inserito in Diritto&Diritti nel aprile 2004

Cenni sui problemi giuridici relativi all’uso delle apparecchiature   informatiche e di telecomunicazione da parte dei pubblici dipendenti.

Carlo Sarzana di S. Ippolito

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Premessa

Da tempo il Ministro per l’Innovazione e le Tecnologie ,Lucio Stanca. ha auspicato un utilizzo sempre più diffuso delle nuove tecnologie nel settore della P.A., e particolarmente dell'uso della posta elettronica,con l'obbiettivo anche di attivare per ogni dipendente una apposita casella. Tale obbiettivo, già menzionato nel documento programmatico avente come titolo "Linee guida per lo sviluppo della società dell'informazione nella legislatura", approvato dal Consiglio dei Ministri del 31 maggio 2001, e richiamato dall'art.24 ,comma 8 lettera  e) della legge 16.1.2003 n.3 , è stato poi ribadito nella Direttiva del sopracitato Ministro  del 27.11.2003 avente come titolo "Impiego della posta elettronica nelle pubbliche amministrazioni".L'iniziativa da ultimo citata ha però come corollario la risoluzione di una complessa problematica giuridica in ordine alla natura dei messaggi di posta elettronica (peraltro quest'ultima già in precedenza  menzionata nella normativa in tema di documentazione amministrativa e di firma elettronica ), ai diritti e doveri sia dei dirigenti che dei dipendenti , ai riflessi giuslavoristici e di protezione dei dati e della privacy dei dipendenti.

Con riguardo a quest'ultimo argomento, pure molto dibattuto in dottrina per quanto riguarda i poteri di controllo del datore di lavoro, va rilevato, per incidens, che anche il recente Codice della privacy sembra ignorare la disposizione dell'art. 24 della legge quadro del 29 marzo 1983, n. 93, che ha sostanzialmente esteso al settore pubblico la normativa dell'art. 4 dello Statuto dei lavoratori in tema di uso di apparecchiature di controllo a distanza dell'attività dei dipendenti.In relazione all'argomento va tenuto presente la circostanza, confermata   da varie ricerche effettuate in Italia ed all'estero, ( soprattutto in Francia, Regno Unito e USA) secondo cui i dipendenti usano questa nuova tecnologia anche per scopi esclusivamente personali e ludici, partecipando in orario lavorativo  a chat line  e hot line, inviando  messaggi privati di posta elettronica, accedendo a siti pornografici,ecc, ed in generale  effettuando navigazioni non autorizzate  in Internet. Tali ricerche hanno anche evidenziato che, sia nel campo pubblico che in quello privato ,esiste da parte dei dirigenti  un certo grado di tolleranza di fronte a simili comportamenti dei dipendenti che pure  possono creare problemi ,anche gravi,di sicurezza e di responsabilità per il datore di lavoro  : non esiste tuttavia, in genere una normativa che legalizzi, per così dire, siffatta tolleranza.

Il problema, come già accennato, ha rilevanti profili giuslavoristici, costituzionali , di tutela della riservatezza, di responsabilità amministrativa  e contabile nonché  di carattere civilistico  e penalistico. Qui di seguito si traccerà un breve profilo della situazione dal punto di vista strettamente normativo e giurisprudenziale.

Aspetti normativi e giurisprudenziali

Non esiste allo stato in Italia alcuna norma specifica che regoli l'uso della posta elettronica e la navigazione su Internet da parte sia dei dipendenti pubblici che di quelli privati.

Per quanto riguarda il campo pubblico, in realtà, esisteva una disposizione normativa relativa all'uso privato delle linee telefoniche d'ufficio, contenuta nel decreto del Ministro della Funzione Pubblica del 31.3.1994, con il quale fu adottato il Codice di comportamento dei dipendenti della P.A.  ai sensi dell'art. 58 bis del D. Lg.vo n. 29 del 1993. Si trattava  dell'art. 10 che, alla prima parte del comma 5, prevedeva che ... "salvo casi eccezionali dei quali informa il dirigente dell'ufficio, il dipendente non utilizza le linee telefoniche dell'ufficio per effettuare chiamate personali". La necessità di ampliare questa limitata facoltà di deroga collegata al requisito dell'eccezionalità ha indotto successivamente il Ministro della Funzione pubblica a rivedere l'impostazione iniziale dell'art. 10 e, infatti, il nuovo Codice di comportamento dei dipendenti pubblici di cui al decreto ministeriale del 28.11.2000 ha previsto al comma 3 dell'art. 10 che il dipendente ... "salvo casi d'urgenza, non utilizza le linee telefoniche dell'ufficio per esigenze personali".

Tale disposizione di carattere puramente amministrativo,a parte il riferimento alle sole apparecchiature telefoniche, non appare comunque tale da escludere, ad avviso dello scrivente, totalmente la responsabilità civile e penale nel caso di uso illecito delle linee telefoniche da parte del dipendente pubblico.

Per quanto riguarda ora l'orientamento dottrinale e giurisprudenziale in materia, va detto che la dottrina penalistica è divisa in ordine alla definizione della natura giuridica della posta elettronica  ed alla  possibilità dei dirigenti dell'ufficio di controllare l'uso che i dipendenti fanno,in genere, degli strumenti tecnologici posti a loro disposizione. La migliore dottrina ritiene che, almeno sino a quando il dipendente non acceda alla sua casella ed apra il messaggio di posta elettronica, il messaggio stesso debba considerarsi come "corrispondenza chiusa"  e come tale  tutelata ai sensi dell'art. 616 c.p.. Questa tesi è stata sostenuta in giurisprudenza implicitamente da una decisione del T.A.R. Lazio, Sezione I ter, n. 9425 del 15.11.2001 in relazione ad una mailing-list in ambiente pubblico secondo cui… "la corrispondenza trasmessa per via informatica o telematica, c.d. posta elettronica, deve essere tutelata alla stregua della corrispondenza epistolare o telefonica ed è quindi caratterizzata dalla segretezza.”. La tesi in questione, sia detto per inciso, è stata anche sostenuta, sia pure senza adeguata motivazione, dal Garante per la protezione dei dati personali (vedi parere del 12.7.1999), secondo cui.appunto, la posta elettronica sarebbe protetta ai sensi dell'art. 616, comma 4, c.p..Lo stesso Garante,peraltro,in altro parere del 1 marzo 2001 ha, incidentalmente, ritenuto legittimo l'accesso del titolare del trattamento alla casella del dipendente in casi di necessità o di urgenza,ad es. nel caso di assenza o impedimento dell'incaricato. Per quanto riguarda la giurisdizione contabile è da citare una recentissima sentenza della Corte dei Conti,Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemontedel 13/11/2003 che si è occupata del problema sotto il profilo del danno erariale.Con tale decisione  è stata  affermata,sia pure incidentalmente,la legittimità da parte dell'amministrazione pubblica  della registrazione degli accessi dei dipendenti ai siti Internet ed il successivo controllo finalizzato, non solo alla repressione di comportamenti illeciti ma anche ad esigenze statistiche e di controllo della spesa.Nella specie si trattava di un dipendente di un ente pubblico che, nell'orario di lavoro, si era ripetutamente collegato  a siti non istituzionali ed era stato per questo rinviato a giudizio dinanzi al Tribunale di Verbania per i delitti di cui agli artt.314,323 e 640,2 comma,c.p.,patteggiando poi la pena…

In ordine al potere del datore di lavoro di effettuare controlli per quanto riguarda l'uso della linea telefonica da parte del dipendente del settore privato, la sua legittimità è stata affermata,  inoltre, dalla scarsa giurisprudenza, sia di legittimità che di merito,  che si è occupata del problema, sia pure con differenti motivazioni (vedi Cass. Sez. Lavoro, 3.4.2002, n. 4746, cui adde  ordinanza del Tribunale Milano del 10.5.2002 che, in particolare, ha escluso la responsabilità del datore di lavoro ex art. 616 c.p.).

Passando ora al campo più strettamente penalistico è da dire che,a parte il caso sopracitato conclusosi ,però, senza un esame del merito, non si rinvengono allo stato decisioni giudiziarie relative all'abuso della posta elettronica e della navigazione su Internet da parte del dipendente sia pubblico che privato, mediante le apparecchiature dell'ufficio. Esistono  tuttavia pronunzie relative all'uso delle apparecchiature telefoniche in ambito lavorativo pubblico ma che potrebbero anche applicarsi  (ed in questo senso va intesa la iniziativa della   Procura della Repubblica di Verbania)  all'uso illegittimo della posta elettronica ed alla navigazione non autorizzata  in Internet. La Corte Suprema, in realtà, è divisa sul punto, pur ritenendo applicabile in materia l'art.314 del c.p.  relativo al peculato. Più  in particolare,  mentre alcune decisioni hanno ritenuto che il fatto debba essere inquadrato nell'ipotesi prevista dal primo comma del citato articolo, punita con la grave pena della reclusione da tre a dieci anni (vedi, da ultimo, Cass. Sez.VI,24/6-2001/13/1/ 2002,n.30756), altre hanno invece  affermato che si trattava di "peculato d'uso", fatto punito con la più lieve pena della reclusione da sei mesi a tre anni (vedi  da ultimo, Cass. Sez. VI, 14/2/2000, n. 788 ) .Tuttavia la stessa Corte, di fronte alla scarsa rilevanza dei reati commessi dall'imputato non se l'è sentita, per così dire, di affermare  la grave responsabilità scaturente dall'applicazione dell'art. 314 c.p.  ...ed ha  ,con la decisione sopracitata,compiuto una  operazione di "chirurgia plastica" della norma, ammettendo come scriminante il fatto che la condotta dell'imputato appariva caratterizzata dalla eccezionalità prevista dal citato art.10 dall'allora vigente Decreto del Ministro per la Funzione pubblica.

Tutto ciò premesso, non c'è dubbio che l'intera problematica, nei suoi riflessi giuridici e normativi, andrebbe esaminata  alla luce anche degli orientamenti della coscienza sociale. Appare infatti "illusoire et irrealiste", come affermato in Francia dalla CNIL, organo di protezione della privacy, in un pregevole rapporto intitolato "La cybersurveillance  des salariés dans l'entreprise" del marzo 2001, una proibizione assoluta dell'uso per scopi personali degli strumenti tecnologici in ambiente lavorativo. Ciò che appare comunque urgente, di fronte alla diffusione del fenomeno, è  di riesaminare l'inquadramento tradizionale dell'ipotesi di abuso nell'ambito penalistico per evitare soluzioni giurisprudenziali oggettivamente inique di fronte alla scarsa rilevanza della condotta, tenendo conto, da un lato delle esigenze di sicurezza e di correttezza amministrativa, dall'altro dalla necessità di evitare eccessive frustrazioni in ambiente lavorativo le cui conseguenze, sia detto per inciso, avrebbero come effetto una minore produttività.

In conclusione, andrebbe, ad avviso dello scrivente esaminata, in via prioritaria, la possibilità di "depenalizzare", per così dire, le ipotesi  non gravi di uso privato degli strumenti tecnologici di ogni tipo da parte dei pubblici dipendenti, prevedendo per i fatti una sanzione amministrativa, tenendo presenti le vigenti disposizioni in materia di depenalizzazione (cfr. legge 24/11/1981 n.689  ed il  Decreto Legislativo 30/12/1999 n. 507). 

Roma  14/4/2004              

Carlo Sarzana di S. Ippolito