inserito in Diritto&Diritti nel febbraio 2003

Il fallimento dell’imprenditore minerario e  sorte delle pertinenze minerarie

di Riccardo De Simone

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1- Introduzione

 

Il tema in esame costituisce un interessante connubio tra aspetti privatistici (più precisamente inerenti al diritto societario) ed elementi pubblicistici, riguardanti in particolar modo la disciplina dei beni pubblici. La dottrina sembra essersi disinteressata da tempo all’argomento, che, a seguito della devoluzione delle funzioni amministrative in materia mineraria alle Regioni, ha subito necessariamente una frammentazione normativa, pur nel pieno rispetto dei principi fondamentali sanciti dal Regio Decreto 29 luglio 1927, n. 1443.

Tale provvedimento legislativo costituisce, infatti, fonte primaria regolante lo sfruttamento di miniere, cave e torbiere, cui fanno riferimento, a seguito del passaggio della materia alla competenza regionale, le numerose leggi regionali (per la Toscana è intervenuta la legge n. 78 del 1998, T.U. in materia di miniere, cave, torbiere, recupero di aree escavate e riutilizzo di residui recuperabili).

I problemi applicativi non sono certo mancati, specialmente in situazioni patologiche di crisi delle imprese concessionarie della coltivazione mineraria, ma la rarità dei casi ha fatto sì che la dottrina non si accostasse al tema, se non in periodi remoti, e che la giurisprudenza lo affrontasse in maniera saltuaria.

La trattazione non potrà prescindere da una breve digressione sugli aspetti amministrativi relativi alla peculiarità dell’uso del bene dato in concessione ed ai rapporti tra pubblica amministrazione-concedente e privato-concessionario, al fine comprendere meglio i problemi che sorgono in seguito al fallimento dell’impresa titolare di concessione.

Invero, ci si chiede a quali conseguenze porti il fallimento di un impresa che ha nel bene miniera e nelle sue pertinenze la parte principale del capitale, quale valore abbia l’ipoteca mineraria e quali poteri spettino al creditore ipotecario.

Tali sono gli aspetti che si confida di poter analizzare e chiarire alla stregua delle seguenti considerazioni.

 

2- La concessione mineraria come concessione di produzione

 

L’imprenditore minerario, come qualsiasi altro imprenditore, può entrare in crisi e, di conseguenza, può essere assoggettato a procedure concorsuali al fine di evitare un pregiudizio per il ceto creditorio e realizzare il soddisfacimento paritetico dei creditori (par condicio creditorum). A questo punto, però, sembra lecito chiedersi quale fine farebbe la concessione dato che l’imprenditore fallito non potrebbe più svolgere la coltivazione della miniera ed il bene pubblico non verrebbe sfruttato al meglio, mentre, presumibilmente, una schiera di creditori sarebbe pronta a chiedere soddisfazione di quanto dovuto.

A tal proposito occorre fare una breve digressione sulle fondamentali fattispecie di concessione di beni, che la dottrina ha da tempo distinto, proprio al fine di poter dare risposta al quesito poc’anzi menzionato.

La classificazione adottata da M.S. Giannini distingue tre figure di uso concesso: di bene in senso stretto, di bene attrezzato e di produzione.

Le concessioni di bene in senso stretto pongono il bene medesimo al centro dell’attività del concessionario, in quanto tale bene costituisce elemento unico ed essenziale dell’azienda. Il concessionario trarrà vantaggio economico dalla migliore utilizzabilità del bene per tutti ed inciderà favorevolmente sull’economia nazionale. Esempi di concessione di bene in senso stretto sono rappresentate da concessione di spiaggia per l’esercizio di stabilimento balneare, concessione comunale di suolo stradale per edicole o per lo stazionamento di merci per mercati rionali e via dicendo.

Quanto alla concessione di bene attrezzato si rileva un differente rapporto tra bene e interessi in gioco, siano essi pubblici o privati, tanto da far sì che il bene non rileva in sé, ma in quanto temporaneamente attrezzato al fine di essere reso più utile nel suo complesso allo scopo cui è destinato (es. concessione di pertinenza stradale per impianto di distributore di carburante).

Ciò che, invece, caratterizza la concessione di produzione è la funzione strumentale del bene nel rapporto con il fine ultimo della produzione industriale o agricola. E’ la produzione del bene finale che rileva sul piano pubblicistico e, soprattutto, è nella previsione della produzione in questione che si legittima la funzione della concessione. L’imprenditore trae gli utili dalla produzione dei proventi del godimento del bene e alle sue esigenze si contrappone la salvaguardia del bene pubblico nei suoi aspetti fisici da parte dell’ente concedente che avrà, infatti, il compito di riequilibrare il rapporto attraverso una pregnante ingerenza sulla conduzione dell’impresa stessa.

L’amministrazione può annoverare tra gli strumenti a salvaguardia del bene sia specifiche clausole contenute nella concessione-contratto, imponendo ad esempio determinati oneri di produzione al concessionario e condizionando al loro rispetto la stessa sopravvivenza del rapporto, sia il potere di revoca (jus poenitendi) con cui si travolgerebbe l’impresa per salvaguardare una gestione “distruttiva”, in senso lato, del bene. In buona sostanza l’”armamentario” della pubblica amministrazione contemplerà rimedi jure privatorum, alternandoli a soluzioni jure imperii.     

Se, però, la produzione in concreto integra a pieno titolo la finalità dell’attività del concedente, non è agevole per quest’ultimo individuare, in sede di adozione di direttive e di controllo contrattuale nei confronti del concessionario, la giusta misura che, senza danneggiare il bene pubblico, accresca la produzione a vantaggio del suo concessionario.

La concessione mineraria viene pacificamente fatta rientrare in quest’ultima categoria, ove è il Ministero delle attività produttive a procede sia alla valutazione dei requisiti necessari in ordine al rilascio del provvedimento sia ad un immanente e persistente controllo in ordine al mantenimento in attività del giacimento, da parte del concessionario, con mezzi tecnici adeguati all’importanza del giacimento stesso.

 

3- Fallimento del concessionario e decadenza dalla concessione

 

Prendendo le mosse da tali considerazioni, si può affermare che la concessione mineraria sia destinata a decadere ex officio al momento del fallimento dell’imprenditore concessionario, poiché le finalità prefissate dal concedente verrebbero ad essere vanificate dall’impossibilità di coltivazione della miniera conseguente al fallimento dell’imprenditore. Quest’ultimo, infatti, perderà il diritto alla coltivazione della miniera in seguito al fallimento non perché sia venuto meno direttamente agli impegni con l’ente concedente, bensì in base alla sua sopravvenuta inidoneità tecnica e soprattutto economica (prevista dall’ art. 15 R.D. n. 1443/1927) che legittimerà i creditori ipotecari a promuovere l’espropriazione del suo diritto, con conseguente impossibilità di rispettare gli oneri di produzione imposti. Ciò è espressamente previsto all’art. 30 R.D. 29 luglio 1927, n. 1443 che recita: “l’espropriazione del diritto del concessionario della miniera può essere promossa soltanto dai creditori ipotecari”.

Solo coloro che possono vantare apposita ipoteca monetaria, dunque, possono dare impulso alla procedura di esproprio. Riguardo a detta ipoteca il R.D. 1443/1927 stabilisce (art.22) che essa è subordinata all’autorizzazione del Ministro dell’industria, commercio e artigianato (oggi Ministro delle attività produttive) ed indica espressamente (art. 37) la sfera di azione dell’ipoteca stessa, ossia su cose e somme di spettanza del concessionario.

Si ricordi, peraltro, che, in quanto bene appartenente al patrimonio indisponibile dello Stato ex lege (art. 826 c.c.), la miniera non può in alcun modo essere assoggettata a pignoramento né a qualsiasi altro trasferimento coattivo, costituendo per l’appunto bene indisponibile. La regola generale della assoggettabilità ad esecuzione di tutti i beni del debitore subisce, per quel che attiene ai beni demaniali ed ai patrimoniali indisponibili, un’eccezione, configurandosi un difetto assoluto di giurisdizione del giudice ordinario (Cass. n. 1780/1978). La concessione mineraria, invece, pur essendo assentita intuitu personae, è rapporto di natura patrimoniale che, per la rilevanza economica sottostante, derivante dall’impresa inerente allo sfruttamento, non può non interessare la massa dei creditori e non essere ricompresso nel fallimento anche perché suscettibile di espropriazione, sia pur nell’interesse dei soli creditori ipotecari, come detto poc’anzi.

Invero, la posizione di concessionario non può essere trasferita per atto inter vivos, salvo diversa disposizione di legge, se non con il consenso dell’ente concedente, al quale spetta di verificare l’idoneità dell’avente causa alla titolarità della concessione (Cons. St. n. 801/1990; Cons. St. n. 1823/1975).

Nel caso di specie, ai sensi dell’art. 30 R.D. n. 1443/1927, i creditori ipotecari possono espropriare il diritto del concessionario notificando al Ministro delle attività produttive l’atto di precetto immobiliare. A seguito dell’espropriazione del diritto alla coltivazione, si procede all’aggiudicazione per soddisfare i creditori. L’aggiudicatario subentrerà nei diritti ed obblighi stabiliti dall’atto di concessione a carico del precedente concessionario, previo giudizio di conformità ai requisiti ex art. 15 R.D. n. 1443/1927 da parte del Ministro delle attività produttive. 

Il creditore ipotecario ha, dunque, una posizione alquanto privilegiata ben potendo, come detto, non solo promuovere l’espropriazione del diritto del concessionario, ma anche dare impulso alla procedura liquidatoria della società titolare della concessione (Cass. n. 9737/1990), chiedendo la vendita all’asta della concessione mineraria non ancora assegnata (art. 44, co. 2).

A seguito di fallimento dell’imprenditore minerario, infatti, si apre la fase di liquidazione per soddisfare il ceto creditorio. La normativa prevede l’assegnazione della concessione, oggetto di decadenza, ad un nuovo concessionario che presenti i requisiti previsti e che sia anche disposto a soddisfare i creditori del concessionario fallito.

Comunque, entro un anno dalla pronuncia di decadenza, i creditori ipotecari possono promuovere la vendita all’asta della concessione mineraria.

Nel caso l’asta vada deserta, la miniera potrà formare oggetto di nuova concessione, libera da ogni peso.

Decorso, invece, un anno dalla pronuncia di decadenza senza che i creditori abbiano richiesto la vendita della concessione o senza che questa venga assegnata, gravata dai vincoli suddetti, il Ministro delle attività produttive può procedere liberamente a nuova concessione (art. 44, co. 4). Al concessionario decaduto, però, non può essere nuovamente affidata la coltivazione della miniera (TAR, Toscana, n. 525/1988).

 

4- Sorte delle pertinenze minerarie

 

Il regime delle pertinenze minerarie, contenuto agli artt. 22, 23, 35 e 43, l. min., ha dato adito a non pochi dubbi sia in dottrina che in giurisprudenza relativamente all’appartenenza di tali beni una volta destinati alla coltivazione della miniera, ma anche in ordine alla loro sorte in caso di cessazione della concessione e ipoteca mineraria.

Occorre porre attenzione inizialmente all’ambito di applicazione dell’art. 23 l. min. che, in quanto lex specialis, deroga parzialmente al regime codicistico annoverando tra i beni suscettibili di vincolo pertinenziale non solo gli edifici, gli impianti fissi interni od esterni, i pozzi, le gallerie, ma anche i macchinari, gli apparecchi ed utensili destinati alla coltivazione della miniera, assieme con le opere e gli impianti destinati all’arricchimento del minerale.

Invero, alcuni dei beni menzionati per loro natura dovrebbero costituire, attraverso l’unione e l’incorporazione con la miniera, un bene composto, mentre secondo la legge mineraria sono da considerarsi pertinenze. Si pensi al caso di macchinari di uno stabilimento industriale costituenti elemento del complesso aziendale e come tali non assoggettabili ad ipoteca ai sensi dell’art. 2810 c.c., come pertinenze, ma tutt’al più ai sensi dell’art. 2811 c.c. (Cass. n. 391/1985).

Se il concetto di pertinenza presuppone una cosa principale ed una accessoria, destinata a rendere possibile o più proficuo il godimento o lo sfruttamento della prima, la nozione di azienda implica un rapporto di reciproca complementarietà tra tutti gli elementi che sarebbero da considerare sullo stesso piano, alla stregua di un’universalità, volti a realizzare le finalità produttive del complesso aziendale. Ne consegue che i macchinari non potrebbero essere considerati pertinenza, bensì elementi dell’universalità dei beni aziendali.

La disposizione di cui all’art. 23 va letta assieme a quella contenuta all’art. 35, l. min., secondo cui il concessionario, una volta cessata la concessione, deve consegnare la miniera e le sue pertinenze all’amministrazione. Occorre fare subito un passo indietro per comprendere meglio la portata della disposizione in esame.

Tutto ciò è possibile avuto riguardo alla particolarità del bene principale, la miniera, e alle esigenze legate alla produttività (art. 26, l. min.).

La nozione di miniera è solitamente suddivisa in giacimento minerario, che riguarda la disciplina giuridica del bene patrimoniale indisponibile, e azienda mineraria, cioè l’attività estrattiva in senso stretto. L’imprenditore, ottenuta la concessione, possiede una sorta di diritto reale di godimento sul giacimento che gli permette di percepirne i frutti (i diritti reali sono tipici e per ciò non può esserne creato uno ad hoc per la miniera), in ragione di ciò il concessionario è parimenti legittimato (art. 817 c.c.) ad effettuare l’atto di destinazione del bene al vincolo pertinenziale, pur non essendo il proprietario del bene principale.

I beni contenuti all’art. 23 l. min. entrano in tal modo in un rapporto di funzionalità con il bene produttivo, in quanto sono al servizio della funzione produttiva del bene miniera. Quest’ultimo, però, è caratterizzato dal fatto di appartenere istituzionalmente allo Stato (o alle Regioni), non potendo essere posseduto, uti dominus, da altri.

La miniera va annoverata tra quei beni patrimoniali indisponibili che Virga definisce “quasi-demaniali”, poiché per natura appartengono al patrimonio dello Stato (o delle Regioni).

L’acquisizione del giacimento al patrimonio pubblico avviene con la sua scoperta, mentre sino a quel momento il sottosuolo appartiene al proprietario del fondo, di conseguenza, una volta esaurita la miniera, la proprietà del privato si riespande sino a ricomprendere, per accessione, i beni immobili pertinenziali insistenti sul fondo di cui è proprietario (in tal senso Cass. n. 4950/1987; Cass. n. 3829/1975). Si realizza una sorta di diritto di superficie che cessa con l’esaurimento del giacimento.

Partendo da tali presupposti si può affermare che le pertinenze minerarie sono soggette al regime di quasi-demanialità del bene principale.

Ciascuna pertinenza sarebbe diretta allo sfruttamento e coltivazione della miniera, quindi destinata, senza possibilità di distrazioni, al servizio del bene principale (Cass. n. 4331/1975; Cass. n. 1593/1972). Ecco spiegata, quindi, la ratio della norma che prevede il passaggio delle pertinenze minerarie nella sfera di appartenenza dell’amministrazione.

Si potrebbe azzardare anche una lettura diversa, ossia, prendendo in esame la duplicità insita nel concetto stesso di miniera, si potrebbe ipotizzare una distinzione tra pertinenze del giacimento minerario, da considerarsi pertinenze demaniali con tutto ciò che ne consegue, e beni dell’azienda mineraria che formerebbero un’universalità di fatto, accontentando sia i sostenitori della nozione di miniera come universalità complessa, sia quanti, invece, reputano che il rapporto tra miniera e beni sia di subordinazione dei secondi rispetto alla prima; secondo tale divisione gerarchica sarebbe inconcepibile parlare di universalità. Resta il fatto che i beni in esame sarebbero sempre gli stessi, ma muterebbe il loro regime a seconda della nozione di miniera che si sta utilizzando. 

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La cessione di azienda che si realizza ai sensi degli artt. 30 e 44 l. min., a seguito di cessazione della concessione per decadenza, comporta il passaggio delle pertinenze del bene-miniera, al nuovo concessionario.

In primo luogo, si è già detto di come il vincolo pertinenziale leghi in maniera indissolubile i beni preposti alla coltivazione della miniera alla medesima sia in base alle disposizioni codicistiche (art. 818 c.c.), secondo cui le pertinenze seguono il destino del bene principale, salvo diverse statuizioni, sia in base alla particolare natura di pertinenze quasi-demaniali che rendono inscindibile in via di principio il rapporto con la cosa principale.

In base a ciò, la pertinenza potrà circolare indipendentemente dal bene principale soltanto previa interruzione del rapporto di quasi-demanialità (esaurimento del giacimento) o determinazione discrezionale dell’ente proprietario (Cons. St. n. 721/1991).

In secondo luogo, è utile rilevare che, nonostante l’art. 819 c.c. affermi che gli atti di disposizione del bene principale non pregiudicano i diritti preesistenti dei terzi sulle pertinenze, i creditori ipotecari non possono assoggettare le pertinenze al pignoramento in base all’art. 515 c.p.c. in quanto necessarie alla coltivazione della miniera e finalizzate a conservarne la produttività.

Le argomentazioni brevemente esposte e l’art. 43 l. min. permettono di affermare che le pertinenze minerarie, a seguito di cessione di azienda, passano al nuovo concessionario.

Verrebbe a questo punto da chiedersi se spetti un indennizzo al concessionario che, investendo sul bene miniera, abbia destinato dei beni al vincolo pertinenziale, migliorando in tal modo le possibilità di coltivazione del giacimento. Ad esempio il concessionario che impianta macchinari vedrebbe perdere la proprietà di tali beni in quanto sottoposti a vincolo pertinenziale e pertanto di appartenenza dell’ente pubblico come il bene principale. L’ente pubblico a sua volta pone a disposizione del nuovo concessionario tali beni, ma non avrà l’obbligo di corrispondere un indennizzo per i beni pertinenziali apportati dal precedente concessionario.

Il concessionario, infatti, avrà da un lato un’obbligazione di dare nei confronti dell’amministrazione, cioè dovrà versare un canone per lo sfruttamento della miniera, dall’altro avrà un facere specifico consistente nella messa in produzione del bene miniera e nel suo costante sfruttamento, come emerge dalla l. min., tale da giustificare l’enorme spesa per sostenere gli impianti, suscettibili di vincolo pertinenziale. Prova ne sia anche la peculiare esiguità dell’importo del canone imposto al concessionario che, per il fatto di dover sopportare enormi spese, non viene strangolato da canoni giugulari. Dal canto suo l’amministrazione si impegna a porre la miniera nella disponibilità del privato concessionario, senza nulla stabilire in ordine ad eventuali indennizzi per le pertinenze destinate al bene principale.

A ben vedere, la disciplina contenuta nel codice civile (artt. 985-986) dispone l’acquisto per accessione delle addizioni e dei miglioramenti da parte del nudo proprietario tenuto a sua volta a corrispondere un indennizzo pari, nel caso di miglioramento, alla minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento del valore conseguito dalla cosa, nel caso di addizione, pari alla minor somma tra l’importo della spesa ed il valore delle addizioni al tempo della riconsegna. 

Le pertinenze, sotto forma di addizioni e miglioramenti, sono apposte dal primo concessionario e, come detto, passano per accessione all’amministrazione, cui appartiene il bene principale. Nel caso di fallimento del primo concessionario e di conseguente decadenza dalla concessione, il successivo concessionario si troverebbe a godere di beni già allestiti per la coltivazione (ad es. gallerie e pozzi già scavati, macchinari ed edifici preposti allo sfruttamento della miniera), ma una tale situazione non è tollerabile perché si andrebbe ad avvantaggiare chi è arrivato per secondo punendo invece chi aveva inizialmente investito sul bene.

Non è neppure configurabile un obbligo di indennizzo da parte dell’amministrazione cui appartiene la miniera poiché i rapporti con il concessionario sono regolati chiaramente con la concessione-contratto (l’imprenditore ha obblighi di facere e di dare, l’amministrazione concede la coltivazione del bene a lei appartenente) e le pertinenze della miniera non devono necessariamente esservi indicate, in quanto tale accertamento attiene alla fase di costituzione del rapporto (TAR Toscana n. 525/1988).

In tal senso anche il Supremo Consesso amministrativo (decisione n. 662/1990): “nel caso in cui la concessione mineraria per l’utilizzazione di acqua minerale anziché essere rinnovata al precedente concessionario sia accordata a nuovo concessionario, l’amministrazione concedente non ha alcun obbligo di determinare nell’atto di concessione il regime delle opere asportabili o meno e del prezzo relativo, in quanto, a norma dell’art. 36 r.d. n. 1443/1927, si tratta di questione inerente alla sfera dei rapporti patrimoniali tra il vecchio ed il nuovo concessionario in ordine alla quale l’intervento eventuale dell’amministrazione è previsto in un secondo momento, in funzione di provvisoria conciliazione, in attesa delle determinazioni dell’autorità giudiziaria, nel caso di disaccordo tra le parti.”

Occorre rilevare che le addizioni si distinguono in separabili e non con riguardo alla possibilità fisica di distoglierle dal bene principale senza recare nocumento ad esso. E’ di palmare evidenza che non può ammettersi un distacco del bene dalla miniera che causi l’impossibilità di coltivazione della medesima.

La legge mineraria in proposito recepisce tale distinzione e prevede che il nuovo concessionario abbia il diritto di avvalersi delle opere, degli impianti e delle altre pertinenze necessarie alla coltivazione della miniera non separabili senza pregiudizio per il bene principale (art. 43, co. 2), per i quali, però, a nostro sommesso avviso, dovrà versare un indennizzo al precedente concessionario in base a quanto detto poc’anzi.

Inoltre, dal combinato disposto degli artt. 36 e 43 l. min. si evince che il subentrante concessionario possa ritenere anche le pertinenze separabili, salvo pagamento del prezzo. Il relativo ammontare della somma da versare a titolo di corrispettivo viene stabilita in base ad accordo tra le parti. Nel caso di mancato accordo interviene l’ingegnere capo del distretto minerario che determina provvisoriamente l’ammontare della somma da versare presso la Cassa depositi e prestiti, in attesa di eventuale giudizio.

L’obbligo di indennizzo, quindi, non può che farsi ricadere sul secondo concessionario che, nel caso subentri al concessionario fallito, dovrà versare l’importo ai creditori ipotecari di quest’ultimo che ben potranno rivalersi sulle somme così ottenute (art. 37 l. min.).

Sarà, dunque, onere del curatore fallimentare esigere il pagamento del prezzo e distribuirlo tra i creditori ipotecari.

 E’, inoltre, utile ricordare che il regime previsto dalla l. min. non è lesivo nei confronti dei creditori chirografari non assistiti da ipoteche, in quanto questi, pur essendo esclusi dalla ripartizione sia del prezzo della subasta della concessione sia del prezzo delle pertinenze, potranno rivalersi utilmente sui beni espropriabili dell’imprenditore e comunque sugli altri cespiti diversi dalla concessione, ma oggetto della liquidazione fallimentare.

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Tale ricostruzione potrebbe essere criticata nel punto in cui nulla è previsto da parte del legislatore in ordine al pagamento di corrispettivo per le pertinenze inseparabili che il nuovo concessionario ha addirittura diritto a impiegare. L’art. 35 l. min. impone espressamente al concessionario decaduto la consegna della miniera e delle sue pertinenze all’Amministrazione, salvo il diritto di ritenere i beni separabili senza nocumento per la miniera.

La riconduzione delle pertinenze minerarie non separabili al regime codicistico delle addizioni e miglioramenti potrebbe anche non convincere.

Il problema, dunque, potrebbe essere impostato anche in un altro modo, non senza forzature.

Basti pensare ai c.d. “diritti demaniali” su beni altrui previsti dall’art. 825 c.c., che sottopone al regime proprio del demanio pubblico i diritti reali spettanti agli enti territoriali su beni appartenenti ad altri soggetti sia che essi siano costituiti per l’utilità dei beni di appartenenza dell’ente territoriale, sia per il conseguimento di fini di interesse pubblico corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi. Le pertinenze minerarie inseparabili sono caratterizzate da un profondo ancoraggio al bene dominante, la miniera, e pertanto sono al suo servizio funzionale alla stregua di una servitù prediale. Il nuovo concessionario, insieme con l’uso della miniera, acquisterebbe il diritto di servitù su tali beni.

Si potrebbe, pertanto, ipotizzare una sorta di servitù prediale pubblica gravante sul bene pertinenziale ormai definitivamente uscito dalla sfera di disponibilità del concessionario decaduto, cui, però, spetterebbe ugualmente un indennizzo per il carattere espropriativo derivante dall’imposizione suddetta.

La giurisprudenza additiva della Corte Costituzionale ha infatti affermato che l’obbligo dell’indennizzo non spetta soltanto nelle ipotesi di completa traslazione del diritto reale, ma anche in quelle nelle quali, pur restando intatta la titolarità del diritto di proprietà, quest’ultimo venga annullato o menomato mediante servitù o limiti di entità apprezzabile.

Si rilevi, però, che la miniera è un bene del patrimonio indisponibile e non appartenente al demanio, come richiede la disposizione citata. Inoltre la servitù pubblica dovrebbe sorgere: per legge, per atto amministrativo, per convenzione con il privato, per atto di liberalità del privato o per usucapione da parte dell’ente. Nel caso in esame non sembra che si possa riscontrare uno degli atti costitutivi menzionati. Peraltro il loro uso sarebbe limitato allo sfruttamento da parte del nuovo concessionario e destinato solo in via estremamente mediata alla collettività, mentre la natura dell’istituto della servitù pubblica comporta l’uso collettivo del bene.

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 Ancor meno convincente risulta essere l’ipotesi secondo la quale le pertinenze inseparabili dovrebbero essere considerate come dei beni privati di interesse pubblico. Ossia potrebbero essere annoverate tra quei beni che, pur ricadendo nella proprietà privata, risultano in varia misura collegati funzionalmente a qualche interesse pubblico e per questo motivo sottoposti a limitazioni, vincoli e controlli nel godimento e nelle facoltà di disposizione fino a divenire veri e propri beni pubblici, a seguito di dichiarazione di pubblica utilità, attraverso una espropriazione. Fino a tal momento, ai fini dell’indennizzo, valga quanto detto poc’anzi con riferimento agli orientamenti espressi dalla Corte Costituzionale.

 

5- Considerazioni conclusive

 

Quanto sin qui esposto consente di trarre le seguenti conclusioni.

La concessione mineraria decade ex officio a seguito del fallimento dell’imprenditore concessionario e non si trasferisce al curatore fallimentare, ma si configura una sorta di prorogatio della stessa in capo al titolare sino alla pronuncia dell’apposito decreto da parte del Ministro delle attività produttive, con cui si dà atto del venir meno dell’idoneità tecnica ed economica a condurre l’impresa da parte del concessionario fallito. L’interesse pubblico viene ad essere perseguito attraverso un adeguato sfruttamento della miniera, per cui i requisiti richiesti ne costituirebbero imprescindibile garanzia; mentre non è ipotizzabile un trasferimento della concessione al curatore poiché ciò svincolerebbe il bene dall’interesse pubblico.

La pronuncia di decadenza avrà, quindi, carattere ricognitorio con margini molto ristretti per una valutazione discrezionale dell’amministrazione concedente. 

A suffragio di quanto sin qui dedotto si veda la decisione n. 139/1992 del Consiglio di Stato con cui si dichiara legittimo il provvedimento dell’amministrazione concedente che pronuncia la decadenza della concessione a seguito del fallimento del titolare. In tal senso anche Consiglio di Stato n. 1039/1994 secondo cui: “in materia di concessione per lo sfruttamento di acque minerali e termali, il fallimento del concessionario comporta, di regola, la decadenza dalla concessione, in quanto il protrarsi del rapporto rappresenta una soluzione eccezionale alla quale l’amministrazione, salvo che singole norme non dispongano altrimenti, può addivenire soltanto in presenza di serie e comprovate ragioni di interesse pubblico, che giustificano il mantenimento della situazione di fatto”. A ciò si aggiunga il principio sancito sempre dal supremo consesso amministrativo secondo cui la decadenza, poiché riguarda eventi posteriori all’emanazione del provvedimento (diversamente dalla revoca) , non incontra limiti nell’esistenza di posizioni giuridiche consolidate e non richiede motivazioni in punto di interesse pubblico (Cons. St. n. 973/1996). Non sembra, dunque, ipotizzabile né condivisibile un esito differente per la concessione mineraria. 

Per quanto concerne l’ipoteca mineraria, invece, occorre rilevare che essa costituisce fondamentale strumento di garanzia nelle mani del creditore il quale, come detto, potrà vantare poteri d’iniziativa e impulso non comuni al restante ceto creditorio.

Un panorama del tutto differente si schiuderebbe allorquando il bene subisse una mutazione irreversibile, che nel caso della miniera potrebbe coincidere ad esempio con l’esaurimento del giacimento a seguito del quale lo Stato non sarebbe più interessato a rendere il bene idoneo all’utilizzo nell’interesse della collettività, preservandolo con vincoli di destinazione e di impignorabilità. In tale ipotesi la patrimonialità indisponibile verrebbe a cessare e con ciò le limitazioni alla possibilità di sottoporre il bene, anche se ormai snaturato ed evidentemente decurtato del suo valore, ad esecuzione forzata da parte dei creditori.

 

Riccardo De Simone