inserito in Diritto&Diritti nel gennaio 2001

La guerra giudiziaria dei domini Internet

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Viene chiamata "la guerra dei domini". Fino a qualche tempo fa poteva sembrare il titolo di un libro sulle guerre feudali che infestarono l’Europa nei secoli bui; oggi indica invece il conflitto – combattuto nelle aule di giustizia – che sta terrorizzando quello che avrebbe dovuto essere il meno feudale dei mondi possibili: Internet.

 

Per comprenderne le ragioni conviene però fare un passo indietro e conoscere più da vicino l’oggetto della contesa: il "nome di dominio" o – come più spesso viene chiamato con termine anglosassone – il "domain name".

 

I domain names sono indirizzi alfa-numerici che identificano specifici siti Internet e ne consentono l’accesso. Attraverso il dominio "ferrari.it", per esempio, possiamo rapidamente accedere al sito dell’omonima Casa automobilistica. In realtà, va notato, solo il termine "ferrari" costituisce il vero e proprio nome di dominio - definito come SLD, Second Level Domain -, mentre il suffisso a destra del punto dà indicazioni sul contenuto del sito (es.: com, org o i più recenti biz, pro, coop) oppure individua il luogo geografico dove è stato registrato il dominio (così: it per l’Italia, fr per la Francia).

 

Sebbene il nome di dominio sia stato introdotto per risolvere un problema pratico – facilitare la memorizzazione dei numeri degli elaboratori collegati alla rete (i c.d. "numeri di protocollo" o IP) – ed abbia una indubbia funzione tecnica, il diffondersi dell’uso di Internet ha ben presto determinato l’insorgere di liti che hanno per oggetto il dominio stesso.

 

Per la verità in un primo momento, agli albori dell’"era Internet", nessuno poneva troppa attenzione ai nomi che venivano registrati come domini e le stesse multinazionali non si curavano di farsi assegnare domini corrispondenti ai propri marchi. Solo più tardi, quando le grandi imprese intuirono le potenzialità commerciali della rete, sorsero i primi problemi e le prime controversie relative ai nomi di dominio (celebre la vertenza "McDonald’s v. Quittner"), poiché molte imprese – arrivate in ritardo – trovarono i loro marchi già registrati come domini da terzi.

 

Questo perché il sistema di assegnazione dei "domain names" è basato sul principio del "first come, first served": un criterio, insomma, di mera priorità cronologica, con il risultato – di grande rilievo pratico – che chiunque può registrare come proprio nome di dominio un marchio altrui, escludendo così qualunque altra persona (incluso il legittimo titolare) dall’uso del medesimo sulla rete.

 

Dal diffondersi di questa pratica – da molti attuata peraltro a scopo meramente speculativo – alle dispute giudiziarie il passo è stato breve.

 

Stando alla realtà delle aule di giustizia italiane, va segnalato che, nonostante qualche isolata decisione (pur se recente: cfr. ordinanza Tribunale di Firenze del 29 giugno 2000: Sabena S.A.//Agenzia A&A; nonché ordinanza Tribunale di Firenze – Sez. Dist. Empoli – del 23 novembre 2000: Blaupunkt//Nessos Italia S.r.l. ) ritenga che il nome di dominio non possa contrastare con i marchi registrati o con altri segni distintivi, prevalentemente il domain name è stato parificato al marchio o quanto meno all’insegna e sono state ritenute applicabili la normativa di cui al R.D. 11 giugno 1942 n. 929 e le disposizioni codicistiche in tema di concorrenza sleale.

 

L’uso di un nome come domain name, in altre parole, è solitamente visto come una spendita commerciale del segno, riservata pertanto al titolare della privativa industriale.

 

Se questo è l’orientamento prevalente in giurisprudenza, va però evidenziato che il rischio di future pronunce di segno opposto è in ogni caso reale. Ciò anche perché le poche decisioni ora rinvenibili sono solo di merito: occupate dunque più al caso concreto che a dar vita ad un "leading case".

 

Dott. Luca Giacopuzzi

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