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(da sinistra: Giuseppe CASSANO, Paolo CENDON, Patrizia ZIVIZ)
Grande successo di pubblico ha avuto
la giornata di studio sul DANNO ESISTENZIALE che lo scorso 23 maggio si è
tenuta a Roma presso la European School of Economics.
Solo 200, delle circa 600 persone che avevano fatto richiesta di
partecipazione, hanno avuto accesso alla Aula Magna per ascoltare la
lezione dei massimi esperti di danno esistenziale.
La lezione si inserisce all’interno
dei due corsi di alta formazione in <diritto di famiglia> e
<diritto della responsabilità civile> che Giuseppe Cassano dirige
nella European School of Economics di Roma.
Dopo i saluti di rito e la breve
introduzione del direttore dei corsi, ha preso la parola Paolo
Cendon. Cendon ha letteralmente incantato la platea che lo ha seguito
affascinata per più di un’ora, attraverso la storia del danno
esistenziale.
Con l’avvento del danno biologico,
ha sottolineato il noto giurista dell’università di Trieste, padre, con
Patrizia Ziviz, del danno esistenziale, si è determinato un balzo in
avanti, nel processo di personalizzazione della responsabilità
extracontrattuale: agli occhi del giurista si è rivelata la presenza di
vuoti sconosciuti, gli orizzonti del torto sono venuti man mano
allargandosi, si è creata una nuova sensibilità presso gli interpreti;
maldestri o fuorvianti sono apparsi i tentativi, nel seno stesso delle
motivazioni emergenti, o nei primi commenti dottrinari, di presentare
tecnicamente gli esiti in questione come nient’altro che fattispecie di
danno biologico (in senso ampio), o di prospettarli magari come esempi di
lesione del patrimonio (chissà come atteggiato), oppure di ricondurli al
ceppo del danno morale in senso stretto (dolori, tormenti, lacrime);
E’ venuta così affermandosi –
prosegue Cendon- una nuova
lettura del sistema della responsabilità civile, favorevole a ricondurre
quelle varie figure “senza casa” nell’alveo di una categoria
inedita, intitolata al “danno esistenziale”: da intendere, in
particolare, come tertium genus all’interno della responsabilità civile, quale
insieme ben distinto cioè sia dal tronco del danno patrimoniale, sia da
quello del danno morale; una realtà incentrata sul “fare non reddituale”
delle persone, affidata sotto il profilo disciplinare al governo
dell’art. 2043 c.c. e delle altre norme ordinarie sull’illecito, non
escluse, verosimilmente, quelle sull’inadempimento contrattuale; una
figura da prospettarsi, secondo l’inquadramento preferibile, come entità
ricomprensiva di due sotto-alvei fondamentali, quello del danno
“esistenziale biologico” (luogo cui ricondurre le ipotesi effettive di
aggressione alla salute) e quella del danno “esistenziale non
biologico” (sede per le menomazioni inerenti a beni diversi
dall’integrità psicofisica).
Sono state prospettate,
nell’affascinante relazione di Cendon, anche linee ulteriori di lettura,
sul verso della nuova indicazione: sottolineandosi come il richiamo a una
relazionalità interpersonale da sondare incessantemente – secondo
quanto accade in materia di torto, lungo i giochi di una patologia mai
scontata, destinata a riportare di continuo l’attenzione intorno al
“fare” (e al “non più fare”) degli esseri umani – finisca per
non restare circoscritta al settore d’origine, influendo
sull’approccio alle questioni pure in aree diverse dal danno e dalla
responsabilità.
Così anzitutto con riguardo alla
famiglia: dove accade che norme già concepite dal legislatore in chiave
partecipativo/solidaristica si vedano riconsegnate all’istituto-madre -
dopo passaggi più o meno tempestosi nel bagno dell’illecito aquiliano -
con il corredo di nuove scale di misura, sensibili al vissuto quotidiano e
spoglie da ogni velo tecnicistico.
Ecco così, in tema di rapporti
personali fra coniugi, nuove accezioni tratteggiate per i doveri di
contribuzione al ménage (da
inverare sui terreni della specificità domestica, della concertazione,
degli oneri di aggiornamento vicendevole), di collaborazione o di
convivenza (nel segno di una riarticolazione sempre meno burocratica, con
tagli più sinceri e femministici), di assistenza (un impegno da plasmarsi
e rinnovare, entro i limiti del possibile, sul timbro delle istanze grandi
e piccole del compagno di vita, quali in concreto si presentano), della
stessa fedeltà (con accentuazioni giocate su entrambi i poli, quello
esterno e quello interno alla coppia: un riscontro per gli incontri con
soggetti estranei al focolare, certamente, ma un vaglio non meno attento
per il lessico familiare - il riguardo per la qualità autentica
dell’ordito coniugale, ciò che moglie e marito scambiano e realizzano
fra loro, comunque sia, giorno per giorno).
Ecco
ancora, sul terreno dei rapporti coi figli, nuove modulazioni suggerite
per l’insieme degli impegni educativi, riscritti in chiave sempre più
realistica, ricomposti tutti intorno al segno della fertilità - sul metro
delle attività che vengono o non vengono incoraggiate dai genitori. Il
mondo altrui, quello infantile e adolescenziale, come punto di partenza di
ogni intervento; le vicende in giustizia come luoghi in cui viene a
decantarsi il dover fare, il dover essere in famiglia. Monitoraggio dei
bisogni nascenti, costruttività, accettazione del proprio ruolo di
adulti, atmosfere favorevoli alla confidenza, coraggio occasionale della
severità; e sempre più, finché è possibile, capacità di ascolto,
leggerezza di tocco e di commento, disponibilità, rispetto delle
inclinazioni minorili (non importa quanto esplicite o latenti),
coinvolgimento progressivo nelle scelte domestiche.
Terminava
così tra gli applausi del pubblico in sala la relazione di Cendon.
Dopo
un breve intervallo, la conferenza è ripresa con l’intervento
di Patrizia Ziviz. L’intervento si è svolto su linee logico –
giuridiche molto ferree, volte a sfatare i molti equivoci che si sono
creati nel corso del tempo verso il danno esistenziale. Si tratta, anzitutto, di osservare, ha esordito la Ziviz sulla
falsariga di quanto detto da Cendon poco prima,
come il cambiamento verificatosi all’interno dell’istituto
aquiliano rispecchi precise dinamiche di ordine sociale. Lo sviluppo
economico che nella società occidentale ha consentito, per una larga
fetta della popolazione, il distacco dai livelli sussistenziali di reddito
e la diminuzione dell’orario di lavoro, si riflette -a livello
sociologico- nella
diffusa tendenza ad una valorizzazione dell’individuo, il quale viene
visto come soggetto volto a perseguire un progetto di realizzazione
personale che trascende la mera produzione di reddito. Sempre più
nettamente viene prendendo corpo l’idea della persona come soggetto
desideroso di inverare un proprio progetto di vita avente carattere
globale: che non si esaurisce, perciò, nello svolgimento di un ruolo
esclusivamente economico. Occorre poi precisare – ha proseguito la
Ziviz- che attraverso la
creazione della figura del danno esistenziale non si viene ad ampliare il
novero degli interessi protetti in ambito aquiliano; ad essere incise non
risultano le mobili frontiere dell’ingiustizia del danno. Se rimane
invariato il ventaglio degli illeciti, a subire un ampliamento è
piuttosto il raggio di risarcibilità delle conseguenze dagli stessi
provocate; una volta, cioè, che sia accertata la violazione di una
situazione soggettiva giuridicamente rilevante, si tratta –dopo
l’introduzione del danno esistenziale- di interrogarsi non soltanto
intorno alle ripercussioni di carattere economico (ed, eventualmente,
morale) patite dalla vittima, ma anche sulle compromissioni che si
manifestano a livello di esplicazione della personalità del soggetto
colpito.
L’intervento
è poi proseguito con l’analisi del più recente formante
giurisprudenziale, con il dichiarato obiettivo di confutare il rilievo
mosso al danno esistenziale relativo all’impossibilità di seguire il
percorso disciplinare a suo tempo seguito per il danno biologico ai fini
dell’affrancamento di quest’ultimo dai limiti dell’art.2059, per
ricondurlo nell’alveo dell’art. 2043. L’opera di “svuotamento”
dell’art. 2059, avviata in relazione al danno biologico, non potrà in
nessun caso essere confinata esclusivamente a quest’ultimo, quale che
sia la ricostruzione teorica prescelta per giustificare quel risultato.
Nell’affrontare la rivisitazione del sistema bipolare –conclude
Patrizia Ziviz- attraverso cui appare organizzato il risarcimento, si dovrà
necessariamente tener conto di tale dato, così come delle recenti
evoluzioni legislative che –nell’incrementare l’inventario dei
“casi determinati dalla legge” di cui alla citata disposizione- hanno
fortemente ridimensionato quella funzione afflitiva tradizionalmente
attribuita a tale norma.
E’
poi intervenuto, in chiusura,
Giuseppe Cassano autore dell’unico
volume che riporti integralmente tutta la giurisprudenza del danno
esistenziale (G. Cassano, la giurisprudenza del danno esistenziale, CELT,
Piacenza, 2003), sottolineando
come i diversi approcci
metodologici al danno esistenziale hanno notevoli implicazioni sul piano
operativo, prima di tutto riguardo il regime della prova. Se infatti si
insiste sul danno esistenziale come danno evento, precisa Cassano, verrà
dato risalto alla lesione stessa del bene costituzionale, di modo che la
prova coincide con la prove del fatto lesivo, che porta con sé le dirette
conseguenze. Se invece si apprezza l’approccio consequenzialistico, si
guarderà alle effettive alterazioni sul piano della quotidianità causate
al danneggiato, che possono trovare la loro fonte sia nel fatto illecito
ma anche nel contratto, di tal modo che l’assetto dell’onore
probatorio sarà di diversa portata, come meglio si cercherà di
dimostrare. La lettura consequenzialistica di tale tipo di danno, poiché
non ne correla necessariamente la sua esistenza alla lesione di un diritto
costituzionalmente tutelato – che in quanto tale ne dovrebbe richiedere
immediato ristoro senza ulteriori complicazioni probatorie – ma incentra
la sua attenzione sull’alterazione della quotidianità del danneggiato
richiede, a ragione, una prova rigorosa a seconda della normalità o meno
delle conseguenze prospettate.
Quindi le due impostazioni tendono
nell’ambito del regime probatorio a limitare le possibili eventuali
obiezioni. Ad una limitata apertura del danno esistenziale – solo i
diritti costituzionalmente tutelati – corrisponde un agile regime
probatorio: se è stato violato un diritto costituzionale sarà in re ipsa il “conseguente” danno esistenziale.
Ad una possibile eccessiva apertura
del danno esistenziale – tutte le attività realizzatrice dell’uomo
ritenute meritevoli d’interesse - corrisponde un rigido sistema
probatorio: non solo verrà valutata, come già in precedenza sostenuto,
la meritevolezza delle attività svolte, ma il danneggiato dovrà
indicarne il “suo” regolare svolgimento, potendosi distinguere, come
meglio vedremo,
- attività che certamente verranno
lese dalla condotta lesiva,
- attività che probabilmente verranno
lese dalla condotta lesiva,
- attività che quasi sicuramente non
verranno lese dalla condotta lesiva.
L’onere probatorio sarà
inversamente proporzionato, conclude Cassano, sempre a patto che sia lesa
o limitata una attività realizzatrice della persona umana.
Giorgio Greco
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