della BSE».

14.    Il 24 marzo 1996 il SEAC confermava le sue prime raccomandazioni relative al disossamento delle carcasse in stabilimenti riconosciuti, al trattamento come frattaglie specifiche di carni bovine delle rifilature comprendenti i tessuti nervosi e linfatici, la colonna vertebrale e la testa (ad eccezione della lingua, se asportata in assenza di contaminazione), nonché il divieto dell'uso delle farine di carne e di ossa di mammiferi nell'alimentazione dei ruminanti, degli animali domestici e da cortile (ivi compresi pesci e cavalli) o persino come concime su terreni ai quali i ruminanti potessero avere accesso. Il SEAC sottolineava tuttavia di non essere in grado di confermare se esistesse o meno un nesso causale tra la BSE e la variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob scoperta di recente e che tale questione avrebbe richiesto studi scientifici più approfonditi.

15.    Il 27 marzo 1996 la Commissione adottava la decisione impugnata, la quale si fonda sul Trattato CE, sulla direttiva del Consiglio 26 giugno 1990, 90/425/CEE, relativa ai controlli veterinari e zootecnici applicabili negli scambi intracomunitari di taluni animali vivi e prodotti di origine animale, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 224, pag. 29), modificata dalla direttiva del Consiglio 17 dicembre 1992, 92/118/CEE, che stabilisce le condizioni sanitarie e di polizia sanitaria per gli scambi e le importazioni nella Comunità di prodotti non soggetti, per quanto riguarda tali condizioni, alle normative comunitarie specifiche di cui all'allegato A, capitolo I, della direttiva 89/662/CEE, e per quanto riguarda i patogeni, alla direttiva 90/425/CEE (GU 1993, L 62, pag. 49), e segnatamente sul suo art. 10, n. 4, nonché sulla direttiva del Consiglio 11 dicembre 1989, 89/662/CEE, relativa ai controlli veterinari applicabili negli scambi intracomunitari, nella prospettiva della realizzazione del mercato interno (GU L 395, pag. 13), modificata dalla direttiva 92/118, e segnatamente sul suo art. 9.

16.    L'art. 10, n. 1, primo comma, e n. 4, della direttiva 90/425, dispone quanto segue:
«1. Ogni Stato membro segnala immediatamente agli altri Stati membri e alla Commissione, oltre all'insorgere nel suo territorio delle malattie contemplate dalla direttiva 82/894/CEE, il manifestarsi di casi di zoonosi, malattie o fenomeni che possano comportare gravi rischi per gli animali o la salute umana.
(...)
4. In tutti i casi, la Commissione procede senza indugio ad un esame della situazione in sede di comitato veterinario permanente. Essa adotta, secondo la procedura prevista all'articolo 17, le misure necessarie per gli animali e prodotti di cui all'articolo 1 e, se la situazione lo richiede, per i prodotti derivati da tali animali. La Commissione segue l'evoluzione della situazione e, secondo la stessa procedura, modifica o abroga, in funzione di detta evoluzione, le decisioni adottate».

17.    L'art. 1 della direttiva 90/425 riguarda gli animali vivi e i prodotti disciplinati dalle direttive riportate nell'allegato A, nonché quelli di cui all'art. 21, primo comma, della direttiva, vale a dire gli animali e i prodotti di cui all'allegato B della direttiva 90/425.

18.    L'art. 9, n. 1, primo comma, e n. 4, della direttiva 89/662 prevede che:
«1. Ogni Stato membro segnala immediatamente agli altri Stati membri e alla Commissione, oltre all'insorgere nel suo territorio delle malattie contemplate dalla direttiva 82/894/CEE, il manifestarsi di casi di zoonosi, malattie o fenomeni che possano comportare gravi rischi per gli animali o la salute umana.
(...)
4. In tutti i casi, la Commissione procede senza indugio ad un esame della situazione in sede di comitato veterinario permanente. Essa adotta, secondo la procedura prevista all'articolo 17, le misure necessarie per i prodotti di cui all'articolo 1 e, se la situazione lo richiede, per i prodotti d'origine o i prodotti derivati da tali prodotti. La Commissione segue l'evoluzione della situazione e, secondo la stessa procedura, modifica o abroga, in funzione di detta evoluzione, le decisioni adottate».

19.    L'art. 1 della direttiva 89/662 riguarda i prodotti di origine animale disciplinati dalle direttive riportate nell'allegato A o dall'art. 14 della direttiva, vale a dire i prodotti di cui all'allegato B della stessa direttiva.

20.    Il preambolo della decisione impugnata menziona la pubblicazione delle nuove informazioni scientifiche, l'annuncio delle misure supplementari adottate dal governo del Regno Unito (disossamento delle carcasse ottenute da bovini di oltre 30 mesi di età in stabilimenti riconosciuti, sotto la sorveglianza del Meat Hygiene Service, classificazione delle rifilature come frattaglie specifiche di carni bovine e divieto dell'uso di farina di carne e di ossa proveniente da mammiferi nell'alimentazione di qualsiasi animale domestico e da cortile), le misure vietanti le importazioni adottate da vari Stati membri e il parere del comitato scientifico veterinario. Il quinto, il sesto e il settimo 'considerando‘ sono formulati nel modo seguente:
«considerando che nel contesto attuale non è possibile pronunciarsi in maniera definitiva sul rischio di trasmissione della BSE all'uomo; che l'esistenza di tale rischio non può essere esclusa; che l'incertezza che ne deriva ha suscitato grandi preoccupazioni nei consumatori; che, stando così le cose, appare opportuno, quale misura di emergenza, vietare in via transitoria la spedizione di bovini vivi o di carni bovine o di qualsiasi prodotto ottenuto da carni bovine dal territorio del Regno Unito verso il territorio degli altri Stati membri; che, per evitare sviamenti di traffico, è necessario applicare gli stessi divieti alle esportazioni a destinazione dei paesi terzi;
considerando che nel corso delle prossime settimane la Commissione procederà ad un'ispezione comunitaria nel Regno Unito per valutare l'applicazione dei provvedimenti adottati; che si ravvisa inoltre l'opportunità di approfondire sotto il profilo scientifico la portata delle nuove informazioni e le misure da adottare;
considerando che è di conseguenza necessario rivedere la presente decisione dopo aver esaminato tutti gli elementi di cui sopra».

21.    L'art. 1 della decisione impugnata così dispone:
«In attesa di un esame globale della situazione e ferme restando le disposizioni comunitarie in vigore in materia di protezione contro l'encefalopatia spongiforme bovina, il Regno Unito non spedisce dal proprio territorio negli altri Stati membri né nei paesi terzi:
— bovini vivi, né sperma o embrioni di bovini,
— carni della specie bovina macellate nel Regno Unito,
— prodotti ottenuti da animali della specie bovina, macellati nel Regno Unito, che possono entrare nella catena alimentare umana o animale, nonché prodotti destinati ad essere impiegati in medicina, prodotti cosmetici e farmaceutici,
— farine di carni e di ossa provenienti da mammiferi».

22.    In base all'art. 3 della decisione impugnata, il Regno Unito trasmette ogni due settimane alla Commissione un rapporto sull'applicazione delle misure adottate in materia di protezione contro la BSE e, a tenore dell'art. 4, è invitato a presentare «nuove proposte di lotta contro l'encefalopatia spongiforme bovina sul suo territorio».

23.    Il Regno Unito chiede, in via principale, l'annullamento della decisione impugnata della Commissione e, in subordine, l'annullamento dell'art. 1 della medesima nella parte in cui si applica: a) ai bovini vivi la cui esportazione dal Regno Unito è stata autorizzata mediante la decisione 94/474, e/o b) allo sperma e/o agli embrioni di bovini vivi, e/o c) alle carni provenienti da bovini macellati nel Regno Unito in età inferiore ai 30 mesi o alle carni di bovini dei quali sia certificata la provenienza da mandrie rimaste sempre immuni dalla BSE e che non siano mai stati esposti a nessuna fonte reale o potenziale di mangimi contaminata dall'agente della BSE, e/o d) ai prodotti ottenuti a partire da bovini macellati nel Regno Unito che possano entrare nella catena alimentare animale o umana e ai materiali destinati ad essere impiegati in medicina, in prodotti cosmetici o farmaceutici, e/o e) alla gelatina e/o al sego, e/o f) alle esportazioni verso i paesi terzi (a meno che, eventualmente, non esista un rischio reale di sviamento del traffico). Esso chiede anche l'annullamento di ciascuno degli altri atti impugnati e la condanna della Commissione alle spese.

24.    La Commissione e il Consiglio chiedono il rigetto del ricorso e la condanna del Regno Unito alle spese.

Sulla ricevibilità del ricorso nella parte avente ad oggetto gli «altri atti impugnati»

25.    Oltre all'annullamento della decisione impugnata, il Regno Unito chiede l'annullamento di alcune prese di posizione della Commissione, vale a dire dell'annuncio dato il 10 aprile 1996, con il quale la Commissione comunicava che non avrebbe proposto di revocare l'embargo, della dichiarazione del 13 aprile 1996 del commissario Fischler, con la quale quest'ultimo spiegava che la revoca del divieto di esportazione dipendeva dalla «celerità con la quale l'Inghilterra attuerà misure che assicurino che il bestiame potenzialmente contaminato dalla BSE sia eliminato dalla catena alimentare», nonché dell'annuncio dato l'8 maggio 1996, con il quale la Commissione comunicava la sua intenzione di proporre la revoca del divieto di esportazione di taluni prodotti, riconoscendo così implicitamente che il divieto non sarebbe stato revocato per gli altri. Secondo il Regno Unito, queste prese di posizione possono costituire oggetto di un ricorso ex art. 173 del Trattato, in quanto costituiscono o evidenziano l'esercizio di poteri, asseriti o effettivi, della Commissione in forza delle direttive 90/425 e 89/662. Peraltro, quando la Commissione ha l'obbligo di procedere all'esame costante di una situazione, prese di posizioni di tal genere sarebbero atti impugnabili ex art. 173 del Trattato, dal momento che non costituirebbero semplici conferme di una decisione adottata precedentemente, bensì atti distinti, emanati in virtù dei poteri di cui dispone la Commissione, produttivi di effetti giuridici nei confronti della persona interessata dal mantenimento della situazione esistente.

26.    La Commissione viceversa sostiene che tali avvenimenti non costituiscono atti impugnabili ai sensi dell'art. 173 del Trattato poiché non hanno nessuna conseguenza giuridica sulla situazione attuale nel Regno Unito. Se quest'ultimo riteneva che, in un determinato momento, i fatti accertati avessero reso doveroso l'intervento della Commissione, esso poteva proporre un ricorso nelle forme previste dall'art. 175 del Trattato CE.

27.    In base ad una giurisprudenza costante, affinché un atto del Consiglio e della Commissione possa essere impugnato con ricorso d'annullamento è necessario che esso sia destinato a produrre effetti giuridici (sentenza 27 settembre 1988, causa 114/86, Regno Unito/Commissione, Racc. pag. 5289, punto 12).

28.    Non rientra in tale ipotesi l'atto della Commissione che renda manifesta l'intenzione di quest'ultima, o di uno dei suoi uffici, di seguire una determinata linea di condotta (sentenza Regno Unito/Commissione, citata, punto 13) e nemmeno l'atto che costituisca soltanto una conferma di un atto anteriore, di modo che l'annullamento dell'atto confermativo si confonderebbe con quella dell'atto precedente (sentenza 25 ottobre 1977, causa 26/76, Metro/Commissione, Racc. pag. 1875, punto 4).

29.    Le prese di posizione della Commissione indicate dal Regno Unito in sede di ricorso erano mere dichiarazioni di intenti, prive di effetti giuridici, le quali si limitavano per di più a manifestare l'intento di confermare la decisione impugnata.

30.    Ne discende che il ricorso del Regno Unito è irricevibile nella parte avente ad oggetto le prese di posizione della Commissione dei giorni 10 aprile, 13 aprile e 8 maggio 1996.

Nel merito del ricorso

31.    Il Regno Unito allega numerosi motivi a sostegno della sua domanda d'annullamento della decisione impugnata. I primi tre riguardano rispettivamente l'abuso, commesso dalla Commissione, dei poteri ad essa attribuiti dalle direttive 90/425 e 89/662, la violazione del principio della libera circolazione delle merci e lo sviamento di potere. Il quarto motivo del Regno Unito attiene al difetto di motivazione della decisione impugnata. Il Regno Unito deduce, in quinto luogo, la violazione del principio di proporzionalità, in sesto luogo la violazione degli artt. 6 e 40, n. 3, del Trattato CE e, in settimo luogo, la violazione dell'art. 39, n. 1, del detto Trattato. L'ottavo motivo riguarda l'illegittimità dell'art. 1, terzo trattino, della decisione impugnata, segnatamente in quanto esso violerebbe il principio della certezza del diritto. Il nono motivo concerne l'illegittimità delle direttive 90/425 e 89/662, in quanto esse avrebbero un fondamento giuridico inidoneo, vale a dire l'art. 43 del Trattato CE.

Sui primi tre motivi, relativi all'inosservanza dei presupposti cui è subordinato l'esercizio dei poteri della Commissione, alla violazione del principio della libera circolazione delle merci e allo sviamento di potere

32.    Il Regno Unito contesta l'asserito «insorgere» di «zoonosi, malattie o fenomeni che possano comportare gravi rischi per gli animali o la salute umana» ai sensi degli artt. 10, n. 1, della direttiva 90/425 e 9, n. 1, della direttiva 89/662, disposizioni che autorizzano la Commissione ad adottare la decisione impugnata quale misura di salvaguardia, conformemente al n. 4 dei medesimi articoli. Secondo il governo del Regno Unito, la BSE esisteva molti anni prima dell'adozione della decisione impugnata ed era già oggetto di misure adottate dal Regno Unito e dalla Commissione. La decisione impugnata non sarebbe nemmeno giustificata da informazioni che lasciassero presumere l'inefficacia delle misure già adottate contro la BSE o che segnalassero una minaccia non rilevata in precedenza (poiché le misure anteriori erano già fondate sull'idea che la BSE fosse una zoonosi). Esisterebbero solo congetture in merito alla trasmissibilità della BSE tra animali. Per quanto concerne il rischio per la salute umana (ammesso che esista), esso non potrebbe giustificare la decisione impugnata dal momento che era trascurabile, tenuto conto dei provvedimenti già adottati, o riguardava il periodo precedente all'emanazione di misure di controllo della BSE.

33.    Secondo il Regno Unito, dato che i poteri attribuiti alla Commissione dalle direttive 90/425 e 89/662 devono essere esercitati al fine, segnatamente, dell'instaurazione e del mantenimento del mercato interno, la Commissione non ha il potere di vietare le esportazioni dirette verso i paesi terzi. Per quanto concerne il rischio di reimportazione dei prodotti, il Regno Unito sottolinea che l'esistenza di una normativa comunitaria applicabile alle importazioni nella Comunità rende inutile, se non contraria ai principi, un'interpretazione della legislazione comunitaria relativa agli scambi intracomunitari in modo da rendere quest'ultima applicabile anche alle importazioni nella Comunità. Il Regno Unito precisa inoltre che i paesi terzi hanno loro specifiche priorità e norme di tutela della salute e della sicurezza, spesso fondate su norme internazionali riconosciute.

34.    I poteri conferiti dalle direttive 90/425 e 89/662 dovrebbero essere esercitati anche ai fini di salvaguardia della salute dell'uomo e degli animali. Da questo riferimento all'art. 36 del Trattato CE e dai termini impiegati nelle direttive 90/425 e 89/662 il Regno Unito deduce che sono pochi i motivi che possano essere richiamati a giustificazione di un ostacolo alla libera circolazione delle merci. Ragioni di natura economica sarebbero insufficienti ad autorizzare la Commissione ad agire.

35.    Il Regno Unito sostiene infine che ci sarebbe stato uno sviamento di potere in quanto la Commissione avrebbe esercitato il potere attribuitole dalle direttive 90/425 e 89/662 a fini diversi da quelli in esse previsti. In particolare, dal quinto 'considerando‘ della decisione impugnata nonché dalle dichiarazioni della Commissione risalenti all'epoca dell'adozione di questa decisione risulterebbe che quest'ultima è stata presentata come un provvedimento economico, mirante a stabilizzare la situazione, a rassicurare i consumatori e a proteggere il comparto dei bovini.

36.    La Commissione replica che, benché la BSE esistesse già, i comunicati del SEAC hanno portato ad una nuova classificazione di questa malattia, la quale non è stata più considerata nociva solo per il bestiame, ma pericolosa per la salute umana. Queste nuove informazioni modificavano la valutazione del rischio e giustificavano l'intervento della Commissione in forza delle direttive 90/425 e 89/662. La Commissione sottolinea inoltre che non esiste nessun indizio del fatto che i nuovi casi di malattia di Creutzfeldt-Jakob siano dovuti ad un'esposizione precedente al divieto delle frattaglie specifiche di carni bovine, ma che, al contrario, il SEAC ha raccomandato l'adozione di provvedimenti supplementari. Peraltro, gli alimenti infetti non sarebbero necessariamente il veicolo principale di trasmissione. Infine, il divieto del 1988 sugli alimenti ha tardato a produrre effetti, quello del 1989 relativo alle frattaglie specifiche di carni bovine era inefficace e il sistema di controllo dei bovini era inadeguato poiché, in più di 11 000 casi, è stato impossibile ritrovare la mandria di origine degli animali colpiti da BSE.

37.    Per quanto concerne i provvedimenti che essa aveva il potere di adottare in forza delle direttive 90/425 e 89/662, la Commissione ricorda, in primo luogo, che, in materia di politica agricola comune, il legislatore comunitario dispone di un ampio potere discrezionale. Il Consiglio può essere indotto ad attribuire alla Commissione ampi poteri di esecuzione, in quanto essa è la sola in grado di seguire costantemente e attentamente l'evoluzione dei mercati agricoli e di agire con l'urgenza richiesta dalle circostanze. Questi poteri risultano tanto più giustificati quando si tenga presente che devono essere esercitati secondo una procedura che consente al Consiglio di riservarsi di intervenire direttamente. Infine, gli artt. 10, n. 4, della direttiva 90/425 e 9, n. 4, della direttiva 89/662 sono formulati in termini generali e autorizzerebbero la Commissione ad agire «in tutti i casi» e ad adottare «le misure necessarie». Poiché qui si tratta di un divieto di circolazione degli animali e dei prodotti all'esterno di una determinata zona della Comunità, vale a dire di una misura di confinamento, la decisione impugnata sarebbe adeguata.

38.    La Commissione ritiene peraltro che il ricorrente cerchi di realizzare una distinzione artificiosa tra la sanità pubblica e il buon funzionamento del mercato interno. Esaminate in una prospettiva di lungo periodo, le misure adottate erano necessarie alla realizzazione degli scopi delle direttive 90/425 e 89/662, vale a dire la tutela della sanità pubblica e degli animali nella cornice del buon andamento del mercato interno.

39.    Essa sottolinea che una lettura attenta degli artt. 10, n. 4, della direttiva 90/425 e 9, n. 4, della direttiva 89/662 non le vieta di adottare misure nei confronti di paesi terzi quando esse si rivelino necessarie. A causa dell'urgenza delle circostanze e tenendo conto del fatto che la BSE era essenzialmente un problema che affliggeva il Regno Unito, sarebbe stato manifestamente inadeguato e inefficace fondarsi sulla regolamentazione relativa agli animali e ai prodotti provenienti da paesi terzi, poiché ciò avrebbe richiesto la modifica delle direttive relative alle importazioni nella Comunità o negoziati con i paesi terzi.

40.    Nel respingere l'accusa di sviamento di potere, la Commissione rileva che i motivi della decisione impugnata si evincono con chiarezza dai considerando di quest'ultima, i quali sono logicamente collegati con le misure adottate. Essa sostiene che il quinto 'considerando‘ della decisione dev'essere valutato nel suo complesso, e non facendo riferimento solo alla frase relativa alle preoccupazioni dei consumatori.

41.    Il Consiglio spiega che le direttive 90/425 e 89/662 fanno parte di un complesso normativo coerente e completo che è stato elaborato sotto forma di regole comuni in sostituzione delle iniziative unilaterali assunte da ciascun singolo Stato membro in osservanza dell'art. 36 del Trattato. Per quanto concerne i poteri di esecuzione conferiti alla Commissione, dalla struttura del Trattato stesso, nella quale vanno collocati gli artt. 145 e 155 del Trattato CE, nonché dalle esigenze pratiche, risulterebbe che la nozione di esecuzione dev'essere interpretata in senso estensivo, in particolare nella cornice della politica agricola comune, a fortiori in casi di emergenza. Nella fattispecie il Consiglio manterrebbe comunque un certo controllo grazie all'effettiva composizione del comitato veterinario permanente e potrebbe intervenire in osservanza della procedura III, variante b), di cui alla decisione del Consiglio 13 luglio 1987, 87/373/CEE, che stabilisce le modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (GU L 197, pag. 33, cosiddetta decisione «comitologia»)

42.    Il Consiglio ritiene che, nella fattispecie, la Commissione abbia basato la sua decisione sui migliori pareri tecnici e scientifici a sua disposizione; essa ha proceduto alla consultazione obbligatoria del comitato veterinario permanente, ma anche a quella facoltativa del comitato scientifico veterinario. Ad ogni modo essa non poteva ignorare i dati divulgati dal SEAC. Date le circostanze, essa non avrebbe commesso un errore manifesto nell'ambito della sua valutazione iniziale del rischio per la salute animale o umana.

43.    Secondo il Consiglio, i testi delle direttive 90/425 e 89/662, relative alle misure di salvaguardia, non impongono alla Commissione nessun limite né in relazione alla scelta dei provvedimenti, né riguardo al metodo da seguire per intervenire sulla situazione, né relativamente alla durata dei provvedimenti adottati. Il confinamento sarebbe previsto da queste due direttive e, del resto, sarebbe stato deciso in materia di afta epizootica o di peste equina. La BSE sarebbe diversa da queste malattie contagiose, ma determinate misure di isolamento sarebbero nondimeno risultate giustificate dal fatto che la malattia era largamente diffusa su una gran parte del territorio del Regno Unito e che c'erano difficoltà derivanti dalle lacune nell'identificazione degli animali e nel controllo dei loro movimenti, nonché dal numero insufficiente di denunce di casi prima del 1988.

44.    Il Consiglio ritiene pertanto che i provvedimenti di emergenza siano stati giustamente applicati alle esportazioni comunitarie verso i paesi terzi. L'art. 43 del Trattato costituirebbe una base giuridica adeguata e sufficiente per quanto riguarda gli scambi di prodotti agricoli con i paesi terzi e nessun elemento presente nelle direttive 90/425 e 89/662 autorizzerebbe la conclusione che il Consiglio abbia espressamente limitato i poteri che la Commissione esercita in forza della clausola di salvaguardia, escludendo espressamente le esportazioni verso i paesi terzi. Peraltro, le esigenze in materia di sanità pubblica sarebbero inscindibili e universali, di modo che non sarebbero state ammissibili due categorie di norme applicabili, in alternativa, a seconda che i prodotti fossero destinati alla Comunità o ai paesi terzi. Ad ogni modo, l'estensione di un divieto di esportazione ai paesi terzi sarebbe stata giustificata già dalla sola preoccupazione di evitare sviamenti di traffico.

45.    Secondo il Consiglio, la competenza della Commissione si estenderebbe non solo a tutti i prodotti indicati nelle direttive 90/425 e 89/662, ma anche ai prodotti di origine o ai derivati eventualmente non elencati ivi in modo specifico.

46.    Quanto all'argomento relativo allo sviamento di potere, motivato con il fatto che la decisione sarebbe stata adottata per rassicurare i consumatori, il Consiglio afferma che si tratta di una distinzione errata e cita a tal proposito il paragrafo 4 delle conclusioni dell'avvocato generale nella causa C-27/95 (sentenza 15 aprile 1997, Bakers of Nailsea, Racc. pag. I-1847), dove si legge che «l'aver predisposto un adeguato sistema di controlli igienico-sanitario sulla carne contribuisce altresì, e in misura determinante, ad accrescere la fiducia del mercato nella qualità e salubrità del prodotto».

47.    Per determinare se, adottando la decisione impugnata, la Commissione agisse nell'ambito dei poteri ad essa conferiti dalle direttive 90/425 e 89/662, occorre verificare se i presupposti per l'adozione delle misure di salvaguardia ai sensi di queste due direttive fossero soddisfatti, se la Commissione potesse vietare le esportazioni, se questo divieto potesse estendersi ai paesi terzi e, infine, se la Commissione non abbia agito per un fine diverso da quello indicato, commettendo in tal modo uno sviamento di potere.

48.    Gli artt. 10, n. 1, della direttiva 90/425 e 9, n. 1, della direttiva 89/662 dispongono che «il manifestarsi di casi di zoonosi, malattie o fenomeni che possano comportare gravi rischi per gli animali o la salute umana» autorizza l'adozione di misure di salvaguardia.

49.    Nella fattispecie occorre verificare, in particolare, se i comunicati del SEAC, secondo i quali la BSE costituiva la spiegazione più verosimile («the most likely explanation») della nuova variante della malattia di Creutzfeldt-Jakob, autorizzassero l'adozione di misure di salvaguardia malgrado la BSE esistesse già da diversi anni, alcune misure fossero state adottate sia dal Regno Unito, sia dalla Comunità, e il rischio di questa malattia per l'essere umano fosse stato già preso in considerazione.

50.    A tal proposito, occorre rilevare che, ai sensi delle direttive 90/425 e 89/662, l'elemento che giustifica il potere della Commissione di adottare misure di salvaguardia è il fatto che una zoonosi, una malattia o un altro fenomeno vengano giudicati di natura tale da comportare gravi rischi.

51.    Infatti, lo scopo delle direttive 90/425 e 89/662 è di consentire alla Commissione di intervenire rapidamente per evitare la diffusione di una malattia tra gli animali o un danno alla salute umana. Contrasterebbe con tale obiettivo il fatto di non riconoscerle la facoltà di adottare le misure necessarie in seguito alla pubblicazione di informazioni nuove che modifichino in modo rilevante la conoscenza di una malattia, riguardo segnatamente alla sua trasmissibilità o alle sue conseguenze, solo perché la malattia esisteva da lungo tempo.

52.    Nella fattispecie la nuova informazione contenuta nei comunicati del SEAC era il passaggio da un'ipotesi teorica alla possibilità di un collegamento tra la BSE e la malattia di Creutzfeld-Jakob. Infatti, secondo la «spiegazione più verosimile» («the most likely explanation»), i casi di malattia di Creutzfeld-Jakob erano collegati ad un'esposizione alla BSE prima dell'istituzione, nel 1989, del divieto di talune frattaglie specifiche di carni bovine.

53.    Anche se la BSE esisteva già prima, le nuove informazioni comunicate dal SEAC modificavano notevolmente la percezione del pericolo che questa malattia rappresentava per la salute umana, autorizzando pertanto la Commissione ad adottare misure di salvaguardia ai sensi delle direttive 90/425 e 89/662.

54.    Per quanto concerne i poteri della Commissione, le direttive 90/425 e 89/662 sono redatte in termini assai ampi, in quanto autorizzano la Commissione ad adottare le «misure necessarie» riguardo agli animali vivi, ai prodotti derivati da questi animali, ai prodotti di origine animale e ai prodotti derivati da questi ultimi, senza che siano previsti limiti cronologici o geografici relativamente alla sfera d'applicazione dei provvedimenti.

55.    Dalle disposizioni delle direttive 90/425 e 89/662 risulta che solo gli animali e i prodotti di origine animale che soddisfano i presupposti previsti da queste direttive possono essere destinati agli scambi. Spetta alle autorità degli Stati membri speditori verificare, prima di rilasciare le autorizzazioni di esportazione, che tali presupposti siano soddisfatti (artt. 3 e 4 delle direttive 90/425 e 89/662).

56.    In caso di scoperta, nel luogo di destinazione di un carico o durante il trasporto, della presenza di una zoonosi, di una malattia o di una qualsiasi fonte di grave rischio per gli animali o per l'uomo, le direttive 90/425 e 89/662 prevedono che le autorità competenti dello Stato membro destinatario possono ordinare di mettere in quarantena l'animale o la partita di animali nel centro di quarantena più vicino o di abbatterli e/o di distruggerli [art. 8, n. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 90/425], o disporre la distruzione della partita di prodotti di origine animale o qualsiasi altro impiego previsto dalla normativa comunitaria [art. 7, n. 1, lett. a), primo comma, della direttiva 89/662].

57.    Queste disposizioni dimostrano sufficientemente che, in caso di zoonosi, di malattia o di qualsiasi fenomeno che possa comportare gravi rischi per gli animali o per l'uomo, il blocco degli animali e dei prodotti e il loro confinamento in un territorio determinato costituiscono una misura adeguata poiché può essere decisa sia dalle autorità dello Stato membro esportatore, sia da quelle dello Stato membro importatore.

58.    Occorre ammettere che, eventualmente, l'efficacia di tale confinamento rende necessario un divieto totale di circolazione degli animali e dei prodotti al di là delle frontiere dello Stato membro interessato, che colpisce allora l'esportazione destinata a paesi terzi.

59.    A tal proposito, occorre rilevare che le direttive 90/425 e 89/662 non escludono espressamente la competenza della Commissione a vietare le esportazioni nei paesi terzi. Parimenti, come sottolineato dall'avvocato generale nel paragrafo 23 delle sue conclusioni, siffatta limitazione non può essere dedotta dalla circostanza che le dette direttive fanno riferimento ai controlli «applicabili negli scambi intracomunitari», poiché i poteri della Commissione sono subordinati solo alla condizione che i provvedimenti adottati siano necessari ai fini della tutela della salute in un mercato unificato.

60.    Occorre infine ricordare che, dato che la Commissione dispone di un ampio potere discrezionale, segnatamente quanto alla natura e alla portata delle misure che essa adotta, il sindacato del giudice comunitario deve limitarsi a valutare se l'esercizio del detto potere non sia viziato da errore manifesto e da sviamento di potere o se la Commissione non abbia palesemente sconfinato dai limiti del suo potere discrezionale (v. sentenza 25 gennaio 1979, causa 98/78, Racke, Racc. pag. 69, punto 5).

61.    Nella fattispecie le nuove pubblicazioni scientifiche avevano dimostrato la probabilità di un collegamento tra una malattia che colpiva il patrimonio bovino del Regno Unito e una malattia mortale che colpisce l'essere umano e per la quale nessun rimedio è attualmente conosciuto.

62.    Tenuto conto, da un lato, delle incertezze in merito all'adeguatezza e all'efficacia delle misure precedentemente adottate dal Regno Unito e dalla Comunità e, dall'altro, dei rischi giudicati gravi per la sanità pubblica (v. ordinanza 12 luglio 1996, Regno Unito/Commissione, citata, punto 63), la Commissione non ha palesemente sconfinato dai limiti del suo potere discrezionale adoperandosi per confinare la malattia nel territorio del Regno Unito mediante il divieto di esportazioni di bovini, di carni bovine e di prodotti derivati provenienti da questo territorio e destinati sia ad altri Stati membri, sia a paesi terzi.

63.    Benché tale misura produca effetti sulla libera circolazione delle merci, non ne consegue che essa sia contraria al diritto comunitario, dal momento che è adottata conformemente a talune direttive che mirano proprio a garantire la libera circolazione dei prodotti agricoli (v., in tal senso, sentenza 29 febbraio 1984, causa 37/83, Rewe-Zentrale, Racc. pag. 1229, punto 19), a condizione che essa rispetti i principi generali del diritto comunitario fra i quali, segnatamente, il principio di proporzionalità; ciò sarà oggetto di esame nell'ambito del quinto motivo.

64.    Per quanto concerne il motivo relativo allo sviamento di potere, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, costituisce sviamento di potere l'adozione, da parte di un'istituzione comunitaria, di un atto allo scopo esclusivo, o quantomeno determinante, di conseguire fini diversi da quelli dichiarati o di eludere una procedura appositamente prevista dal Trattato per far fronte alle circostanze del caso di specie (v., segnatamente, sentenza 12 novembre 1996, causa C-84/94, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. I-5755, punto 69).

65.    Come ha sottolineato l'avvocato generale nel paragrafo 21 delle sue conclusioni, non sarebbe corretto rifarsi, nel contesto dei 'considerando‘ della decisione impugnata, solo alla frase relativa alle preoccupazioni dei consumatori per descrivere gli scopi della decisione.

66.    Infatti, se è vero che lo scopo di una decisione dev'essere ricercato analizzando i suoi 'considerando‘, questa analisi deve vertere sul testo nella sua interezza e non su un elemento isolato. Nella fattispecie, dal complesso dei 'considerando‘ della decisione impugnata risulta che la Commissione ha adottato i provvedimenti provvisori perché era preoccupata per i rischi di trasmissibilità della BSE all'uomo, dopo aver esaminato i provvedimenti adottati dal Regno Unito e dopo aver consultato il comitato scientifico veterinario e il comitato veterinario permanente.

67.    Peraltro, nessun elemento agli atti consente di accogliere la tesi secondo la quale lo scopo esclusivo o determinante della Commissione sarebbe stato di natura economica, più che di tutela della salute.

68.    Di conseguenza, i primi tre motivi, relativi all'inosservanza dei presupposti cui è subordinano l'esercizio dei poteri della Commissione, alla violazione del principio di libera circolazione delle merci e allo sviamento di potere, devono essere respinti.

Sul quarto motivo, relativo al difetto di motivazione

69.    Il Regno Unito ritiene che la decisione impugnata non indichi, in violazione dell'art. 190 del Trattato CE, le ragioni che giustificano il divieto di esportazione e, segnatamente, quelle per le quali la Commissione ha giudicato insufficienti o inadeguate le misure precedentemente adottate per proteggere la salute umana ed animale contro la BSE.

70.    A tal proposito, occorre rilevare che, secondo la giurisprudenza della Corte, benché la motivazione prescritta dall'art. 190 del Trattato debba fare apparire in forma chiara e non equivoca l'iter logico dell'istituzione comunitaria autrice dell'atto criticato in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato per tutelare i propri diritti e alla Corte di esercitare il proprio controllo, essa non deve tuttavia specificare necessariamente tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti. Infatti, l'accertamento del se la motivazione di una decisione soddisfi le condizioni stabilite dall'art. 190 va effettuato alla luce non solo del tenore, ma anche del contesto della decisione medesima e con riguardo al complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. Inoltre il grado di precisione della motivazione di una decisione dev'essere proporzionato alle possibilità materiali ed alle condizioni tecniche o al tempo disponibile per la sua adozione (v., segnatamente, sentenza 14 febbraio 1990, causa C-350/88, Delacre e a./Commissione, Racc. pag. I-395, punti 15 e 16).

71.    Nella fattispecie, dal secondo 'considerando‘ della decisione impugnata — la quale, va ricordato, è stata adottata in una situazione di emergenza — discende che la Commissione ha segnatamente motivato il provvedimento con la considerazione che, in seguito ai comunicati del SEAC, il Regno Unito aveva adottato misure supplementari per una più adeguata tutela dei consumatori contro la BSE. Questo riferimento ai provvedimenti adottati dallo Stato membro che aveva maggiore esperienza in materia di BSE bastava, di per sé, a motivare la decisione della Commissione di adottare anch'essa misure supplementari.

72.    La formulazione del quinto 'considerando‘ della decisione impugnata fa tuttavia risaltare, in modo ancora più chiaro, la necessità delle misure di emergenza, in quanto è menzionato specificamente il rischio di trasmissibilità della BSE all'uomo

73.    Circa la motivazione del divieto delle esportazioni dal Regno Unito, occorre considerare che la decisione impugnata si situa nel contesto della problematica della BSE e che non era più necessario precisare le ragioni per le quali il Regno Unito era particolarmente interessato. Il divieto delle esportazioni era inoltre sufficientemente motivato dall'incertezza relativa al rischio, dall'urgenza e dal carattere provvisorio della misura e l'applicazione di questo divieto di esportazione nei paesi terzi era per di più motivata dal rischio di sviamenti di traffico (quinto 'considerando‘).

74.    Una motivazione del genere consentiva certamente al Regno Unito di conoscere le giustificazioni delle misure adottate e alla Corte di esercitare il suo sindacato sulla legittimità delle medesime.

75.    Di conseguenza, il motivo concernente il difetto di motivazione dev'essere respinto.

Sul quinto motivo, relativo alla violazione del principio di proporzionalità

76.    Nell'ambito del motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità, il Regno Unito deduce che la decisione impugnata era inadeguata alla luce dello scopo di tutelare la sanità pubblica o la salute degli animali, dal momento che erano già state adottate le misure adeguate, le quali erano state anche emanate a livello comunitario, misure la cui efficacia è stata dimostrata dalla rapida diminuzione dell'incidenza della BSE nel Regno Unito.

77.    Nemmeno il divieto di esportare animali vivi sarebbe stato necessario. Infatti, dopo l'adozione della decisione 94/474 i soli animali vivi ancora esportabili erano i bovini di età inferiore a sei mesi partoriti da mucche per le quali non sussisteva né il sospetto né la conferma della presenza della BSE, vale a dire da animali che non erano mai stati alimentati con farine di carni animali e non erano mai stati in contatto con focolai di BSE.

78.    Il comitato scientifico veterinario era già giunto alla conclusione che lo sperma non presentava il rischio di trasmissione della BSE. Per gli embrioni, esisteva già una decisione la quale vietava l'esportazione di embrioni provenienti da femmine nate prima del 18 luglio 1988 o discendenti da femmine per le quali sussisteva la certezza o il sospetto della presenza della BSE.

79.    Per quanto concerne le carni fresche, l'art. 4 della decisione 94/474, nel testo modificato dalla decisione 95/287, vieta già al Regno Unito di inviare verso gli altri Stati membri carni fresche diverse da: i) quelle ottenute da animali di età inferiore a due anni e mezzo al momento della macellazione, o ii) quelle ottenute da bovini i quali, nel Regno Unito, abbiano soggiornato esclusivamente in allevamenti nei quali nessun caso di BSE fosse stato confermato nei sei anni precedenti, o iii) dalle carni disossate ottenute da bovini di età superiore a due anni e mezzo al momento della macellazione, che hanno soggiornato costantemente in un allevamento nel quale uno o più casi di BSE erano stati confermati nei sei anni precedenti, ma dalle quali siano stati esportati i tessuti aderenti, ivi compresi i tessuti nervosi e linfatici evidenti. Nessun elemento lascerebbe supporre che misure del genere fossero inadeguate e che fosse necessario adottare provvedimenti supplementari. Peraltro, alcune ricerche indipendenti dimostrerebbero che le carni ricavate da muscoli, anche quando provengono da animali clinicamente colpiti, non presentano un grado di contagiosità rilevabile.

80.    Per quanto concerne i prodotti ottenuti da bovini macellati nel Regno Unito e che possono entrare nella catena alimentare umana o animale e le sostanze destinate ad essere impiegate in medicina o in prodotti cosmetici e farmaceutici, il Regno Unito ritiene ingiustificato vietarne l'esportazione quando si possa garantire che provengono da mandrie le quali non hanno presentato casi di BSE e non sono state in contatto con fonti di esposizione all'agente della BSE.

81.    Riguardo al divieto di esportazione verso i paesi terzi, il Regno Unito ritiene inesistente il rischio di reimportazione negli Stati membri per una serie di ragioni pratiche, vale a dire la limitazione del numero di paesi terzi autorizzati ad esportare bovini, carni bovine fresche o prodotti a base di carne verso gli Stati membri della Comunità, le condizioni rigorose per le esportazioni, i controlli esercitati in osservanza delle disposizioni relative alle restituzioni all'esportazione e l'esistenza di dazi doganali all'importazione. Per quanto concerne le condizioni cui sono soggetti lo sperma e gli embrioni di bovini, esse renderebbero impossibile qualsiasi importazione, in uno Stato membro, di prodotti provenienti dal Regno Unito attraverso un paese terzo.

82.    Il Regno Unito giudica inoltre discriminatoria la decisione impugnata, poiché essa impone tale divieto di esportazione solo nei confronti delle carni bovine originarie del Regno Unito, senza imporre la minima misura di salvaguardia agli altri Stati membri dove erano stati segnalati casi di BSE e dove inoltre le misure relative alla separazione delle frattaglie non sono così sviluppate come nel Regno Unito. Essa sarebbe discriminatoria anche perché potrebbe ristabilire la fiducia del consumatore solo negli Stati membri diversi del Regno Unito, e ciò a spese della fiducia del consumatore britannico.

83.    Infine, il Regno Unito sottolinea che il divieto adottato era eccessivo e che la Commissione disponeva di numerose soluzioni alternative: segnatamente poteva decretare a livello comunitario il divieto generale di impiego dei tessuti bovini più facilmente contaminabili dall'agente infettivo della BSE, stabilire, a livello comunitario, il divieto (già adottato dal Regno Unito) della vendita, per l'alimentazione umana, di carni bovine provenienti da bestiame britannico di età superiore a trenta mesi, o, inoltre, integrare quest'ultima soluzione con l'imposizione di condizioni più severe per l'esportazione, verso gli altri Stati membri, di carni bovine provenienti da animali più giovani.

84.    La Commissione presenta la sua decisione come una misura di confinamento, destinata a sradicare la malattia, combinata a provvedimenti di sostegno del mercato e ad altre misure di sostegno. Essa ritiene che il confinamento sia universalmente riconosciuto come una risposta legittima a un problema come quello di cui alla fattispecie per evitare l'estensione della malattia. La determinazione del Regno Unito come zona di confinamento sarebbe dovuta al fatto che, a causa di vari fattori, non sarebbe stato opportuno creare zone di isolamento locali e che il 99,7% dei casi confermati di BSE si sarebbero verificati nel Regno Unito. La Commissione indica parimenti che le direttive relative a malattie specifiche prevedono che le zone di confinamento devono essere definite in funzione delle barriere naturali e dei controlli amministrativi.

85.    La Commissione ritiene giustificata la decisione impugnata per quanto concerne gli animali vivi a causa della rivalutazione dell'importanza dei dubbi in merito, segnatamente, alla presenza dell'agente della BSE in animali giovani, alle incertezze del sistema che dovrebbe permettere di seguire gli animali e di identificare quelli che siano stati esposti al rischio, all'incertezza relativa all'età di macellazione dell'animale oppure al rischio di una trasmissione verticale o orizzontale.

86.    Quanto allo sperma, il divieto è stato revocato in seguito a un parere del comitato scientifico veterinario. Ciò non inciderebbe tuttavia sulla validità della decisione impugnata la quale, essendo una misura di emergenza, era giustificata dal rischio di una trasmissione verticale, dalle ricerche tuttora in corso relative alla trasmissione per trasferimento di embrioni in mucche fecondate con sperma di tori malati di BSE e inoltre dall'assenza di pareri recenti del comitato scientifico veterinario sul problema.

87.    Le stesse giustificazioni dovrebbero essere prese in considerazione per quanto concerne gli embrioni, al pari del parere del comitato scientifico veterinario secondo il quale esistono prove di una trasmissione della malattia del trotto della pecora per trasferimento di embrioni.

88.    La Commissione ricorda peraltro i dubbi relativi alle carni, segnatamente quanto al funzionamento del sistema per l'identificazione e il controllo dei movimenti degli animali nel Regno Unito e all'efficacia dell'attuazione dei provvedimenti per il controllo dell'eliminazione delle frattaglie specifiche di carni bovine. Essa precisa parimenti che qualsiasi pezzo di carne contiene piccoli quantitativi di tessuto linfatico e che un membro del comitato scientifico veterinario non aveva escluso il rischio presentato dalla carne sotto forma di muscolo.

89.    Considerazioni analoghe varrebbero per i prodotti derivati, quali il sego e la gelatina. Per quanto concerne le farine di carni e di ossa provenienti da mammiferi, esse sarebbero la principale causa dell'epidemia di BSE.

90.    La Commissione giudica la decisione parimenti necessaria per la parte relativa alle esportazioni verso i paesi terzi. Queste esportazioni rappresenterebbero solo il 5% circa della produzione britannica di carne bovina, il che significherebbe che il prezzo pagato per un'efficacia assoluta delle misure di confinamento sarebbe relativamente esiguo. Peraltro, esisterebbe il rischio di reimportazione degli animali, delle carni o dei prodotti derivati, eventualmente sotto altra forma e, in determinate circostanze, sotto altra origine. Infine, il rischio di frode apparirebbe reale se i dati disponibili in materia di frode alle restituzioni all'esportazione fossero presi in considerazione. Secondo la Commissione, l'efficacia delle misure adottate sarebbe stata messa in pericolo se esse non avessero incluso le esportazioni verso i paesi terzi e, in tal senso, il divieto delle esportazioni verso i paesi terzi è parte integrante e necessaria della decisione impugnata e, di conseguenza, conforme al principio di proporzionalità. Inoltre, un atteggiamento di inerzia riguardo alle esportazioni verso i paesi terzi sarebbe stato senza dubbio incompatibile sia con gli obblighi che il Trattato impone al Consiglio e alla Commissione, segnatamente quello di tener conto della posizione della produzione agricola comunitaria sui mercati mondiali, sia con gli obblighi internazionali bilaterali e multilaterali della Comunità.

91.    La Commissione contesta poi l'argomento secondo il quale la decisione sarebbe discriminatoria. Essa ricorda che il 99,7% di casi di BSE si sono verificati nel Regno Unito e che gli altri Stati membri dove è stato rilevato qualche caso hanno adottato una politica di macellazione di mandrie intere.

92.    La Commissione ritiene che non fosse possibile adottare altre soluzioni. Un divieto limitato ad alcune frattaglie specifiche di carni bovine su scala comunitaria non avrebbe contribuito allo sradicamento della BSE ed avrebbe avuto un'utilità assai ridotta, vista l'incidenza trascurabile della BSE negli altri Stati membri. Peraltro, per rendere efficace una simile misura sarebbe stato necessario molto più tempo, che non era disponibile data l'urgenza della situazione. Quanto al miglioramento dei controlli e della certificazione di taluni tipi di carne, si sarebbe trattato di risposte inadeguate, dati l'urgenza e i dubbi relativi all'efficacia dei sistemi di controllo britannici.

93.    La Commissione sottolinea infine che, per valutare la proporzionalità della decisione impugnata, occorre esaminarla alla luce del complesso dei provvedimenti adottati, per un valore di circa 2,5 miliardi di Ecu (in particolare, modifica dei limiti minimi di intervento, misure eccezionali di sostegno del Regno Unito e di altri Stati membri, premi per la trasformazione dei vitelli, sostegno del reddito dei produttori di carni bovine, provvedimenti a favore degli esportatori, aiuti all'ammasso privato della carne di vitello, restituzioni all'esportazione, azioni promozionali a favore delle carni bovine di qualità, aiuti alla ricerca).

94.    In sede di replica il Regno Unito afferma che, per quanto un provvedimento di confinamento sia adatto ad una malattia contagiosissima, quale l'afta epizootica, trasmissibile per via aerea e con un breve periodo di incubazione, esso è inutile per stroncare una malattia non contagiosa, trasmissibile per via alimentare e con un lungo periodo di incubazione. Peraltro, il confinamento non contribuirebbe allo sradicamento della BSE più di quanto possano fare le soluzioni alternative proposte dal Regno Unito.

95.    In sede di controreplica la Commissione insiste sul fatto che la decisione impugnata costituiva solo una prima fase di una strategia globale. Si trattava di una misura transitoria (quinto 'considerando‘) e di emergenza (titolo), soggetta a riesame (sesto e settimo 'considerando‘, artt. 1 e 3), alla quale dovevano seguire altri provvedimenti destinati a controllare e a sradicare la malattia (art. 4).

96.    Occorre ricordare che il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto comunitario, richiede che gli atti delle istituzioni comunitarie non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario per il conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere alla misura meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v., per esempio, sentenze 13 novembre 1990, causa C-331/88, Fedesa e a., Racc. pag. I-4023, punto 13, e 5 ottobre 1994, cause riunite C-133/93, C-300/93 e C-362/93, Crispoltoni e a., Racc. pag. I-4863, punto 41).

97.    Per quanto riguarda il controllo giurisdizionale delle condizioni anzidette, il legislatore comunitario dispone in materia di politica agricola comune di un potere discrezionale corrispondente alle responsabilità politiche che gli artt. 39 e 40 del Trattato gli attribuiscono. Di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l'istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale provvedimento (v. le citate sentenze Fedesa e a., punto 14, e Crispoltoni e a., punto 42).

98.    All'epoca dell'adozione della decisione impugnata esisteva una grande incertezza in merito ai rischi rappresentati dagli animali vivi, dalle carni bovine o dai prodotti derivati.

99.    Ebbene, si deve ammettere che, quando sussistono incertezze riguardo all'esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, le istituzioni possono adottare misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la realtà e la gravità di tali rischi.

100.    Questa considerazione è corroborata dall'art. 130 R, n. 1, del Trattato CE, secondo il quale la protezione della salute umana rientra tra gli obiettivi della politica della Comunità in materia ambientale. Il n. 2 del medesimo articolo dispone che questa politica, che mira ad un elevato livello di tutela, è fondata segnatamente sui principi della precauzione e dell'azione preventiva e che le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle altre politiche comunitarie.

101.    La decisione impugnata è stata adottata quale «misura di emergenza», per sancire un divieto di esportazione «in via transitoria» (quinto 'considerando‘). Peraltro, la Commissione riconosce in tale sede la necessità di approfondire sul piano scientifico la portata delle nuove informazioni e i provvedimenti da adottare e, di conseguenza, la necessità di rivedere la decisione impugnata dopo aver esaminato l'intera situazione (settimo 'considerando‘).

102.    Per quanto riguarda gli animali vivi, tenuto conto del divieto di esportazione già istituito mediante la decisione 94/474, il divieto di esportazione risultante dalla decisione impugnata riguarda solo i bovini di età inferiore a sei mesi partoriti da mucche per le quali non sussistevano né sospetti né conferme della presenza della BSE. Tuttavia, le incertezze scientifiche circa le modalità di trasmissione della BSE, segnatamente la trasmissibilità dalla madre, unite all'assenza di marchiatura degli animali e alla mancanza di controlli sui loro movimenti, non consentono di sapere con certezza se un vitello sia stato partorito da una mucca totalmente immune da BSE o, anche in un'ipotesi del genere, se sia esso stesso totalmente immune dalla malattia.

103.    Di conseguenza, il divieto di esportazione dei bovini vivi non può essere considerato un provvedimento manifestamente inadeguato.

104.    In merito alle carni bovine, basta ricordare che, a causa del lungo periodo di incubazione della malattia, tutti gli animali di età uguale o superiore a sei mesi dovevano essere considerati potenzialmente infetti dalla BSE, pur non presentandone i sintomi. Nel Regno Unito erano state adottate misure particolari, relative alla macellazione degli animali e al taglio delle carni. Tuttavia, solo dal maggio 1995 nelle imprese del Regno Unito sono state effettuate verifiche senza preavviso, al fine di controllare l'applicazione di queste misure (Bovine Spongiform Encephalopathy in Great Britain, A Progress Report, novembre 1995, punto 16), verifiche che hanno evidenziato che una percentuale notevole dei macelli non rispettavano le disposizioni di legge.

105.    Peraltro, dal rapporto dell'11 luglio 1994 del comitato scientifico veterinario si evince che la carne conteneva sempre residui di tessuto nervoso e linfatico. Parimenti, secondo la dichiarazione di un membro di questo comitato, allegata al parere del comitato scientifico veterinario del 22 marzo 1996, il rischio di trasmissione dell'infezione tramite la carne sotto forma di muscolo non era scientificamente escluso (v. punto 13 di questa sentenza).

106.    Ne discende che anche il divieto di esportazione delle carni bovine non può essere considerato un provvedimento manifestamente inadeguato.

107.    Per quanto concerne lo sperma e gli embrioni, basti a tal riguardo ricordare che il rischio di trasmissione verticale non era definitivamente escluso al momento dell'adozione della decisione impugnata.

108.    Riguardo agli altri prodotti, quali il sego e la gelatina, occorre riconoscere che la Commissione ha dato prova di opportuna prudenza, vietandone l'esportazione sino alla conclusione di un riesame globale della situazione.

109.    In merito al divieto di esportazione in quanto riguarda i paesi terzi, si trattava di una misura adeguata poiché consentiva di garantire l'efficacia del provvedimento, confinando tutti i prodotti che potevano essere contaminati dalla BSE nel territorio del Regno Unito. Infatti, la limitazione del numero di paesi terzi dai quali le importazioni sono autorizzate e i controlli all'importazione non permettono tuttavia di escludere del tutto l'eventualità di reimportazioni di carne sotto altra forma o di sviamenti del traffico.

110.    Il Regno Unito ha elencato alcune misure che sarebbe stato possibile adottare in alternativa. Tuttavia, tenuto conto della gravità del rischio e dell'urgenza, la Commissione non ha reagito in modo manifestamente inadeguato adottando, in via transitoria e in attesa di maggiori informazioni scientifiche, un divieto globale di esportazione dei bovini, delle carni bovine e dei prodotti derivati.

111.    Di conseguenza, il motivo relativo alla violazione del principio di proporzionalità risulta infondato.

 Sul sesto motivo, relativo alla violazione degli artt. 6 e 40, n. 3, del Trattato

112.    Secondo il Regno Unito, la Commissione ha violato gli artt. 6 e 40, n. 3, del Trattato, poiché ha agito in modo discriminatorio nei confronti dei produttori britannici rispetto a quelli degli altri Stati membri e anche nei confronti dei consumatori britannici in rapporto a quelli degli altri Stati membri, mentre nessuna ragione obiettiva giustificava questa disparità di trattamento.

113.    La Commissione replica che i provvedimenti adottati prescindono dalla nazionalità, ma si fondano sulla situazione geografica. Peraltro, la decisione impugnata avrebbe riguardato privati ed operatori economici di altri Stati membri e in altri Stati membri. Ad ogni modo, in considerazione della situazione, anche se si fosse verificata una disparità di trattamento, è incontestabile che essa sarebbe stata obiettivamente giustificata dalle circostanze.

114.    A tal proposito, occorre ricordare che, per giurisprudenza costante, il principio di non discriminazione fra produttori e consumatori della Comunità, sancito dall'art. 40, n. 3, secondo comma, del Trattato, impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo diverso e che situazioni diverse non siano trattate in modo identico, a meno che tale trattamento sia obiettivamente giustificato (v., segnatamente, sentenza 20 settembre 1988, causa 203/86, Spagna/Consiglio, Racc. pag. 4563, punto 25).

115.    Nella fattispecie non è mai stato contestato che, all'epoca della decisione impugnata, la quasi totalità dei casi di BSE in Europa era stata riscontrata nel Regno Unito.

116.    In considerazione di questa circostanza, occorre considerare che, secondo il criterio obiettivo dell'incidenza della BSE, la situazione del Regno Unito non era analoga a quella degli altri Stati membri, di modo che la Commissione, adottando una decisione di confinamento degli animali e dei prodotti nel territorio del Regno Unito, non ha violato l'art. 40, n. 3, secondo comma, del Trattato.

117.    Di conseguenza, il motivo relativo alla violazione del divieto di discriminazione è infondato.

Sul settimo motivo, relativo alla violazione dell'art. 39, n. 1, del Trattato

118.    Il Regno Unito ritiene che la decisione non sia giustificata da nessuno degli obiettivi della politica agricola comune enunciati dall'art. 39, n. 1. Infatti, lungi dal contribuire all'incremento della produttività dell'agricoltura o dall'assicurare un livello di vita equo alla popolazione agricola, la decisione ha arrecato un danno agli operatori del comparto dei bovini e dei settori collegati nel Regno Unito, ha turbato l'equilibrio del mercato comunitario e, poiché è impossibile fornire i prodotti che ne sono oggetto negli altri Stati membri, non ha consentito di assicurare prezzi ragionevoli per i consumatori.

119.    La Commissione ricorda che la protezione della salute animale e della sanità pubblica fa parte integrante della politica agricola comune e che la sanità pubblica è una questione di assoluta rilevanza. Del resto, nessuno fra gli obiettivi enunciati dall'art. 39, n. 1, può essere raggiunto senza il necessario grado di fiducia del consumatore e senza i controlli necessari sulla sanità pubblica.

120.    A tal proposito, occorre ricordare che, secondo l'art. 129, n. 1, terzo comma, del Trattato CE, le esigenze della tutela della salute costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità e che, secondo la giurisprudenza della Corte, il perseguimento degli obiettivi della politica agricola comune non può prescindere da esigenze di interesse generale quali la tutela dei consumatori o della salute e della vita delle persone e degli animali, esigenze che le istituzioni comunitarie devono tenere in considerazione nell'esercizio dei loro poteri (sentenza 23 febbraio 1988, causa 68/86, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. 855, punto 12).

121.    Del resto, la protezione della salute contribuisce al conseguimento degli obiettivi della politica agricola comune oggetto dell'art. 39, n. 1, del Trattato, segnatamente quando la produzione agricola è condizionata in modo diretto dal suo smaltimento da parte dei consumatori, sempre più attenti alla loro salute.

122.    Ne consegue che, adottando la decisione impugnata, la Commissione non ha violato l'art. 39, n. 1, del Trattato.

Sull'ottavo motivo, relativo all'illegittimità dell'art. 1, terzo trattino, della decisione impugnata, segnatamente in quanto violerebbe il principio della certezza del diritto

123.    Secondo il Regno Unito, la decisione impugnata viola il principio della certezza del diritto in quanto la portata del divieto non è definita in maniera sufficientemente chiara. Infatti, i limiti della sfera d'applicazione dell'art. 1, terzo trattino, della decisione (il quale vieta l'esportazione dei «prodotti ottenuti da animali della specie bovina, macellati nel Regno Unito, che possono entrare nella catena alimentare umana o animale, nonché prodotti destinati ad essere impiegati in medicina, prodotti cosmetici e farmaceutici») potrebbero essere definiti solo facendo riferimento a prodotti oggetto delle direttive 90/425 e 89/662. L'art. 1 di queste direttive fa rinvio agli allegati A e B, i quali sono stati modificati, dopo l'adozione di queste due direttive, mediante la direttiva 92/118. Peraltro, gli artt. 10, n. 4, della direttiva 90/425 e 9, n. 4, della direttiva 89/662 riguardano parimenti, «se la situazione lo richiede», rispettivamente, «i prodotti derivati» dagli animali e «i prodotti di origine o i prodotti derivati da tali prodotti». Inoltre, la sfera d'applicazione di queste due direttive dev'essere determinata con riferimento all'art. 43 del Trattato, il che obbligherebbe a prendere in considerazione i prodotti agricoli elencati nell'allegato II del Trattato.

124.    Parimenti, la mancanza di chiarezza sulla sfera d'applicazione dell'art. 1, terzo trattino, della decisione impugnata non consentirebbe praticamente alla Corte di esercitare il suo sindacato di legittimità in merito alla detta decisione dal momento che, a causa di una violazione dell'obbligo di motivazione, sarebbe impossibile stabilire un collegamento tra il terzo trattino e il ragionamento esposto nei 'considerando‘.

125.    Infine, il Regno Unito rileva che la Commissione non era competente ad imporre un divieto di esportazione in relazione a determinati prodotti che non rientrano nella sfera dell'allegato II del Trattato né, pertanto, in quella delle direttive 90/425 e 89/662, sulle quali si basa la decisione impugnata. Tale sarebbe il caso della gelatina, degli amminoacidi, del fosfato dicalcico, dei peptidi derivati dai peptoni, della glicerina, dell'acido stearico e dei sali da esso derivati.

126.    La Commissione ritiene che, tenuto conto dell'urgenza e della necessità di assicurare un controllo effettivo e completo della situazione, l'art. 1, terzo trattino, della decisione impugnata rispetti il principio della certezza del diritto. In considerazione della gravità della minaccia per la salute umana, della natura dell'agente della BSE e degli scopi della decisione impugnata, sarebbe incontestabile che essa disciplina prodotti quali il sego e la gelatina, che sono prodotti derivati dai bovini. Peraltro, la decisione impugnata sarebbe correttamente motivata in quanto si riferirebbe all'agente della BSE e, pertanto, a tutti i prodotti che possono essere contaminati da quest'ultimo, vale a dire i prodotti derivati. Infine, le direttive 90/425 e 89/662 farebbero espresso riferimento a tutti i prodotti oggetto della decisione impugnata.

127.    A tal proposito, non risulta che l'art. 1, terzo trattino, della decisione impugnata manchi di chiarezza per quanto concerne la sua sfera d'applicazione nel menzionare i «prodotti ottenuti da animali della specie bovina, macellati nel Regno Unito, che possono entrare nella catena alimentare umana o animale, nonché prodotti destinati ad essere impiegati in medicina, prodotti cosmetici e farmaceutici».

128.    Per quanto concerne il rispetto dell'obbligo di motivazione, come ha sottolineato l'avvocato generale nel paragrafo 38 delle sue conclusioni, occorre tener conto del fatto che il Regno Unito, destinatario della decisione impugnata, aveva una profonda conoscenza della situazione e non poteva cadere in errore circa i prodotti oggetto della decisione.

129.    Infine, le direttive 90/425 e 89/662 dispongono che le misure di salvaguardia adottate dalla Commissione possono disciplinare i «prodotti di origine animale», i «prodotti derivati da tali prodotti» e i «prodotti derivati da (...) animali». La Commissione non ha pertanto violato queste direttive adottando la decisione impugnata nella parte in cui ha ad oggetto i «prodotti ottenuti da animali della specie bovina».

130.    Ne consegue che il motivo attinente all'illegittimità dell'art. 1, terzo trattino, della decisione impugnata dev'essere respinto.

 Sul nono motivo, relativo all'illegittimità delle direttive 90/425 e 89/662

131.    Per il caso in cui la Corte decidesse che la direttiva 90/425 o la direttiva 89/662 si applica o debba applicarsi a prodotti che non rientrano nella sfera dell'allegato II del Trattato, il Regno Unito allega che l'art. 43 del Trattato non attribuiva al Consiglio il potere di adottare queste direttive a tal fine. Di conseguenza, le due direttive sarebbero a tal riguardo inapplicabili e non potrebbero costituire la base giuridica della decisione impugnata.

132.    La Commissione e il Consiglio ritengono viceversa che le direttive 90/425 e 89/662 siano giustamente fondate sull'art. 43 del Trattato, dal momento che erano destinate a realizzare gli scopi dell'art. 39 e che i prodotti derivati oggetto di queste direttive rientrano quantomeno nella rubrica residuale dell'allegato II, che comprende i «prodotti di origine animale, non nominati né compresi altrove». Ad ogni modo, il fatto che esse si riferiscano secondariamente a certi altri prodotti non elencati nell'allegato II non inficerebbe assolutamente la loro validità.

133.    A tal proposito, risulta da una giurisprudenza costante che l'art. 43 del Trattato costituisce il fondamento giuridico appropriato di qualsiasi normativa attinente alla produzione ed alla messa in commercio dei prodotti agricoli elencati nell'allegato II del Trattato che contribuisca alla realizzazione di uno o più degli obiettivi della politica agricola comune sanciti dall'art. 39 del Trattato (v. sentenze 23 febbraio 1988, Regno Unito/Consiglio, citata, punto 14; 23 febbraio 1988, causa C-131/86, Regno Unito/Consiglio, Racc. pag. 905, punto 19; 16 novembre 1989, causa C-131/87, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 3743, punto 28, e Fedesa e a., citata, punto 23).

134.    La Corte ha anche dichiarato che una direttiva costituiva un fattore essenziale per incrementare la produttività dell'agricoltura, scopo contemplato dall'art. 39, n. 1, lett. a), del Trattato, e che essa doveva essere adottata in base all'art. 43 del Trattato anche se, avendo ad oggetto essenzialmente prodotti inclusi nell'allegato II, riguardava tuttavia accessoriamente taluni prodotti in esso non compresi (sentenza 16 novembre 1989, causa C-11/88, Commissione/Consiglio, Racc. pag. 3799, punto 15, pubblicazione sommaria).

135.    In considerazione dell'importanza della libera circolazione degli animali, dei prodotti degli animali e dei prodotti di origine animale per il conseguimento degli obiettivi indicati dall'art. 39, n. 1, del Trattato, occorre considerare che l'art. 43 del Trattato costituiva la base giuridica adeguata per l'adozione delle direttive 90/425 e 89/662 anche se, in via accessoria, queste direttive autorizzano la Commissione ad adottare misure di salvaguardia valide anche per «prodotti di origine animale», «prodotti derivati da tali prodotti» e «prodotti derivati da (...) animali» che non siano inclusi nell'allegato II del Trattato.

136.    Di conseguenza, il motivo relativo all'illegittimità delle direttive 90/425 e 89/662 dev'essere respinto.

137.    Alla luce di quanto precede, occorre respingere integralmente il ricorso.

Sulle spese

138.    Ai sensi dell'art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché il Regno Unito è rimasto soccombente e la Commissione ne ha chiesto la condanna alle spese, occorre condannarlo alle spese. Ai sensi dell'art. 69, n. 4, del medesimo regolamento, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa sopportano le proprie spese. Pertanto, il Consiglio sopporterà le proprie spese.

Per questi motivi,

LA CORTE

dichiara e statuisce:

1.    Il ricorso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è irricevibile nella parte avente ad oggetto le prese di posizione della Commissione dei giorni 10 aprile, 13 aprile e 8 maggio 1996.

2.    Il ricorso del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è respinto nella parte in cui chiede l'annullamento della decisione della Commissione 27 marzo 1996, 96/239/CE, relativa a misure di emergenza in materia di protezione contro l'encefalopatia spongiforme bovina.

3.    Il Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord è condannato alle spese.

4.    Il Consiglio dell'Unione europea sopporterà le proprie spese.

 

Rodríguez Iglesias

Gulmann

Ragnemalm
Wathelet Schintgen Mancini Moitinho de Almeida
Murray

Edward

Puissochet
Hirsch

Jann

Sevón

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 maggio 1998.

Il cancelliere
R. Grass

Il presidente
G.C. Rodríguez Iglesias

1: Lingua processuale: l'inglese.