LA NUOVA LEGGE SAMMARINESE SULL'ESERCIZIO IN FORMA

 INDIVIDUALE E ASSOCIATA DI ATTIVITA' D'IMPRESA

(LEGGE 28 APRILE 1999, N.53):

IL SUPERAMENTO DEL PRECEDENTE SISTEMA CONCESSORIO E LA

 VICENDA DEL CERTIFICATO DI MAI AVVENUTO FALLIMENTO

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Di Simone Arcangeli

"Avvocato e Notaio in San Marino"
indirizzo email:
avv.arcangeli@omniway.sm

INDICE-SOMMARIO

1) Premessa. Le fonti dell'ordinamento giuridico sammarinese: verso il declino dello ius commune?;

2) La legge 13 giugno 1990 n.68, (" Legge sulle società"). Rapporti con la nuova normativa;

3) La vicenda del certificato di mai avvenuto fallimento:

    A- comparazione con l'ordinamento fallimentare italiano e profili di

         incostituzionalità;

    B- l'intervento chiarificatore del legislatore con il Decreto Reggenziale

         n. 70/1999;

4) Superamento del sistema concessorio: limiti e condizioni;

5) Conclusioni .  

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1) Premessa. Le fonti dell'ordinamento giuridico sammarinese: verso il declino dello ius commune?

        Dal 14 maggio 1999, è entrata in vigore, nella Repubblica di San Marino, una nuova normativa recante (il titolo è, malauguratamente,assai articolato) "Disposizioni per l'esercizio in forma individuale di attività di impresa a carattere industriale o artigianale in favore di persone fisiche residenti sul territorio, procedure per la costituzione ed il successivo rilascio di licenze per l'esercizio in forma associata di attività di impresa a carattere industriale in favore di promotori persone fisiche cittadini sammarinesi o residenti sul territorio della Repubblica".

        Prima di affrontare nel dettaglio, alcuni punti interessanti della nuova normativa, è necessaria una breve digressione sull'ordinamento privatistico sammarinese, al fine di poter meglio comprendere i rapporti tra le varie fonti del diritto che lo compongono, l'evoluzione cronologica delle stesse fonti soprattutto in riferimento alla perdita di importanza di alcune, anche dal punto di vista quantitativo e il conseguente emergere di altre.

        E' infatti necessario ricordare che ci si muove all'interno di un sistema giuridico con forti peculiarità  e profondamente diverso da quello italiano. Le fonti del diritto sammarinese, comprendendo in esse anche quelle di carattere pubblicistico, sono (nella maggior parte) previste, nella Rubrica XXXI, Libro III delle "Leges Statutae Reipublicae Sancti Marini " del 1600, Statuti che rappresentano ancora oggi l'ossatura principale dell'ordinamento pubblico sammarinese (valutazioni a parte dovranno essere effettuate per quanto riguarda l'ordinamento privato).    

        Tale Rubrica dispone che il giudice, per decidere il caso controverso a lui sottoposto, deve innanzitutto:

1) applicare lo Statuto e le posteriori leggi che lo riformano (cd.reformationes). Accanto allo Statuto e quindi ad integrazione dello stesso, per la materia specifica trattata, deve ora essere collocata la "Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi dell'ordinamento giuridico sammarinese" (Legge 8 luglio 1974, n.59), in virtù non solo del suo contenuto di carattere squisitamente costituzionale, ma anche per la solennità che il Consiglio Grande e Generale (organo legislativo) ha voluto attribuire al provvedimento legislativo, prevedendo inoltre un procedimento ed una maggoranza qualificata per la modificazione delle norme ivi previste;

2) ove né il primo né le seconde (reformationes), contengano disposizioni in materia, applicare le "lodevoli consuetudini locali";

3) ove anche queste non contengano disposizioni idonee, applicare il diritto comune.

          Accanto a tali fonti normative previste negli Statuti, occorre inserire, a causa della particolarità del sistema giuriudico sammarinese:

4) la giurisprudenza;

5) la dottrina giuridica.

        Si insegna tradizionalmente che il diritto sammarinese, nel settore privatistico, è fondato sul diritto comune, definito dal Prof. Vittorio Scialoja, eminente giurista e magistrato in San Marino, come " quel diritto che si venne formando e svolgendo sulla base del diritto romano (non quindi propriamente il diritto romano giustinianeo), del diritto canonico e della consuetudine, negli Stati più civili del continente europeo e in particolar modo in Italia. Esso deve ricercarsi negli scritti dei più autorevoli giureconsulti e nelle decisioni dei più rinomati tribunali" (citazione in L. Lonfernini, Elementi di diritto civile sammarinese, edito a cura della Segreteria di Stato per la Pubblica Istruzione e Giustizia, Rep. di San Marino, 1988, premesse)

        L'affermazione è, con i successivi distinguo, in buona parte esatta. La Repubblica di San Marino restò estranea a quel movimento per le codificazioni che a partire da quella napoleonica del 1805, si susseguirono abolendo il dominio del diritto comune,

se si eccettua il tentativo, ad opera del Prof. Brini, risalente a fine ottocento, peraltro fallito, di introdurre a San Marino un codice civile, mentre è perfino superfluo rammentarlo, esistono il codice penale (1975)  e di procedura penale (risalente al 1878, più volte integrato e modificato che probabilmente entro poco tempo verrà sostituito dal nuovo codice, su progetto del Prof. Nobili, all'esame del Consiglio Grande e Generale).                                              

        Rimane quindi fondamentale per il giurista e l'operatore del diritto sammarinese, l'opera di interpretazione e di aggiornamento del diritto effettuata dalla giurisprudenza per lo più sammarinese di questo secolo, raccolta in volumi che rappresentano l'analogo dei reports della giurisprudenza anglosassone 

        Sarebbe in effetti interessante verificare le rispondenze tra il principio dello stare decisis ( in altre parole del precedente giudiziario vincolante), così come accolto nell'esperienza giuridica sammarinese e l'analogo principio del judge made law, tipico dei paesi di common law, dato che comune è la forma mentis con la quale gli operatori del diritto di questi Paesi, siano essi giudici o avvocati si approcciano nell'analisi del caso concreto: in primis verificare se esiste, una specifica normativa che disciplini la materia tenendo comunque, nella massima considerazione il materiale giurisprudenziale esistente su casi simili od analoghi, ed agendo di conseguenza (una procedura certo simile a quello dei giuristi continentali, se non fosse per il valore riconosciuto al precedente giudiziario nei paesi di common law).

        Specularmente all'area dello ius commune si colloca, per quanto detto, il cd ius proprium ( le reformationes allo Statuto) e cioè la legislazione speciale emanata, in quantità negli ultimi anni sempre crescente (130 sono le Leggi e Decreti emanati nel 1999, mentre nel Bollettino Ufficiale del non lontanissimo anno 1960 si contano solamente 31 provvedimenti). E ciò induce a qualche critica osservazione riguardo al tradizionale insegnamento, secondo il quale il  diritto sammarinese sarebbe fondato sul diritto comune.

        In effetti, negli ultimi decenni, la legislazione speciale ha apportato modifiche a quasi tutti i settori del diritto e della procedura civile: dal diritto privato, al diritto del lavoro, di famiglia, commerciale, fallimentare ed altro ancora. Anche una semplice elencazione dei principali provvedimenti legislativi risulterebbe difficoltosa (in questa sede), per la quantità ed importanza delle leggi che inevitabilmente dovrebbero essere lasciate fuori.

        Risulta quindi oggi più che ragionevole affermare e dare atto che il rapporto quantitativo tra fonti di ius commune e fonti di ius proprium, si sta decisamente spostando a tutto vantaggio della legislazione speciale e questa inversione di tendenza è destinata a protrarsi ed a rafforzarsi nel futuro, anche in relazione alle norme di diritto internazionale che la Repubblica di San Marino, aderente a diversi organismi internazionali, dovrà ratificare e rendere operanti nell'ordinamento interno sammarinese.

        Ciò naturalmente importerà anche una revisione critica, di un altro tradizionale insegnamento, secondo il quale,  il diritto comune rappresenterebbe la regola ed il diritto statutario o legislativo l'eccezione: da ciò deriverebbe il carattere speciale, integrativo e modificativo che è proprio del diritto particolare, da applicare ed interpretare restrittivamente (e comunque mai fuori ed oltre la materia specifica da esso disciplinata), rispetto al carattere generale e sussidiario tipico dello ius commune.  

        A questo riguardo, basti citare una recente massima civile, la quale afferma che "L'ordinamento giuridico sammarinese, per essere proprio di uno Stato sovrano, è in sé completo ed individua nel diritto comune la sua ultima (universale) fonte normativa".

        (Dec. di grado straordinario n.4; in Giurisprudenza sammarinese dal 1981 al 1990, a cura dell'Istituto Giuridico Sammarinese,

 Maggioli Editore, Rimini, 1993).  

 

2) La Legge 13 giugno 1990 n.68 ("Legge sulle società"); rapporti con la nuova normativa        

       

      

        Tra i provvedimenti  legislativi sammarinesi più importanti dell'ultimo decennio, si colloca certamente la Legge 13 giugno 1990, n.68 ("Legge sulle società") successivamente modificata ed integrata, alla quale la nuova Legge n. 53 del 1999 si collega sistematicamente, rappresentandone una non marginale integrazione.

        La "Legge sulle società", si compone di 100 articoli, suddivisi in otto capi e può essere definita un vero e proprio "Statuto delle Società" contenendo disposizioni di carattere generale, riguardanti la nozione di imprenditore, azienda e società e disposizioni specifiche riguardo i tipi di società ammissibilii nell'ordinamento sammarinese (un dato interessante: il legislatore sammarinese, contrariamente all'italiano, seguendo l'esempio di Paesi come la Francia, la Germania, e i Paesi bassi ed alcuni Stati americani come il Delawere, che ha strappato il posto di " mother of corporation" al New Jersey, ha previsto la possibilità di costituire imprese unipersonali a responsabilità limitata), sul loro riconoscimento giuridico, sulle modalità di funzionamento degli organi sociali, sul bilancio, sulle modificazioni statutarie (trasformazioni, fusioni e liquidazioni) ed infine sulla legge applicabile.

         Tuttavia la Legge n.68/1990, prevedendo un complesso sistema concessorio, consistente nel nulla-osta preventivo del Congresso di Stato (organo esecutivo), "per costituire una società nel territorio della Repubblica" (art.12 L.cit.), aveva dato luogo a critiche in parte giustificate.

          Critiche a cui ha cercato di dare una risposta la nuova Legge n.53/1999: la nuova normativa, come indicato nella relazione al progetto di legge, si propone di dare "concreta attuazione al principio contenuto all'art.10 della Legge 8 luglio 1974 n. 59, sulla tutela e la garanzia dell'iniziativa economica privata, accogliendo in questo senso anche la richiesta degli esperti del Fondo Monetario Internazionale".

         In effetti, il principio della libera iniziativa economica, è uno dei principi cardine di tutte le moderne economie liberali. tuttavia poi ogni Stato salvaguarda e contempera tale principio, con una serie di controlli e di requisiti atti ad evitare fenomeni distorsivi.

         " Nel caso della Repubblica di San Marino - continua la Relazione - il rilascio di licenze individuali e dei nulla osta preventivi alla costituzione di società di capitali è sempre stato caratterizzato da una consistente limitazione dovuta alla preventiva verifica da parte dell'organo competente (Congresso di Stato) della nuova iniziativa economica, al fine di valutarne la compatibilità con l'economia e gli interessi generali della Repubblica".

         In questo senso, la Legge n. 68 del 1990, prevede all'art. 12,  per ogni tipo di società sia essa di persone o di capitali la suddetta autorizzazione del Congresso di Stato, previa presentazione di una domanda indirizzata all'organo esecutivo nella quale i soci promotori dovranno indicare: il loro profilo personale, l'oggetto sociale, il piano aziendale ed occupazionale della costituenda società.

        L'articolato controllo amministrativo, è stato da più parti, specie negli ultimi anni, oggetto di critiche a volte anche giustificate, riguardanti l'eccessiva discrezionalità (con il pericolo sempre incombente in una piccola comunità, di possibili favoritismi)  e complessità nella concessione dei nulla osta per coloro che, cittadini sammarinesi e comunque residenti sul territorio sammarinese desiderino intraprendere una attività economica organizzata in forma societaria.

       A queste problematiche, sembra poter porre in parte rimedio la nuova legge, che nasce con l'obbiettivo di eliminare gli inconvenienti legati alla discrezionalità dell'organo concessorio.

        Ed invero, il nuovo testo di legge si connota essenzialmente per il parziale tentativo di superamento del cd. sistema

concessorio da più parti auspicato: sia il rilascio di licenze per l'esercizio in forma individuale di attività d'impresa a carattere industriale o artigianale, in favore di persone fisiche residenti sul territorio (Art.2 L.cit.), che la costituzione di società a carattere industriale in favore di promotori persone fisiche sammarinesi o residenti sul territorio della Repubblica, esclusivamente nella forma della Soc. a Resp. Lim. e Soc. per Azioni (art.7 L. cit.),  non è soggetto al nulla osta preventivo del Congresso di Stato ( il tema sarà ripreso ed estesamente trattato al Par. 4). 

                  

        

         

3) La vicenda del certificato di mai avvenuto fallimento:

    A- comparazione con l' ordinamento fallimentare italiano e  profili di incostituzionalità;

    B- l'intervento chiarificatore del legislatore con il Decreto Reggenziale n. 70/1999

 

     A - Comparazione con l' ordinamento fallimentare italiano e profili di incostituzionalità: 

 

       Accanto a significativi miglioramenti della precedente disciplina societaria, tuttavia, non si può fare a meno di notare che l'attuazione concreta della nuova normativa ha creato una specie di piccolo terremoto burocratico, imponendo un vero e proprio tour de force ai titolari delle cariche sociali, per reperire le certificazioni previste dalla legge. 

        La legge infatti, oltre a richiedere  determinate certificazioni  per coloro che intendono esercitare in forma individuale attività di impresa a carattere industriale o artigianale o per coloro che intendono esercitare in forma associata attività di impresa a carattere industriale, prevede, all'art. 19, che anche gli attuali titolari di cariche sociali (amministratori, sindaci, sindaci revisori), debbano produrre i certificati di capacità civile, penale e di mai avvenuto fallimento. 

        Tra questi, particolare attenzione merita il certificato di mai avvenuto fallimento, non tanto per l' impasse burocratica che ha comportato (in alcuni Paesi stranieri i tribunali si sono rifiutati di consegnarlo in quanto non previsto tra la tipologia di atti che sono autorizzati a rilasciare), quanto per i problemi di legittimità costituzionale che esso prepotentemente solleva (o meglio sollevava).         

        La mancata presentazione del suddetto certificato comportava la decadenza ipso iure dalla carica, per amministratori e sindaci, nonchè come già detto, la impossibiltà di assunzione delle suddette cariche per coloro eventualmente da nominare.

        La succitata interpretazione dell'art. 19 legge cit., appariva in qualche modo obbligata dall'interpretazione letterale

dell'articolo, ove appunto si richiede il "certificato di mai avvenuto fallimento".

        Nel verbale dell'incontro Magistrati, Ordine Avvocati e Notai, Ordine Dottori Commercialisti, Collegio dei Ragionieri, avvenuto il 24 maggio 1999 ed  organizzato allo scopo di  dibattere "sull'interpretazione, applicazione ed esecuzione degli aspetti pratici e burocratici connessi alla Legge 28.4.1999 n.53", si chiarisce che  "dal certificato di mai avvenuto fallimento deve emergere che l'interessato non abbia subito una delle seguenti procedure (pendenti o già ultimate): "concorso dei creditori", "cessione dei beni" non seguita da concordato giudiziale, "fallimento".

         La terminologia "mai" implica necessariamente (si noti bene), che tali procedure concorsuali non si siano mai riscontrate, anche in tempo remoto. Gli eventuali istituti che hanno l'effetto di emendare le conseguenze della procedura concorsuale non possono essere presi in considerazione. In Italia rileva la sentenza dichiarativa di fallimento [...]".

        L'incauta formulazione utilizzata dal legislatore, aveva quindi creato una situazione che presentava forti elementi di incostituzionalità: l' amministratore o sindaco che fosse incorso nella procedura concorsuale sammarinese di "cessione dei beni" (legge 15 novembre 1917, n.17), non seguita da concordato giudiziale, non avrebbe più potuto "vita natural durante", ricoprire le suddette cariche in una società sammarinese; lo stesso dicasi per i soggetti dichiarati falliti in Italia, a prescindere per questi ultimi, dall'eventuale sentenza di riabilitazione civile ( in San Marino, il punto sarà ripreso oltre, per la particolare natura giuridica della procedura di "cessione dei beni ai creditori", non esiste alcun istituto analogo o comunque avente la medesima funzione della ribilitazione civile del fallito in Italia).

       La particolare gravità ed incostituzionalità della situazione che si sarebbe venuta a creare può essere facilmente apprezzata in riferimento al vigente ordinamento giuridico sammarinese, ai suoi principi generali ed in materia di procedure fallimentari.

       Tuttavia può risultare preliminarmente utile, ai fini di inquadrare meglio l'argomento, enunciare i riferimenti legislativi, le analisi dottrinali e l'evoluzione giurisprudenziale italiana, riguardo al tema delle incapacità personali che colpiscono il fallito dopo la dichiarazione di fallimento. La scienza giuridica sammarinese, purtroppo, sconta delle grosse lacune, per il numero alquanto limitato di studiosi (e non potrebbe essere diversamente) che si sono interessati e si interessano alla dottrina giuridica, cosicchè a volte risulta indispensabile per un inquadramento scientifico degli istituti sammarinesi, fare affidamento alle elaborazioni della dottrina e della giurisprudenza italiana.

       Gli artt. 2382, 2399, 2487, 2516 del codice civile italiano, sanciscono una serie di incapacità personali che colpiscono il fallito dopo la dichiarazione di fallimento. Tra queste anche l'impossibilità per il fallito di essere nominato amministratore o sindaco di società, nonche la decadenza in caso di pendenza della carica . Questo gruppo di norme tuttavia è stato ampiamente criticato dalla dottrina italiana più recente (Ragusa Maggiore G, Costa C., Trattato a cura di, Il Fallimento, Utet, Torino, 1997, pg.715, dove si trovano ampi riferimenti alle dottrine critiche sulle disposizioni che introducono incapacità personali a carico del fallito) che ne ha messo in dubbio la legittimità costituzionale alla luce del principio, oramai nettamente dominante, secondo il quale il fallimento non si configura più come procedimento connotato da una funzione punitiva nei confronti dell'imprenditore  che non ha saputo "assolvere i compiti economici che nella generale organizzazione della società gli erano stati affidati" (è l'espressione di Satta, Diritto Fallimentare, ediz. seconda, Cedam, Padova, 1990, pg.7; l'Autore continua affermando: "Per questo si fallisce - cioè per i motivi appena esposti -, per questo sono disposte sanzioni contro l'imprenditore che sul mero rapporto individuale non troverebbero giustificazione.").

        La crisi, spesso soltanto finanziaria dell'impresa, non costituisce un evento imputabile ad un riprovevole comportamento colposo o delittuoso dell'imprenditore, ma semmai, una componente ineliminabile e strutturale del sisteme economico moderno, caratterizzato dalla globalizzazione dei mercati, dove una crisi finanziaria che colpisce il sud-est asiatico può avere forti ripercussioni per una solida piccolo-medio impresa europea, con rilevanti interessi e rapporti in quell'area.

        A prescindere da quest'ultima considerazione, di carattere squisitamente economico, se poteva apparire ragionevole ( e comunque, come si dirà, in contrasto con i principi di diritto che reggono la procedura sammarinese di "cessione dei beni ai creditori") prevedere un lasso di tempo (es. 5 anni, così come peraltro avviene nell'ordinamento italiano per le disposizioni che prevedono la perdita dell'elettorato attivo e passivo), a decorrere dalla data di dichiarazione di fallimento, entro il quale il fallito non potesse assumere cariche sociali, la limitazione ad perpetum, appariva oltremodo limitativa ed ingiusta, palesemente in contrasto oltre che con la natura stessa della procedura concorsuale in San Marino, con alcuni fondamentali principi costituzionali sammarinesi.

        Si noti poi che tutto il dibattito dottrinale italiano sugli effetti personali del fallimento, oltre la chiusura della procedura fallimentare, pur con le accennate posizioni, alcune fortemente critiche, non può non considerare,  la presenza nell'ordinamento giuridico italiano dell'istituto della riabilitazione civile del fallito, previsto dalla legge fallimentare (R.D. 16.3.1942, n.267) agli artt. 142 ss. : procedimento speciale che dispone la cancellazione del nome dell'imprenditore dal registro dei falliti e determina conseguentemente l'estinzione di quelle incapacità che non sono strumentali al procedimento concorsuale e persistono ancora dopo la chiusura del fallimento.

        Tra queste, evidentemente, anche l'incapacità per il fallito di assumere la carica di amministratore e di sindaco di società.

        Ne deriva che il sistema italiano, pur con tutti i dubbi e le riserve avanzati in dottrina, prevede comunque, benché potenzialmente, ossia al ricorrere di determinate condizioni oggettive di cui all'art. 143 l.fall. (pagamento integrale dei debiti compresi interessi e spese, adempimento regolare del concordato, prove effettive e costanti di buona condotta per un periodo di almeno 5 anni dalla chiusura del fallimento; presupposti essenziali comuni ai 3 casi di riabilitazione sono la chiusura della procedura fallimentare e l'assenza dei fatti ostativi previsti previsti dal'art. 145 l. fall.) la possibilità per il fallito di vedere riacquistata la piena capacità civile e politica. 

         Concentrando ora l'attenzione sull'ordinamento sammarinese, la prima, considerazione da effettuare è la mancanza, in tale sistema, di un istituto analogo o comunque avente la medesima funzione della riabilitazione civile del fallito in Italia.

        Infatti, la legge "Sulla cessione dei beni ai creditori, sul concordato e sul concorso dei creditori"(L. 15 novembre 1917, n.17) in sostanza la legge fallimentare sammarinese, non prevede alcuna norma in riguardo, e neppure nel sistema di diritto comune che in tale materia assume il valore di fonte integrativa e sussidiaria di estrema importanza, data l'esiguità della legge speciale formata da appena 21 articoli, è dato rinvenire alcuna disposizione in tal senso.

        La qual cosa non deve stupire, se si riflette sulla particolare natura giuridica delle "cessio bonorum" sammarinese, volontaria o coattiva che sia. 

        Il procedimento concorsuale sammarinese è essenzialmente una procedura esecutiva di diritto comune, che trae origine "quanto alla procedura collettiva sui beni del debitore nella missio in bona e nella cessio bonorum del diritto romano e quanto alle altre regole (moratoria, concordato, inventario, nomina del curatore, verifica dei crediti, presunzioni di frode ecc.) nelle norme formulate dalla curie mercantili romane"(T.C.Giannini, Sommario di procedura civile sammarinese, ediz. seconda, a cura del dott. Francesco Viroli, G.P.E., Rep. di San Marino, 1967).

         Procedura applicabile indistintamente ad ogni sorta di debitore insolvente, così come avviene nei Paesi anglosassoni  ed in quelli di lingua tedesca e a differenza dell'Italia e degli altri Paesi che si ispirano alla tradizione del codice di commercio francese, dove il fallimento ha natura di procedura esecutiva speciale, applicabile solo a quei debitori insolventi che rivestono la qualità di "imprenditori che esercitano un'attività commerciale, esclusi gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori"(art.1 R.D. n.267/1942).

        Le diverse scelte di politica legislativa, sono da ricondurre, in ultima analisi, alle diverse categorie di interessi che le varie procedure concorsuali mirano a tutelare. Nel fallimento italiano hanno prevalso esigenze di salvaguardia di interessi generali, riferibili all'intero mercato che solo appunto l'insolvenza di un imprenditore commerciale non piccolo, sarebbe in grado di pregiudicare (" da questo punto di vista" nota il Galgano "le procedure concorsuali non mirerebbero a proteggere , più adeguatamente che non le procedure esecutive individuali, i crediti del debitore insolvente in quanto tali..."(F. Galgano, Diritto Commerciale, ediz. quarta, Tomo I, L'imprenditore, Zanichelli, Bologna, 1991, pg.306).

        La questione della specialità del fallimento è strettamente connessa alla visione privatistica o pubblicistica dello stesso, se il fallimento, in altre parole" mira a soddisfare interessi che per quanto di natura collettiva sono pur sempre concepiti come interessi privati e sono giudizialmente protetti come interessi di soggetti privati o se gli interessi in gioco siano all'opposto assunti quali interessi pubblici, ossia come interessi che lo Stato fa propri e al soddisfacimento dei quali, come per qualsiasi interesse pubblico , rivolge l'azione di propri organi, che d'autorità provvedono a imporre la realizzazione dell'interesse pubblico e la subordinazione a quello privato" (Galgano, op. cit., pp.313-314)

        In questo senso mentre il fallimento italiano, a prescindere dalle sfumature interpretative della dottrina, non può non dirsi legato alla concezione  pubblicistica ( non totalmente nel  dato legislativo, ma comunque la concezione pubblicistica affiora spessissimo nelle interpretazioni giurisprudenziali della legge fallimentare), la procedura sammarinese è certamente fondata su una concezione privatistica del fallimento.

        Si pensi alla circostanza che il "fallimento" non può essere dichiarato d'ufficio,  che quindi debba necessariamente essere richiesto da un privato o dallo stesso debitore, si pensi ancora alla natura ed ai poteri assai ampi del curatore o procuratore del concorso, che peraltro non possiede al qualifica di pubblico ufficiale attribuita al curatore fall. italiano e che fa apparire quest'ultimo come l'esercente una pubblica funzione, si pensi all'inesistenza di norme come l'art. 31 Legge Fall. italiana che stabiliscono un rapporto gerarchico fra Commissario della Legge delegato e procuratore, (un Magistrato sammarinese, lamentava poco tempo fa, in un colloquio informale la scarsa influenza del ruolo e delle prerogative del Commissario della Legge nel concorso dei creditori).  

        Se ne deve dedurre inequivocabilmente che il "fallimento sammarinese", è orientato alla savaguardia degli interessi privati  dei creditori del debitore o "decotto"(sì badi bene, non fallito, termine che non viene utilizzato né in sede legislativa nè in altra sede), nel rispetto della "par condicio creditorum".

        Il principio cardine della salvaguardia degli interessi privati dei creditori e non lo si dimentichi del debitore, opera

indistintamente anche nel caso in cui la procedura riguardi un imprenditore commerciale, poichè la legge appunto non ha distinto tra un insolvente civile ed un insolvente commerciale, ma li ha trattati alla stessa stregua ed avendo come punto di riferimento gli interessi privati dei creditori e in seconda battuta del debitore.

        Naturalmente la scelta adottata può essere oggetto di critiche, non certo infondate: il fallimento dell'imprenditore e quindi il collasso dell'impresa, comporta spesso drammatiche conseguenze sociali (oltre al pregiudizio dei creditori, presente anche nel fallimento dell'insolvente civile): si pensi ai lavoratori dell'impresa e più in generale alle ripercussioni che la crisi può provocare entro il sistema economico, negli squilibri che in esso può determinare, nelle crisi aziendali a catena che può generare.

         E proprio nell'ottica di una procedera esecutiva di diritto comune, diretta al soddisfacimento degli interessi dei creditori, mediante la liquidazione del patrimonio del debitore una volta reintegrato con le opportune azioni revocatorie e la ripartizione del ricavato tra i creditori, deve essere inquadrata e giustificata l'assenza di incapacità personali che colpiscono il decotto al termine della procedura concorsuale e quindi, della già accennata mancanza di istituti che hanno l'effetto di emendare le conseguenze personali delle procedure concorsuali.

        Per principio generale infatti, tutte le incapacità personali che colpisono il fallito durante la procedura fallimentare terminano con la chiusura del fallimento; del resto la dichiarazione di apertura del concorso dei creditori implica a carico del dissestato non una generale incapacità civile, ma solo una incapacità parziale, relativa al patrimonio attivo e passivo compreso nella massa concorsuale, secondo un consolidato principio di diritto comune, che trova un illustre portavoce nel Voet ( Ad Pand., Lib.XLII, tit. III, n. 10; citazione in M.S. LAZZARI, L'istituto giuridico del concorso dei creditori nella Rep. di San Marino, Edito a cura della Cassa di Risparmio della Rep. di San Marino, R.S.M., 1997, pg.51 ).

        In particolare il Giannini (op.cit. pg. 136) afferma che dopo l'apertura del concorso, al debitore è concesso: "1- di intervenire, sotto determinate condizioni nel giudizio, 2- di agire contro il concorso per far valere i diritti personali ad esempio per contrastare la dichiarazione di concorso, per farla revocare, per far separare dalla massa i beni personali ed impignorabili 3- di agire contro chiunque per la difesa dei suoi diritti, in quanto ciò non si rifletta sui beni soggetti alla massa concorsuale".

        Dopo la chiusura del fallimento l'insolvente civile,  riacquista la sua piena capacità giuridica: l'articolo 2 lettera a della legge elettorale 31 gennaio 1996 n.6, esclude dall'elettorato attivo e passivo chi è assoggettato al giudiziale concorso dei creditori, limitatamente alla durata della procedura.

        Proprio in ragione del fatto che la legge concorsuale, non si riferisce ad uno specifico imprenditore commerciale, ma riguarda un generico insolvente civile, non sono previste particolari "punizioni civili", determinate dalla inadeguatezza del'imprenditore fallito, a svolgere il ruolo che gli era stato assegnato nella generale organizzazione della società (norme peraltro, come accennato, ampiamente criticate anche in riferimento alla procedura fallimentare "speciale" italiana).    

         Del resto se si pensa ai principi di diritto romano relativi alla cessione dei beni introdotta dalla legge Giulia, si constaterà che il debitore, non ha diritto in tutti i casi di cedere i beni: la cessione "è un beneficio che deve essere concesso e che presuppone l'assenza di malafede nel debitore il quale siasi ridotto a mal partito in seguito a rovesci di fortuna" (Giannini, op.cit. pg.128). Tale beneficio produceva rispetto al cedente, tra gli altri, l'effetto di salvarlo dall'arresto personale e dall'infamia. Nessun intento punitivo quindi, ma soltanto l'esigenza durante il tempo occorrente all'inventario dei beni, al ripristino della situazione finanziaria e alla successiva vendita degli stessi, di neutralizzare i poteri e le capacità (processuali ed in parte anche civili del decotto), salva la piena reintegrazione della capacità civile e politica alla chiusura del fallimento.      

       

B- L'intervento chiarificatore del legislatore con il Decreto Reggenziale n.70/1999:

 

        Il "certificato di mai avvenuto fallimento", richiesto dalla nuova normativa in materia societaria, risultava quindi in forte contrasto con i principi di diritto comune e con la prassi giurisprudenziale in tema di incapacità civili del fallito.

        Il vulnus, operato dall'art. 19 della Legge n.53/1999, a consolidati orientamenti dottrinali e giurisprudenziali, riguardanti la stessa natura giuridica dell'istituto del concursus creditorum sammarinese ha costretto il legislatore a ritornare sull'argomento, con il Decreto Reggenziale n.70/1999. 

        Tale Decreto recante il "regolamento applicativo della Legge n.53/1999", doveva comunque essere emanato ai sensi dell'art. 3 L. cit.,  entro quaranta giorni dalla sua entrata in vigore, allo specifico fine di identificare le tipologie degli oggetti dell'attività di impresa artigianale ed industriale ma ha dato l'occasione al legislatore di "correggere il tiro" su alcune parti della legge che necessitavano o di una riforma o di un intervento chiarificatore.

        Nel titolo IV relativo alle "norme procedurali ed applicative della legge 28 aprile 1999 n. 53", all'art. 9, terzo comma, si precisa che: " Il certificato di mai avvenuto fallimento è egualmente previsto dall'articolo 5, comma primo, della legge 13 settembre 1906, dal quale non devono risultare procedure concorsuali in corso, né l'iscrizione nel registro dei falliti secondo la legge nazionale dell'interessato".

        Il "dietrofront" del legislatore è chiaro: si ritorna alla situazione precedente alla Legge n. 53 /1999.

        I cittadini italiani che hanno ottenuto la riabilitazione civile a seguito di fallimento possono ricoprire cariche sociali nelle società sammarinesi, così come i cittadini o i residenti sammarinesi possono al termine della procedura fallimentare, riacquistare la piena capacità civile, e eventualmente ricoprire cariche sociali.              

            

4) Il superamento del sistema concessorio: limiti e condizioni.

                 

        Tratto caratterizzante della nuova disciplina, lo si è già anticipato, è il tentativo parziale di superamento del sistema concessorio, consistente in una "autorizzazione amministrativa non revocabile che si esprime in un nulla osta (preventivo) del Congresso di Stato" (art.12 L.n.68/1990), per la costituzione di qualsiasi tipo di società nella Rep. di San Marino.

        Si noti tuttavia, che l'autorizzazione governativa di cui i gruppi privati abbisognano per intraprendere attività commerciali, artigianali ed industriali in forma sociale, è stata introdotta nell'ordinamento sammarinese già prima della Legge n.68/1990, con l'art. 6 della Legge n.273/1950.

        Ancor prima, la precedente legge sulle società (21 dicembre 1942, n.45) assegnava al Consiglio dei XII, organo politico amministrativo e giurisdizionale, il controllo preventivo sull'attività economica dei privati intrapresa in forma sociale (per un ampia trattazione della precedente legge societaria, S. Caprioli, La legislazione societaria sammarinese, a cura dell'Istituto Giuridico Sammarinese, Maggioli Ed., Rimini 1990, passim).

        La radicata tradizione legislativa di una controllo preventivo sulle attività economiche associate dei privati, trae origine e giustificazione da condivisibili esigenze di salvaguardia ed equilibrio dell'assetto economico del piccolo Stato sammarinese.

        Risulta per alcuni aspetti plausibile, in uno Stato dalle dimensioni di circa 60 kq., che ogni nuova iniziativa economica organizzata in forma sociale, venga esaminata al fine di valutarne la compatibilità con l'economia e gli interessi economici generali del Paese (lascia invece perplessi la scelta, peraltro in parte superata con la nuova legge, di sottoporre al nullaosta il rilascio di licenze individuali).

        Alcune di queste ragioni, sono state ricordate nella stessa relazione al progetto di legge: nelle prime pagine si ricorda che "Tali limitazioni sono state rese necessarie per evitare che in un paese di limitate dimensioni territoriali, si venissero a creare delle situazioni distorsive dell'economia e soprattutto per evitare l'ingressso incontrollato di capitali e gruppi imprenditoriali stranieri che potrebbero stravolgere, con il controllo economico, la realtà economico-sociale del nostro paese".

        La considerazione relativa all'ingresso incontrollato di capitali e gruppi imprenditoriali stranieri è essenziale; il minor prelievo fiscale rispetto alla vicina Italia, a cui sono assoggettate le società di capitali (24% sugli utili, a fronte di una aliquota totale italiana del 41.25%  dual income tax esclusa , numeri che di per sè, senza un riferimento alla base imponibile , hanno una funzione puramente indicativa) rappresenta un forte stimolo per gruppi imprenditoriali stranieri.

        Del resto, se ciò rappresenta un'indubbia risorsa per l'economia sammarinese, tuttavia risulta necessario un controllo non solo sull'entità dei capitali in entrata ma soprattutto sulla loro provenienza, al fine di non accreditare l'immagine (errata) di San Marino come tax haven, ma altresì di un Paese che pur nell'ambito di un prelievo fiscale ridotto rispetto all'Italia, opera nel rispetto della legalità e della trasparenza

        E comunque le esposte ragioni, che giustificano il controllo preventivo del Congresso di Stato sulle attività economche associate, perdono gran parte del loro senso nei confronti dei cittadini o residenti sammarinesi, che "si accingono ad iniziare personalmente ed in proprio un attività economica organizzata in forma societaria" (Relazione cit.).

        Rispetto ad essi la preventiva autorizzazione amministrativa, rischiava di evidenziare solo il lato negativo legato alla discrezionalità dell'organo concessorio, e quindi il pericolo di favoritismi illegittimi nella concesssione del nullaosta (non si può non notare che il Congresso di Stato è organo amministrativo, formato dai membri della maggioranza politica al governo).

        La nuova legge ha intesi quindi "eliminare anche il più piccolo inconveniente legato alla discrezionalità dell'organo concessorio" (Rel. cit.)

        L'art. 7 della legge n.53/1999, sancisce che il " il nulla osta preventivo alla costituzione di società nella Repubblica di San Marino [...] non è necessario per i cittadini sammarinesi ed i residenti in Repubblica, che intendano organizzarsi in forma societaria per l'esercizio associato di un attività d'impresa, esclusivamente nel settore dell'industria e con la sola forma della società a responsabilità limitata  o della società per azioni".

        Il legislatore ha inteso quindi escudere le società anonome per azioni dalla suddetta agevolazione e se ne comprendono i motivi:

la forma dell'anonimato societario è di per sè incompatibile con le limitazioni soggettive ed i requisiti oggettivi che la legge impone.

        Tali limitazioni peraltro non si riducono a quelle precedentemente enunciate, ma riguardano:

- la sottoscrizione della maggioranza del capitale sociale (51%), che dovrà essere sottoscritta dai soci promotori;

- la qualità di amministratore e legale rappresentante della società, carica che dovrà essere assunta dal socio o dai soci promotori;

- l'oggetto sociale della società che dovrà essere prescelto tra le tipologie degli oggetti dell'attività di impresa industriale elencati nel Decreto Reggenziale n.70/1999;

- l'incompatibilità del ruolo di soci promotori sottoscrittori della maggioranza del capitale sociale, per i cittadini sammarinesi o residenti nel territorio della Repubblica che siano stabilmente occupati con un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nella P.A., enti autonomi dello Stato, Aziende Autonome di Stato  o che comunque svolgano attività di lavoro dipendente in forma stabile e con rapporto di lavoro a tempo determinato presso l'Istituto per la Sicurezza Sociale e l'Università;

- l'impossibilità per le persone giuridiche ancorchè sammarinesi di svolgere il ruolo di soci promotori;

- la detenzione della maggioranza del capitale sociale (51%), da parte dei soci promotori, durante il sodalizio sociale; il trasferimento della quota di maggioranza nei confronti di chi abbia gli stessi requisiti per la costituzione ex novo della società medesima (persone fisiche cittadine sammarinesi o residenti in territorio,ecc.) dovrà essere effettuato per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

        Se appariva certamente ragionevole porre un certo numero di limitazioni, riguardanti i tipi sociali e le qualità soggettive dei soci promotori, per ottenere la "procedura privilegiata" per la costituzione della società con oggetto industriale, l'impressionante sistema di limitazioni che il legislatore ha inteso porre (vi sono poi nella legge altre limitazioni di ordine burocratico a cui, per motivi di sintesi dell'articolo, non si è potuto neppur far cenno), stravolge la ratio stessa della legge, nata per deregolamentare il precedente sistema concessorio ed il conseguente rilascio di licenze a favore delle società richiedenti, finendo così per invertire e stravolgere i rapporti tra il nuovo ed il precedente sistema, che in effetti, a molto operatori del settore (avvocati, commercialisti, ecc.) appare più lineare e quindi più facilmente utilizzabile del nuovo.

        Più che rinvenirsi potenziali beneficiari dell'innovazione legislativa, la legge individua delle possibili vittime della degenerazione burocratica (i francesi, i quali pure potrebbero essere definiti i padri fondatori dei moderni apparati burocratici, definiscono con il suggestivo termine di paperasserie- regno delle scartoffie, delle carte inutili - tale fenomeno degenerativo).    

        Il legislatore ha completamente perso di vista una caratteristica essenziale della tecnica legislativa. la semplicità, quasi sempre la ricetta fondamentale per la buona riuscita di un provvedimento normativo.          

         L'errore appare ancor più grave se si ha presente, lo si ripete, gli obbiettivi stessi che il legislatore si era posto: ridurre i controlli e le limitazioni del sistema precedente.

         La sinteticità delle nuove regole legali diventa un fattore di razionalità e quindi di successo.

         Il congegno predisposto dalla legge n. 53 /1999 è eccessivamente macchinoso: i tecnici del settore lo stanno già guardando con diffidenza, gli operatori economici non tarderanno ad esprimere le medesime negative impressioni, stimolati in questo senso dalle indicazioni dei consulenti legali e commerciali.

          Il pericolo concreto purtroppo è che la riforma rimanga lettera morta: vi sono degli illustri precedenti proprio in materia societaria.

          Il legislatore del 1990, lo si è accennato, ha previsto la possibilità di costituire imprese unipersonali a responsabilità limitata (art. 9, L.n.55/1999), l'innovazione non poteva non apparire storica e di eccezionale portata.

          L'eccezionale beneficio della limitazione della responsabilità per l'imprenditore individuale, è stato perseguito attraverso il modello del patrimonio di destinazione: non si è voluto stravolgere la nozione di società come "contratto con il quale due o più persone  conferiscono beni o servizi per l'esercizio in comune di una attività economica al fine di dividerne gli utili" (art. 3 legge n.68/1990), così come è avvenuto con la riforma del 1985 in Francia,  che ha istituito la società unipersonale a responsabilità limitata.

        Ormai nel novellato Code Napoleon la società non è più necessariamente un contratto (paradossale il declino del contruattualismo nel Paese il cui modello codicistico, fondato appunto sul "contrat", ha esercitato una influenza decisiva sulla legislazione, particolarmente italiana, ma anche europea continentale).

        Ebbene, la grande opportunità offerta agli imprenditori individuali sammarinesi è rimasta solo sulla carta: dalla informazioni in possesso, non risulta sia stata costituita alcuna impresa unipersonale a responsabilità limitata.

        In quel caso tuttavia non siamo in possesso delle informazioni per comprendere che cosa non abbia funzionato, anche se sarebbe molto interessante effettuare una ricerca in tal senso, posto che peraltro il legislatore non aveva assoggettato a particolari limitazioni la possibilità per l'imprenditore individuale di ottenere il beneficio della responsabilità limitata (capitale sociale non inferiore a 50 milioni di lire, cittadinanza o residenza sammarinese dell'imprenditore e titolarità da almeno un anno di licenza commerciale, industriale o artigianale).

        Nel caso invece della "novella societaria" del 1999, si possono facilmente prefigurare i motivi di un suo eventuale insuccesso nella eccessiva congerie di condizioni e restrizioni che essa pone.

       

 

 

5) Conclusioni

 

 

      La condivisibile preoccupazione di evitare,come avvenuto in passato, la commercializzazione delle società fine a se stessa,

-per scongiurare tale pericolo, l'art. 20 della nuoova legge, ha previsto che il Congresso di Stato possa rilasciare il nulla osta preventivo alla costituzione di società anonime con azioni al portatore, solamente in presenza di un impegno occupazionale minimo di almeno 5 occupati -, se appare argomento da tener in seria considerazione in riferimento appunto alle società anonime, le più soggette a tali fenomeni degenerativi, perde gran parte della sua validità in riferimento alle S.R.L. ed alle S.P.A.

        Eccessivo appare, tra le altre disposizioni, l'obbligo per il socio promotore, sottoscrittore della quota di maggioranza, di assumere la carica di amministratore e legale rappresentante della società.

        Non si vede perché mai tali cariche debbano necessariamente essere poste in capo al socio sammarinese; una volta che si è garantità la titolarità della quota di maggioranza anche durante ll sodalizio sociale al socio sammarinese, l' obbiettivo che il legislatore si era prefissato, può dirsi raggiunto.

        L'ulteriore limitazione, riguardo la titolarità della carica di amministratore e legale rappresentante della società, appare eccessiva e non funzionale alle finalità della legge: perché mai tale carica, che nelle S.P.A., ma pure nelle S.R.L. di notevoli dimensioni, necessita di figure professionali particolarmente qualificate - a volte non reperibili in territorio -, non può essere assunta da un soggetto non residente, ferma la titolarità della maggioranza del capitale sociale in mani sammarinesi?   

         Difficilmente condivisibile anche la scelta di limitare al socio promotore sammarinese, la costituzione di società, nelle forme previste dal citato art. 7 legge n.53/1999, a non più di una " nel limite temporale di anni due a far data dal giorno in cui ha già svolto tale funzione".

        In altre parole, solo decorsi due anni, dalla cessazione della carica di amministratore unico e legale rappresentante di una società a resp. lim. o per azioni, a carattere industriale, il socio promotore sammarinese, potrà costituire un altra società nelle forme e con le procedure citate.              

         Viene da domandarsi, dopo quella lunga elencazione di presupposti soggettivi ed oggettivi, per ottenere la "procedura privilegiata" (che certo privilegiata non è), alla costituzione di società nel settore industriale, che fine abbia fatto, il riferimento effettuato in sede di relazione al progetto di legge, "al principio della libera iniziativa economica" come "uno dei principi cardine di tutte le moderne economie liberali".      

       Anche lo stesso richiamo all'art. 10 della "Carta dei Diritti", che certo si presta ad una doppia lettura, è rimasto una mera dichiarazione di intenti.

       Più che di alternative, al sistema introdotto dalla legge n.53/1990, sarebbe forse il caso più semplicemente di ridurre, sulla base delle considerazioni appena effettuate, l'apparato di limitazioni previsto dall'art. 7.

       In effetti l'idea di fondo del progetto di legge, appare meritoria, e le incongruenze riguardano non già i principi, bensì le effettive concretizzazioni. In questo senso, a snaturare l'impianto normativo ha concorso (ma solo in parte) l'iter legislativo, come purtroppo accade spesso. 

        Il legislatore potrà sicuramente in futuro tornare sull'argomento, "ritoccando" gli aspetti più controversi della nuova normativa, magari nell'ambito di una più generale riforma del diritto societario.

        L'economia si trasforma a ritmi impressionanti, internet e la new economy, ne rappresentano soltanto l'aspetto più appariscente.

        Il diritto ha tempi più lunghi, si muove con lentezza, e spesso non può far altro che prendere atto dei cambiamenti che avvengono nella struttura economica della società, senza possibilità di incidervi.

        La tanto decantata flessibilità, è una esigenza di cui anche le leggi commerciali, debbono tener conto. Lo sanno bene gli inglesi, che del mercato sono gli inventori, e che nonostante dispongano di norme estremamente duttili, sono in procinto di sfornare una riforma societaria con contenuti di deregulation ancora maggiori. 

        Ma anche in Francia, dove la tradizione è meno "marked oriented", è stata varata una riforma nel luglio 1999 che semplifica la discipilna delle società di capitali, ed ammoderna le regole per l'emissione di titoli da parte delle società per azioni.

        Senza guardare oltralpe o oddirittura al di là della Manica, basta ricordare il progetto di legge Mirone di riforma del diritto societario italiano, che ridisegnerà semplificandolo e snellendolo, il diritto d'impresa e di società.

        E' auspicabile che anche in San Marino, ci si muova per il futuro, nella medesima direzione.

 

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C) Altre fonti        

                          

- Relazione al progetto di legge in materia di "Disposizioni per l'esercizio in forma individuale di attività

  d'impresa,[...] e procedure per  la costituzione ed il successivo rilascio di licenze per l'esercizio in forma

  associata di attività d'impresa[...]", San Marino 8 febbraio 1999, Ufficio Presidenza Consiglio Grande e

  Generale,(protocollo n.0266, data:8.02.1999)

- Articoli tratti dal quotidiano economico-finanziario "Il Sole24ore".                         

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