inserito in Diritto&Diritti nel agosto 2001

Riflessioni a margine delle ord. Trib. Bari 24 luglio 1996 (Soc.Teseo c. Soc. Teseo Internet Provider), Trib. Firenze 29 giugno2000 (Sabena c. A&A), Trib. Firenze (Sez. distaccata di Empoli) 23 novembre2000 (Blaupunkt c. Nesson).

 

Tribunale Bari, 24 luglio 1996 ( Soc. Teseo c. Soc. Teseo Internet Provider ):

“Va respinto il ricorso ex art.700c.p.c., proposto da una società commerciale che lamenti l’utilizzo indebito della propria denominazione sociale, da parte di altra società, come domain name identificativo di un  << sito >> Internet, in quanto, non avendo tale nome la funzione di identificare il soggetto che lo  utilizza, difetta il pericolo di confusione.” [1]

 

Tribunale Firenze, 29 giugno 2000 ( Sabena c. A&A ):

“La funzione del domain name sistem è quella di consentire a chiunque di raggiungere una pagina web e, in quanto mezzo operativo e tecnico-logico, non può porsi con riguardo a tale sistema un problema di violazione dei segni distintivi aziendali altrui come il marchio, la denominazione sociale o altri segni distintivi .” [2]

 

Tribunale Firenze, sez. distaccata di Empoli,  23 novembre 2000 ( Blaupunkt c. Nesson):

“Il marchio, caratterizzato da vari tipi di segni grafici che possono formare infinite combinazioni, tutela il prodotto di una impresa e non può essere parificato al domain name, che può essere formato soltanto da lettere o numeri e che costituisce esclusivamente un indirizzo telematico.” [3]

 

A cura del  dott. Francesco A. Donato

 

Le pronunce in epigrafe  si inquadrano nell’ottica del fenomeno del cybersquatting (to squat: occupare abusivamente) o domain grabbing[4] (to grab: arraffare/ portare via),  che si sostanzia nella registrazione abusiva di domini aventi una denominazione corrispondente a marchi o nomi celebri.

Le pronunce della giurisprudenza, barese prima, fiorentina in seguito, si sono mosse all’insegna della distinzione tra regole del mondo virtuale e reale, tra loro non del tutto complementari, e così facendo hanno distinto l’applicabilità della disciplina marchi[5] dalle Regole di Naming[6] e dalla Netiquette[7].

Come afferma un Autore[8] in nota alla pronuncia del Trib. Bari 24 / 7 / ’96, “… il domain name prescelto da un qualsiasi soggetto che intende disporre di un proprio sito in Internet risulta del tutto autonomo dal soggetto che lo utilizza e dai suoi segni distintivi (denominazione o ragione sociale, marchio, ecc.), dovendosi qualificare come semplice << codice d’accesso ai servizi telematici >>”. Considerato il diverso settore di operatività e di mercato delle società in giudizio, il Tribunale ha sostenuto che non si è in presenza di alcuna fattispecie che possa dare luogo ad atti di concorrenza sleale ex art.2598c.c.[9] , non sussistendo confusione tra domain name e denominazione sociale della ricorrente. Infatti, per potersi configurare pericolo di concorrenza  non bisogna  porre l’attenzione al domain name in sé, ma piuttosto occorre valutare il contenuto effettivo delle pagine attivate sul sito Internet.

A tal proposito, se il paragrafo 4 lett. b (Evidence of Registration and Use in Bad Faith[10]) dell’Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy  ha posto in evidenza il divieto di usare il domain name in modo confusorio o comunque tale da ledere i diritti dei terzi,  l’art.13.1 del Regolamento di Assegnazione della Naming Authority italiana dispone che “l’assegnatario di un nome a dominio si assume la piena responsabilità civile e penale dell’uso del nome a dominio stesso. A tale fine il richiedente è tenuto ad inviare alla R.A. una lettera di assunzione di responsabilità .. secondo schema predisposto dalla R.A..”(co.1). “Nella lettera di A.R. devono essere dichiarati i dati identificativi del richiedente. Il richiedente deve inoltre dichiarare di conoscere i principi fondamentali di utilizzo delle risorse e della rete Internet, di avere preso visione delle norme predisposte dalla N.A. e dei principi espressi nel documento  Netiquette…” (co.2).

Nonostante la giurisprudenza tuttora maggioritaria  parifichi il domain name al marchio, gliene estenda analogicamente la disciplina e le norme in materia di concorrenza sleale, il Trib. Firenze 29 / 6 / 2000,  nell’adottare l’art.3 del Regolamento di Assegnazione della Naming Authority,  ne ha svelato lo iato: “.. la corrispondenza marchio-dominio non è un bene assoluto, non è un valore assoluto e, soprattutto,  non è un principio positivamente sancito nel nostro ordinamento”.

Considerato che l’art.3, al co.1, si sostanzia nel principio first come, first served ed, al co.2, evidenzia l’aspetto prettamente tecnico-funzionale del nome a dominio  (“ i nomi a dominio hanno la sola funzione di identificare univocamente gruppi di oggetti - servizi, macchine, caselle postali - presenti sulla rete”) , anche il Trib. Firenze (sez. distaccata di Empoli) 23 / 11 / 2000 ha avallato la tesi secondo cui “il nome a dominio rappresenta soltanto un indirizzo di rete e non implica di per sé riferimenti al marchio o ad altri diritti commerciali”.

Così si è giunti a considerare “il domain name alla stregua di un mero indirizzo, un mero numero telefonico, sia pure tradotto in lettere”[11], il quale “costituisce esclusivamente un indirizzo telematico che consente di raggiungere il sito da qualsiasi parte del globo.”[12]

Per questa ragione il domain name  non tutela in alcun modo il prodotto aziendale, né appare convincente assimilarlo all’insegna poiché questa, nel contraddistinguere i locali in cui si esercita l’impresa, pone in  rilievo il solo ambito territoriale.

La  giurisprudenza  toscana,  dando  risalto  agli  aspetti  operativi del D.N.S.[13], come ha

evidenziato un Autore[14] già nella prima pronuncia, sembra “aver completamente  ignorato    le  tecniche  per  colmare  le  lacune  dell’ordinamento   giuridico :  quali,  ad  

esempio,  il ricorso all’interpretazione estensiva[15], all’analogia[16], ai principi[17]”.

Attraverso tali criteri si reputa applicabile la legge marchi  ai nomi di dominio, accostando così mondo reale a mondo virtuale.

A questo proposito sembra opportuno fare alcune riflessioni.

L’art.16 l.m. evidenzia che il marchio quale strumento di comunicazione deve poter essere rappresentato graficamente attraverso parole, compresi i nomi di persone (c.d. marchi denominativi),  disegni,  lettere, cifre[18] (c.d. marchi figurativi o emblematici),   forma del prodotto o  confezione di esso (c.d. marchi di forma), combinazioni o  tonalità cromatiche (marchi di colore), suoni[19]. Ed ancora, i marchi possono essere semplici,  quando costituiti da un solo segno tra quelli elencati dall’art.16 l.m., ma possono essere anche complessi, ove costituiti dall’unione di più elementi dotati ciascuno di autonoma capacità distintiva[20], o d’insieme, ove la capacità distintiva risieda nella combinazione originale di più elementi i quali, singolarmente considerati, sono privi di tale capacità[21].

Un domain name sotto il cc.TLD “it”, invece, può essere costituito da lettere dell’alfabeto e numeri  a cui va aggiunto il trattino (-), che costituisce l’unico carattere speciale ammesso, e può essere compreso tra  tre e sessantatre caratteri[22].

Da ciò si palesa l’impossibilità di applicare la disciplina marchi anche ai nomi a dominio, non potendo questi ultimi essere costituiti da un insieme di elementi distintivi.

Ed ancora, se gli artt.6 e 7 l.m. fanno riferimento alla protezione temporanea del marchio, recuperando gli artt.4. lett.c della Convenzione d’Unione di Parigi[23] e 29 reg.m.c. sul diritto di priorità, gli artt.3 e 8 del Regolamento di Assegnazione della N.A.[24] ribadiscono, rispettivamente, il principio first come, first served  e la non prenotabilità di un nome a dominio[25].

Detto ciò, l’affermare che il preuso può essere disciplinato solo dalla normativa sui marchi è un  pleonasmo dato che, come disposto  ex artt.9 e 17.1b l.m., l’elemento territoriale  ne è un connotato essenziale.

Se, ai sensi dell’art.42.1 l.m., il marchio decade per effetto del non uso entro cinque anni dalla registrazione o per la sospensione dell’uso per cinque anni consecutivi, la N.A., a seguito della concessione di un domain name, non esige che il conduttore si comporti attivamente. 

Quanto, poi,  alla durata,  l’art.4.4 l.m.  considera per i marchi un periodo di dieci anni, mentre l’art.7 del Regolamento di Assegnazione della N.A.  prevede che “i nomi a dominio  possono essere mantenuti dagli assegnatari per un periodo massimo di un anno dalla data in cui tali nomi sono stati dichiarati riservati”.

Bisogna, inoltre,  evidenziare che anche la tutela prevista a seguito della registrazione del marchio è condizionata da due limiti, i quali trovano espressione rispettivamente negli artt.1.1a, 13.1 l.m., che rivelano il principio di specialità, e nell’art.18.1e l.m., che esprime il principio della territorialità della tutela del marchio.

Un  Autore[26], infatti, in una felice sintesi afferma che “per  restare al tema della decettività si  deve .. tornare al problema del valore significativo del segno, che costituisce il presupposto logico di qualsiasi discorso di veridicità o ingannevolezza. Il marchio … informa i consumatori, designa la specie, la qualità, la destinazione, il valore, la fonte di origine, la provenienza geografica ed altre caratteristiche del bene o servizio, divenendo perciò significativo”.

Risolvendosi in modo a nostro avviso poco convincente il tentativo di applicare ai nomi a dominio la disciplina marchi, data la frequente antitesi tra legge marchi e regolamento di assegnazione dei nomi a dominio,  alle decisioni dei Tribunali va il riconoscimento di aver  adottato i principi della Naming Authority, che ha per l’appunto  il compito di  dettare le regole di settore.

Tuttavia la corrente maggioritaria della giurisprudenza dispone che “ l’uso di un marchio … come domain name o all’interno di un sito Internet … viola i diritti del titolare del marchio in quanto comporta l’immediato vantaggio di ricollegare la propria attività a quella del titolare del marchio, sfruttando la notorietà del segno e traendone indebito vantaggio”[27]  e propende per l’assimilazione del domain name all’insegna  perché svolge identica funzione di contraddistinguere il luogo virtuale in cui l’imprenditore offre i propri prodotti o servizi al pubblico, consentendone al contempo il reperimento e l’individuazione rispetto ai concorrenti”[28].

Su questa linea un Autore[29], esperto nel settore, giudicando  le decisioni della giurisprudenza toscana incondivisibili,  ricorda come “l’art.1 l.m., dopo aver previsto che i diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di far uso esclusivo del marchio, sancisce che il titolare del marchio può comunque utilizzare il segno nella corrispondenza e nella pubblicità e quindi anche nella rete  Internet, all’interno di un sito o come domain name. Ad una identica conclusione - scrive detto Autore -  si perverrebbe pur nell’ipotesi in cui (per come appare plausibile) il domain name venga assimilato all’insegna, giacché si tratterebbe comunque di insegna utilizzata con funzione di marchio”[30].

A rigor di logica, comunque, non ci spieghiamo il   motivo per cui  la Naming Authority  abbia quale “principale compito istituzionale” quello  di “produrre regole e procedure di assegnazione dei nomi a dominio in Italia (cc.TLD “it” )” [31], quando poi è  la disciplina marchi, nei  tribunali, a risolvere le controversie di settore. E questo, nonostante sia facile evidenziare due limiti alla tutela offerta  dalla suddetta disciplina a seguito della registrazione del marchio.

Il primo  è il principio di specialità che si rinviene negli artt. 1.1, 13.1  e 17.1  l.m in cui si fa esplicito divieto di adottare segni identici o simili a prodotti o servizi identici o affini[32],  dando rilievo alla distinzione tra classi merceologiche dei prodotti e/o servizi oggetto della registrazione, eccetto quando si tratti di marchi celebri o di alta rinomanza che godono di una tutela a trecentosessanta gradi come previsto dall’art.1.1.c l.m.[33] .

Il secondo è il principio di territorialità per il quale occorre rilevare la distinzione tra marchi nazionali ex art.17.1d l.m. , internazionali con effetto nello Stato ex art.4.2a della direttiva, e marchi comunitari con effetto in tutta la comunità ex art. 8.2a reg. m.c..

Se si riconosce l’applicazione del principio di territorialità anche ad Internet[34], considerato come strumento di comunicazione e non già come spazio virtuale di per sé autonomo, allora sarà più comprensibile l’adattamento della disciplina marchi ai  domain names.

Inoltre, a prescindere dai criteri di specialità e territorialità, un Autore[35], sottolineata “l’esclusiva assoluta che il protocollo di comunicazione che governa il sistema internet attribuisce a chi per primo ha registrato un domain name”, ritiene “interferente e quindi  illecita” la registrazione di un domain name  uguale o comprendente il marchio.

Nell’ambito dell’unità dei segni distintivi, come pure dell’art.11 l.m. ( “non è consentito usare il marchio  … in modo da ingenerare un rischio di confusione sul mercato con altri segni conosciuti come distintivi di imprese, prodotti o servizi altrui ..”), è impossibile che i nomi a dominio siano disciplinati da autonome regole di settore dovendo  soggiacere al diritto di esclusiva proprio della legge sui marchi .

E proprio alla valenza economica dei marchi[36]  rivolgono la loro attenzione anche le Internet company, essendo essi soggetti all’andamento dei titoli della new economy.

 

dott. Francesco A. Donato

 


[1] Tribunale Bari, 24 luglio 1996 (Soc. Teseo c. soc. Teseo Internet Provider) in Foro it., I,  1997, c.2316.

 

[2] Tribunale Firenze, 29 luglio 2000  ( Sabena c. A&A ) in dir. ind.,  n°4, 2000, p.331.

 

[3] Tribunale Firenze, sez. distaccata di Empoli (Blaupunkt c. Nesson). Massima ancora inedita, della cui anticipazione si ringrazia l’Avv. Giuseppe Cassano. 

 

[4] A tal proposito è d’uopo rilevare una sostanziale distinzione tra il termine cybersquatting, che indica la  mera registrazione al solo fine dell’alienazione del dominio a terzi per lucrare la differenza, e quello di domain grabbing che, invece, indica l’utilizzo del dominio stesso con i benefici  propri del legittimo titolare. Infatti, se nel primo caso si tratta di un non uso, quindi di un parcheggio dei nomi a dominio registrati, rilevando lo stato passivo del titolare, nel secondo, invece, si  tratta di una utilizzazione di questi, dunque di un’attività del soggetto che ne ha fatto la registrazione. Secondo G. Cassano, in dir.inf., 2001, p.86,  però, la distinzione dei termini è più importante a fronte delle diverse tecniche di tutela, le quali in caso di cybersquatting “richiamano più da vicino la violazione della normativa sui marchi e la concorrenza sleale”  mentre, nel caso di domain grabbing, fanno diretto riferimento al diritto alla riservatezza, al nome, alla reputazione, all’immagine, all’identità personale.

 

[5] La disciplina marchi nazionale è regolata dal R.D. n°929/ ’42  novellato dal D.lgs.  n°480/ ’92 , dal D.Lgs. n° 198/ ’96 e dal D.lgs. n°447/ ’99.

 

[6] La Naming Authority italiana produce Regole e Procedure di assegnazione dei nomi a dominio in Italia (cc.TLD “it”) www.nic.it/NA/. Da questa si distingue la Registration Authority italiana che effettua le assegnazioni dei nomi a dominio in Italia www.nic.it/RA/.

 

[7] La c.d. Netiquette consta dell’insieme di regole di buon uso dei servizi di rete  ed è definita da  F. Brugaletta in “Internet per giuristi”, Simone, 1998, p.299,  come “galateo della rete, vale a dire le regole che riguardano il buon comportamento tra utenti della rete”.

 

[8] N. Cosentino in  nota a Tribunale Bari, 24 luglio 1996 (Soc. Teseo c. Soc. Teseo Internet Provider) in Foro it., 1997, I, c.2320.

 

[9] Per completezza, l’art.2598c.c. distingue nell’attività di concorrenza sleale il profilo confusorio, quello dell’appropriazione dei pregi altrui, quello della violazione dei principi professionali.

 

[10] Uniform Domain Name Dispute Resolution (as approved by ICANN on October 24, 1999).

Paragrafo 4 lett.b: Evidence of Registration and Use in Bad Faith:

For the purposes, .. the following circumstances, in particular but without limitation, if found by the Panel to be present, shall be evidence of the registration and use of a domain name in bad faith:

(i)                   circumstances indicating that you have registered or you have acquired the domain name primarily for the purpose of selling, renting, or otherwise transferring the domain name registration to the complainant who is the owner of the trademark  or service mark or to a competitor of that complainant, for valuable consideration in excess of your documented out-of-pocket costs directly related to the domain name;or

(ii)                 you have registered the domain name in order to prevent the owner of the trademark or service mark from reflecting the mark in a corresponding domain name, provided that you have engaged in a pattern of such conduct;or

(iii)                you have registered the domain name primarily for the purpose of disrupting the business of a competitor;or

(iv)               by using the domain name, you have intentionally attempted to attract, for commercial gain, Internet users to your web site or other on-line location, by creating a likelihood of confusion with complainant’s mark as to the source, sponsorship, affiliation, or endorsement of your web site or location or of a product or service on your web site or location.

 

[11] Cfr. sent. Tribunale Firenze, 29 giugno 2000 (Sabena c. A&A) in www.interlex.it 

( www.interlex.it/testi/fi000629.htm ) .

 

[12] Cfr. sent. Tribunale Firenze, sez. distaccata di Empoli, 23 novembre 2000 (Blaupunkt c. Nesson) in www.interlex.it

( www.interlex.it/testi/fi001123.htm ) .

 

[13] “Da un punto di vista tecnico il Domain Name Service è costituito da un sistema di database distribuiti nella rete chiamati name server, che sono collegati tra loro. Ogni dominio e ogni sottodominio ha almeno un name server di riferimento. Quest’ultimo svolge la funzione di tradurre i nomi in indirizzi numerici per conto degli host o di altri name server. Infatti la comunicazione tra gli host avviene attraverso gli indirizzi numerici. La traduzione viene chiamata tecnicamente risoluzione. Quando un host (sollecitato da un utente o da una applicazione) deve collegarsi ad un altro host che ha un determinato nome simbolico,  ad es.sunsite.dsi.unimi.it, chiede al proprio name server locale di tradurre il nome simbolico nel corrispondente indirizzo numerico” in M. Calvo - G. Roncaglia - F. Ciotti- M.A. Zela, “Internet 2000 - Manuale per l’uso della rete”, Editori Laterza, 2000, pp.444 - 445.

Passando, poi, alla ricostruzione tecnica del domain name, questo è il risultato di una successione di tre parole: la prima a partire da sinistra è costituita dall’acronimo www. (World Wide Web letteralmente: ragnatela diffusa su tutto il mondo); la seconda è un’espressione alfabetica scelta liberamente dal richiedente e costituisce il fulcro del nome a dominio; la terza ed ultima è  rappresentata dal Top Level Domain (TLD) che è la parte di indirizzo composta da due o tre lettere, poste sull’estrema destra, dopo un punto, che identificano l’area geografica (uno tra tutti i NIC dell’Unione Europea : it - Italia) o tematica ( com – organizzazioni commerciali / edu – enti di ricerca ed università / gov – enti governativi /  int – organizzazioni internazionali / mil – enti militari / net - networks   / org – enti  no profit / ).

Il 16 novembre 2000 il direttivo dell’ICANN, nel corso della riunione a Marina Del Rey  in California,  ha approvato sette nuovi TLD: aero – per le compagnie aeree / biz –  per le imprese / coop –  per le cooperative / info –  per i giornali / museum –  per i musei e le gallerie d’arte /  name –  per le persone / pro –  per i professionisti. 

 

[14] G. Cassano, “Libertà di registrazione del domain name e … marchi senza tutela: verso la negazione di un principio consolidato?”  in Corriere giuridico, n°4, 2001,  p.545.

 

[15] Con l’interpretazione estensiva (art.12 co.1 disp.prel.) “si perviene alla individuazione di tutte le ipotesi disciplinate dalla norma, che solo apparentemente ne sono estranee a causa della non espressa menzione” in  F. Gazzoni, “Manuale di diritto privato”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1998, VII ed., p.50. In tal caso la  formulazione letterale della norma non esaurisce tutti i significati che il legislatore intende trasmettere  (lex minus dixit quam voluit).

 

[16] Con l’analogia legis (art.12 co.2 disp.prel. parte prima) si risolvono casi non previsti dalla norma. Non possono applicarsi per analogia né le norme  penali in malam partem in base al principio di legalità (nullum crimen, nulla poena sine lege) e di tassatività, né le norme che hanno carattere eccezionale perché la ratio di queste si fonda su esigenze particolari che, se estese oltre il caso previsto, devierebbero dai principi ispiratori del sistema giuridico (art.14 disp. prel.). “Il momento essenziale del procedimento analogico consiste nel determinare la ragione giustificatrice della norma, per stabilire se essa può giustificare l’applicazione del medesimo trattamento al caso non previsto” in P. Trimarchi, “Istituzioni di diritto privato”, Giuffrè, Milano, 2000, XIII ed., p.12.

 

[17] Con i principi generali (art.12 co.2 disp. prel. parte seconda) dell’ordinamento giuridico dello Stato, alias analogia juris, si lascia all’interprete (e quindi al giudice) di valutare in concreto la regola vincolante. Si tratta di una “norma di chiusura alla cui stregua il conflitto è risolto ogniqualvolta una regola non sia individuabile nemmeno con il ricorso alla analogia legis” in F. Gazzoni, op.cit., p.50.

 

[18] “Per quanto riguarda  le lettere o le cifre, esse sono considerate dal nostro ordinamento registrabili anche isolatamente, a condizione che vengano rappresentate con una particolare grafia o in modo da costituire un logotipo che conferisca loro un quid di originalità” in  M. A. Caruso,  “Temi di diritto industriale”, Giuffrè, Milano, 2000, p.73.

 

[19]“ La legge menziona, infine, fra i segni tutelabili i  <<suoni>>, con ciò intendendo probabilmente riferirsi ai brevi temi musicali che, per quanto ovviamente non possano essere apposti a un prodotto, possono tuttavia essere usati come marchi, come accade quando siano usati in relazione a determinati prodotti nella pubblicità radiotelevisiva. La registrazione concernerà necessariamente l’espressione del tema nel pentagramma e nelle note, ma la tutela ne riguarderà l’espressione sonora” in A. Vanzetti – V. Di Cataldo, “Manuale di diritto industriale”, Giuffrè, Milano, 2000, p.136.

 

[20] “La forza del marchio complesso è normalmente affidata ad una sola delle sue componenti, che viene chiamata  <<cuore del segno>>, proprio perché è quella che è maggiormente dotata di capacità distintiva. Le altre componenti sono dotate di minore capacità distintiva o addirittura ne sono del tutto prive” in  V. Di Cataldo, “I segni distintivi”, Giuffrè, Milano, 1993, p.75.

 

[21] I marchi d’insieme sono composti da una pluralità di elementi che, ad una ricerca del <<cuore del segno>>, risultano singolarmente privi di efficacia individualizzante e che, tuttavia, attraverso la loro  particolare combinazione acquistano la capacità distintiva propria del marchio.

 

[22] Infatti,  se l’art.7 (Nomi riservati) del Regolamento di Assegnazione al co.2 dispone che  “ non sono assegnabili i nomi a dominio costituiti da uno o due soli caratteri ..”, l’art.2 (Compiti della Registration Authority Italiana) dello stesso Regolamento, prevede al co.2 lett.b che specifiche tecniche valide a livello mondiale circoscrivano a sessantatre il numero massimo di caratteri come stabilito dallo standard rfc1034 all’art.3.1 (name space specifications and terminology). Cfr. ftp://ftp.nic.it/rfc./rfc.1034.txt .

 

 

[23] Parafrasando l’art.4 1ett.c della Convenzione d’Unione di Parigi,  chiunque abbia regolarmente depositato in uno dei Paesi dell’Unione una domanda di brevetto di marchio di fabbrica o commercio,  godrà di un diritto di priorità per la registrazione negli altri Paesi, a condizione che il secondo deposito si  verifichi entro sei mesi dal primo.

 

[24] Regolamento di Assegnazione della N.A.:

Art.3: I nomi a dominio vengono assegnati in uso dalla R.A. ai richiedenti, seguendo l’ordine cronologico delle richieste, come definito dalle Procedure Tecniche di Registrazione.

I nomi a dominio hanno la sola funzione di identificare univocamente gruppi di oggetti (servizi macchine, caselle postali, etc.) presenti sulla rete.

Art.8: Un nome a dominio non è prenotabile.

Un nome a dominio assegnato in uso all’interno dello spazio dei nomi sotto il cc.TLD “it” non può considerarsi come pre-riservato in altre posizioni dell’albero dei nomi stesso.

 

[25] Al riguardo il Trib. Bari, 24 luglio 1996 (Soc. Teseo c. Soc. Teseo Internet Provider), in Foro it. 1997, I, c.2322 evidenzia che “ ..  la resistente ha legittimamente acquisito il diritto all’utilizzazione del dominio in contestazione avendo per prima ottenuto la relativa concessione dall’organo competente a ciò preposto e .. la ricorrente non può vantare alcun diritto di esclusiva in ordine all’utilizzazione del dominio .. sia perché .. il nome a domini può non corrispondere a quello dell’entità richiedente, sia perché in ogni caso esso avrebbe potuto essere richiesto da qualsiasi entità che legittimamente avesse utilizzato, nella propria ditta o in altri segni distintivi, la parola  in questione. Peraltro il ragionamento citato esclude la possibilità di prenotazione di un nome a domini ( che può essere assegnato in uso solo quando esso venga effettivamente utilizzato per un servizio funzionante) ed anche i sottodomini assegnati che desiderino ottenere una registrazione a livello superiore nell’albero dei nomi non possono considerare preservato il nome che essi avevano.”

 

[26] G. Sena, “Il nuovo diritto dei marchi”, Giuffrè, Milano, terza edizione, 2001, pp.61-62.

 

[27] Tribunale Vicenza, 6 luglio 1998  (GEL di Rubega Silvano e Int. Gold Service srl  c. Peugeot Automobili Italia S.p.A.  e Automobiles Peugeot S.A. ) in Giur.it, 1998,  p.2342.

 

[28] Tribunale Modena 1 agosto 2000 (Data service c. Ascom Servizi) in www.interlex.it (www.interlex.it/testi/or000801htm ).

Tra le pronunce più significative della giurisprudenza maggioritaria, il Tribunale Roma, 6 marzo 2000 (Carpoint c. Microsoft) in www.iterlex.it  ( www.interlex.it/testi/rm000309htm )  dispone che“ in linea di principio il domain name può reputarsi come segno distintivo, ove utilizzato da un imprenditore, suscettibile di entrare in conflitto oltre che con altri domain names eventualmente simili, anche con altri segni tipici quali in particolare il marchio e nel caso di conflitto può richiedersi l’inibitoria prevista dall’art.63l.m.: pur tenendo conto della peculiare natura e funzione tecnica , il domain name non può ritenersi solo un mero indirizzo elettronico o casella postale,  ove utilizzato in connessione allo svolgimento di un’attività economica, deve assumere anche una funzione di individuazione dell’attività economica connessa”.

 

[29]G. Cassano, “Verso la retta via in tema di domain name? Brevi note di commento a Tribiunale Siracusa, sez. Lentini, 23 marzo 2001” in  www.studiocelentano.it  ( www.studiocelentano.it/editoria/lentini_cassano.htm ) . Vedi ancora lo stesso autore, “Una ragionevole ordinanza siciliana in tema di nomi di dominio. Ritrovati gli equilibri perduti?”,  in rivista cartacea diritto&diritti (D&D), n°8, 2001.

 

[30] G. Cassano, op.cit. nota 29.

 

[31] Queste  le testuali  parole nel sito della Naming Authorithy ( www.nic.it/NA/ )  che stabilisce le procedure operative ed il regolamento in base al quale opera la Registration Authority italiana.  Quest’ultima è responsabile dell’assegnazione dei nomi a dominio nel country code “IT” (ISO 3166) e svolge la sua attività attraverso l’Istituto per le Applicazioni Telematiche ( IAT) del Centro Nazionale delle Ricerche (CNR).

 

[32] “L’affinità dei prodotti viene riscontrata in base alla destinazione alla soddisfazione di bisogni analoghi, ovvero per la destinazione alla medesima clientela o in base alla loro intrinseca natura” in G. La Villa, “Introduzione al diritto dei marchi d’impresa”, Giappichelli, Torino, 1994, p.21 .

 

[33] Così  la Cassazione civile, 20 dicembre 1999, n° 14315 (Champion products inc. c. Soc. Cofra calzaturificio) in Giust. civ., 2000, p.2697  dispone che “ il giudizio di  << affinità >> di un prodotto rispetto ad un altro coperto da un marchio notorio o rinomato deve essere formulato … secondo un criterio più largo di quello adoperato per i marchi comuni. In relazione ai marchi cosiddetti  << celebri >>, infatti,  deve accogliersi una nozione più ampia di  << affinità >>, la quale tenga conto del pericolo di confusione in cui il consumatore medio può cadere attribuendo al titolare del marchio celebre la fabbricazione anche di altri prodotti non rilevantemente distanti sotto il piano merceologico e non caratterizzati di per sé da alta specializzazione”.

               

[34] Così il Tribunale Roma, 9 marzo 2000 ( Carpoint c. Microsoft), nell’applicare la tutela ordinaria del marchio anche ai nomi a dominio, dispone che nonostante “ per la indubbia affinità tra prodotti o servizi possa determinarsi un rischio di confusione … nel caso di specie questo rischio non sussiste” trovandosi l’attività imprenditoriale e la rete commerciale delle società in Stati diversi. Infatti Carpoint spa ha sede legale in Italia ed è titolare del marchio registrato “Carpoint” e del sito web “carpoint.it”, mentre la Microsoft, ha sede legale  negli Stati Uniti ed  ha un sito su internet  all’inteno della propria rete msn (Microsoft Network) con il nome a dominio “carpoint msn. com” .

[35] G. Sena, op.cit., p.100.

 

[36] A tal proposito, secondo l’indagine 2001 realizzata da Interbrand, la classifica dei primi 100 brand mondiali (selezionati sulla base della loro dimensione globale e della quantità di informazioni finanziarie disponibili per consentire una corretta valutazione del loro peso) evidenzia  come la crisi dei titoli delle Internet company  si ripercuota sul valore dei marchi.  Cfr.“Il sole 24 ore” di Lunedì 30 Luglio 2001, p.32, “La crisi offusca i marchi della new economy”  di A. Minguzzi.