inserito in Diritto&Diritti nel febbraio 2001

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e il diritto Vigente

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Il numero rilevante dei ricorsi in atto pendenti innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, organo internazionale con funzioni e garanzie giurisdizionali preposto alla tutela dei diritti riconosciuti e garantiti dalla Convenzione Europea dei Diritti Dell’Uomo aperta alla Firma a Roma il 04/11/1950 e dai suoi protocolli addizionali, proposti contro lo Stato Italiano potrebbe far immaginare che in Italia vi sia una coscienza, sia civile che giuridica, su tali diritti talmente radicata e sviluppata da richiedere una così forte e pressante richiesta di tutela giurisdizionale. Ma questa è una rappresentazione limitata e fuorviante della realtà non riscontrata né riscontrabile nei fatti. Tra qualche giorno saranno a disposizione i dati statistici della Corte dai quali emergerà con chiarezza che la stragrande maggioranza dei ricorsi proposti contro l’Italia, e delle relative sentenze, è stata incardinata per la violazione dell’art. 6 della Convenzione e, ancora più nel dettaglio, per la violazione del diritto ad un processo giusto ed equo e che si concluda in un termine ragionevole.Come se il sistema della Giustizia Italiana avesse solo questo problema, certamente rilevante, lampante, "umiliante" ma sicuramente non l’unico. Ma i diritti dell’Uomo non devono essere fatti valere soltanto innanzi alla Corte di Strasburgo, ovvero non si deve pensare che il solo strumento esistente per la tutela di questa categoria di diritti sia soltanto quest’organo giurisdizionale. La Corte deve essere adita e vista come estrema ratio al diniego di Giustizia del singolo stato contraente. Ciò è anche evidente nel dettato della stessa Convenzione la quale all’art. 12 prevede "Ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente convenzione siano stati violati, ha diritto ad un ricorso effettivo davanti ad un’istanza nazionale anche quando la violazione sia stata commessa da persone che agiscono nell’esercizio delle loro funzioni istituzionali", e del successivo articolo 35 comma I per il quale "La corte Non può essere adita se non dopo l’esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva". Per tanto i Diritti indicati nella Convenzione in primo luogo devono essere tutelati innanzi agli organi, innanzitutto i giudici nazionali, e poi davanti alla Corte Europea ove non ci siano altri rimedi.

E’ parere dello scrivente che bisogna cambiare l’impostazione con la quale ci si avvicina allo studio dei Diritti dell’Uomo per così come garantiti dalla Convenzione Europea e dai suoi protocolli allegati. Adattando la teoria del Kelsen al nostro caso non bisogna immaginare i Diritti dell’uomo come diritti che compongono un ordinamento giuridico autonomo e distaccato da quello nazionale, come una sfera giuridica indipendente da tutte le altre, ma come norme che fanno parte dell’ordinamento giuridico nazionale e in quanto tali devono in questo trovare non solo attuazione concreta ma anche piena tutela giurisdizionale. Solo in un secondo momento potrà essere esaminato il problema della loro giustiziabilità innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, problema che verrà affrontato in altra sede.

I diritti riconosciuti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi protocolli allegati sono norme viventi e vigenti all’interno dell’ordinamento giuridico italiano e in questo devono trovare attuazione e tutela.

Il problema dell’effettività dei diritti dell’uomo è stato affrontato diverse volte ed ha interessato sia la dottrina, che con il suo valido contributo ha rappresentato un motore indispensabile per la diffusione delle tematiche e l’esame delle problematiche, che dalla giurisprudenza, che con le sue soluzioni più o meno condivisibili ha calato il dato astratto nella fattispecie concreta rendendo il problema reale e approntando le relative soluzioni. La Corte Costituzionale, con la sentenza del 19/01/1993 n° 10 ha statuito che " Le norme internazionali appena ricordate (n.d.r. quelle contenute nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) sono state introdotte nell’ordinamento italiano con la forza di legge propria degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione (…) che sono tutt’ora vigenti, non potendo, certo, essere considerate abrogate dalle successive disposizioni del C.P.P. non tanto perché queste ultime sono vincolate alla direttiva contenuta nell’art. 2 della legge delega 16/02/1987 ( "il codice di Procedura Penale deve adeguarsi alle norme delle convenzioni Internazionali ratificate dall’Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale) quanto, piuttosto, perché si tratta di norme derivante da una fonte riconducibile a una competenza atipica e, in quanto tali, insuscettibili di abrogazione da parte di disposizioni di legge ordinaria". La Corte Costituzionale, per tanto, riconosce che le norme della Convenzione Europea fanno parte a pieno titolo del diritto interno e poiché derivano da una "fonte atipica" sono insuscettibili di abrogazione da parte di disposizioni posteriori . Vi è per tanto un altro principio fondamentale in questa pronuncia che è quello della resistenza di cui queste norme sono dotate rispetto a quelle successive, resistenza derivante, come spesso succede nel nostro ordinamento, dalla "atipicità" della fonte normativa che ha portato all’esistenza della norma nel nostro ordinamento. Ma anche la resistenza deve essere adeguatamente interpretata. La maggior parte dei trattati internazionali che riguardano i diritti civili e politici, nonché i diritti dell’uomo, prevedono una serie di garanzie Minimali cioè predispongono quelle garanzie minime da riconoscere ad ogni "individuo" ( si badi individuo, né uomo né cittadino), ciò vuol dire che ben possono gli ordinamenti nazionali prestare dei livelli di garanzia superiori, ma mai scendere al di sotto della soglia minima fissata nei trattati.

La Cassazione, Sezione Penale, con la sentenza del 12/05/1993 ha statuito che " Le norme della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo in quanto principi generali dell’ordinamento giuridico godono di una particolare forma di resistenza nei confronti della legislazione posteriore". Fino a qui nulla di nuovo, ma oltre "In sostanza, in virtù della Convenzione, in Italia il Giudice non è solamente chiamato a verificare – nel momento astratto della sua formulazione – La conformità costituzionale del sistema normativo da applicare, ma deve valutare alla luce dei principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo tal sistema nel suo momento operativo della sua concreta ed effettiva applicazione, per evitare che lo stesso, distortamente interpretato possa risolversi nella violazione dei fondamentali diritti della persona da essa riconosciuti e tutelati". Infine la Cassazione Civile con sentenza n° 6672 del 08/07/1998 dice: "Tali norme, infatti, impongono agli stati contraenti veri e propri obblighi giuridici immediatamente vincolanti e, una volta introdotte nell’ordinamento statale interno, sono fonte di diritti ed obblighi per tutti i soggetti".

A questo punto bisognerebbe dare spazio alla dottrina la quale molto ha scritto e detto in cinquanta anni di vigenza della convenzione, mo la lo spazio e il taglio pratico del presente non permette di trattare in via esaustiva le problematiche affrontate dalla dottrina per le quali si rimanda agli scritti di persone molto più autorevoli dello scrivente ( Si consiglia la lettura dei seguenti autori: Cassese A., L’efficacia delle norme italiane di adattamento alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in Rivista Internazionale di Diritto e Procedura Civile, pag. 918 e segg.; Cataldi G., Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e ordinamento Italiano: Un tentativo di Bilancio, in Rivista Internazionale dei Diritti dell’Uomo, 1998, pag. 20; De Salvia M., Sistema Europeo e sistemi nazionali di protezione dei diritti dell’uomo: Subordinazione o sussidiarietà?, in Rivista Internazionale dei Diritti dell’Uomo, 1994, pag. 24; Raimondo G. , Effetti del diritto della Convenzione e delle pronunce della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in Rivista Internazionale dei Diritti dell’Uomo, 1998, pag. 422).

Si giunge, per tanto, ad una prima e fondamentale conclusione: I diritti riconosciuti e garantiti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo fanno parte a pieno titolo del nostro ordinamento e in questo devono trovare piena e completa attuazione, dovendo l’interprete, sia esso giudice o avvocato o normale cittadino, non soltanto darne e chiederne l’applicazione nelle fattispecie che si portano al suo esame ma anche accertare che le norme da applicare non siano in contrasto con questi diritti, e ciò fino al momento in cui lo Stato Italiano, e per esso il soggetto che detiene il potere politico, non decida di denunciare l’ordine di esecuzione della Convenzione ed approvi disposizioni che abroghino espressamente tali norme.

Partendo da questa conclusione tentiamo di andare avanti e di superarla e di affrontare un ulteriore problema che è quello dell’attualità dei diritti dell’uomo.

Una tra le conquiste più importanti della Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, che la fa distinguere da tutti gli altri trattati internazionale, è il fatto che questa prevede un organo internazionale super partes con funzioni e garanzie tipicamente giurisdizionali predisposto alla tutela e garanzia dei diritti garantiti nella Convenzione: la Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo.

La previsione di questo organo è stato un passo in avanti di notevole importanza per il diritto internazionale e può essere paragonato soltanto alla istituzione della Comunità Europea e degli organi Giurisdizionali in questa presenti. Infatti gli stati aderenti alla Convenzione non solo hanno accettato che i diritti ivi prescritti siano da considerare e tutelare all’interno del proprio ordinamento ma hanno anche rinunciato a parte della loro sovranità, ammettendo la loro soggezione a tale organo internazionale ( Cosa che ancora non si è riuscita a fare, e non è facile prevedere possibilità di successo, per il Tribunale Penale Internazionale). La centralità della Corte all’interno del sistema creato con la Convenzione è un dato inequivocabile. Come inequivocabile è il suo ruolo propulsivo nell’applicazione ed interpretazione dei diritti garantiti dalla Convenzione e dai protocolli allegati. Ma non poteva essere altrimenti. La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo è stata aperta alla firma nel 1950, nell’immediato dopo guerra, quando vi erano determinate condizioni economiche polite e sociali. Oggi come oggi sembrerebbe inutile uno strumento del genere, perché molti dei diritti contenuti nella Convenzione "sembrano" essere un patrimonio imprescindibile di ogni individuo. Ma la giurisprudenza della Corte si è evoluta di pari passo con il cambiamento delle condizioni economiche, sociali, politiche ed oggi "tecnologiche" dell’ambito territoriale nel quale è chiamata ad operare. L’autorevolezza e la posizione che la Corte assume all’interno del Sistema Europeo creato con la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, gli strumenti predisposti per garantire l’attuazione delle sentenze, permettono di dire che all’interno di ogni ordinamento che riconosce la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo i diritti ivi prescritti e riconosciuti valgono e devono essere tutelati non soltanto secondo il loro dettato letterale ma anche secondo l’applicazione e l’interpretazione che ne è data dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Questo è un ulteriore e importantissimo passo in avanti al fine di far acquistare ai Diritti riconosciuti dalla Convenzione la loro centralità all’interno dell’ordinamento nazionale. Ma ancora una volta l’importanza e l’efficacia di tali norme nella loro attualità e nella loro concreta interpretazione è sottovalutata e sottaciuta all’interno dell’ordinamento giuridico nazionale e qui non trova assolutamente applicazione. La Corte ha avuto modo di pronunciarsi diversissime volte contro L’Italia, ma se è vero che la maggior parte delle pronunce riguarda la violazione dell’art. 6 (diritto ad un processo che si concluda in un termine ragionevole) molte altre riguardano problematiche specifiche e particolari, e molte sono in grado, o potrebbero esserlo, se applicate all’interno del ordinamento nazionale di introdurre e creare degli stravolgimenti radicali in singoli e specifici campi del Diritto (un esempio per tutti: si vedano le numerose pronunce contro l’Italia in materia di espropriazione per pubblica utilità, risarcimento del danno ed accessione invertita, che contengono dei principi idonei a riscrivere 50 anni di giurisprudenza Civile, Amministrativa e Costituzionale ) . Ma così non è anche a causa della scarsa diffusione e conoscenza delle problematiche giuridiche commesse ai Diritti riconosciuti dalla Convenzione e a causa di un "eccessivo provincialismo" delle classi che operano con il diritto.

Giungendo ad una conclusione, i Diritti riconosciuti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e dai suoi protocolli allegati nella loro concreta applicazione ed interpretazione scaturente dalla Giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono diritto vivente e vigente all’interno del nostro ordinamento giuridico nazionale ed in questo devono trovare la loro prima e fondamentale applicazione e tutela, senza necessità di ricorrere all’organo internazionale da vedere come estrema ratio ad una negazione della giustizia interna.

Avv. Andrea Anfuso Alberghino

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