inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2003

Resoconto della Giornata di studi a Roma su Il danno esistenziale con G. Cassano, P. Cendon, P. Ziviz

di Giorgio Greco

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(da sinistra: Giuseppe CASSANO, Paolo CENDON, Patrizia ZIVIZ)

Grande successo di pubblico ha avuto la giornata di studio sul DANNO ESISTENZIALE che lo scorso 23 maggio si è tenuta a Roma presso la European School of Economics.  Solo 200, delle circa 600 persone che avevano fatto richiesta di partecipazione, hanno avuto accesso alla Aula Magna per ascoltare la lezione dei massimi esperti di danno esistenziale.

La lezione si inserisce all’interno dei due corsi di alta formazione in <diritto di famiglia> e <diritto della responsabilità civile> che Giuseppe Cassano dirige nella European School of Economics di Roma.

Dopo i saluti di rito e la breve introduzione del direttore dei corsi, ha preso la parola Paolo Cendon. Cendon ha letteralmente incantato la platea che lo ha seguito affascinata per più di un’ora, attraverso la storia del danno esistenziale.

Con l’avvento del danno biologico, ha sottolineato il noto giurista dell’università di Trieste, padre, con Patrizia Ziviz, del danno esistenziale, si è determinato un balzo in avanti, nel processo di personalizzazione della responsabilità extracontrattuale: agli occhi del giurista si è rivelata la presenza di vuoti sconosciuti, gli orizzonti del torto sono venuti man mano allargandosi, si è creata una nuova sensibilità presso gli interpreti; maldestri o fuorvianti sono apparsi i tentativi, nel seno stesso delle motivazioni emergenti, o nei primi commenti dottrinari, di presentare tecnicamente gli esiti in questione come nient’altro che fattispecie di danno biologico (in senso ampio), o di prospettarli magari come esempi di lesione del patrimonio (chissà come atteggiato), oppure di ricondurli al ceppo del danno morale in senso stretto (dolori, tormenti, lacrime);

E’ venuta così affermandosi – prosegue Cendon-  una nuova lettura del sistema della responsabilità civile, favorevole a ricondurre quelle varie figure “senza casa” nell’alveo di una categoria inedita, intitolata al “danno esistenziale”: da intendere, in particolare, come tertium genus all’interno della responsabilità civile, quale insieme ben distinto cioè sia dal tronco del danno patrimoniale, sia da quello del danno morale; una realtà incentrata sul “fare non reddituale” delle persone, affidata sotto il profilo disciplinare al governo dell’art. 2043 c.c. e delle altre norme ordinarie sull’illecito, non escluse, verosimilmente, quelle sull’inadempimento contrattuale; una figura da prospettarsi, secondo l’inquadramento preferibile, come entità ricomprensiva di due sotto-alvei fondamentali, quello del danno “esistenziale biologico” (luogo cui ricondurre le ipotesi effettive di aggressione alla salute) e quella del danno “esistenziale non biologico” (sede per le menomazioni inerenti a beni diversi dall’integrità psicofisica).

Sono state prospettate, nell’affascinante relazione di Cendon, anche linee ulteriori di lettura, sul verso della nuova indicazione: sottolineandosi come il richiamo a una relazionalità interpersonale da sondare incessantemente – secondo quanto accade in materia di torto, lungo i giochi di una patologia mai scontata, destinata a riportare di continuo l’attenzione intorno al “fare” (e al “non più fare”) degli esseri umani – finisca per non restare circoscritta al settore d’origine, influendo sull’approccio alle questioni pure in aree diverse dal danno e dalla responsabilità.

Così anzitutto con riguardo alla famiglia: dove accade che norme già concepite dal legislatore in chiave partecipativo/solidaristica si vedano riconsegnate all’istituto-madre - dopo passaggi più o meno tempestosi nel bagno dell’illecito aquiliano - con il corredo di nuove scale di misura, sensibili al vissuto quotidiano e spoglie da ogni velo tecnicistico.

Ecco così, in tema di rapporti personali fra coniugi, nuove accezioni tratteggiate per i doveri di contribuzione al ménage (da inverare sui terreni della specificità domestica, della concertazione, degli oneri di aggiornamento vicendevole), di collaborazione o di convivenza (nel segno di una riarticolazione sempre meno burocratica, con tagli più sinceri e femministici), di assistenza (un impegno da plasmarsi e rinnovare, entro i limiti del possibile, sul timbro delle istanze grandi e piccole del compagno di vita, quali in concreto si presentano), della stessa fedeltà (con accentuazioni giocate su entrambi i poli, quello esterno e quello interno alla coppia: un riscontro per gli incontri con soggetti estranei al focolare, certamente, ma un vaglio non meno attento per il lessico familiare - il riguardo per la qualità autentica dell’ordito coniugale, ciò che moglie e marito scambiano e realizzano fra loro, comunque sia, giorno per giorno).

Ecco ancora, sul terreno dei rapporti coi figli, nuove modulazioni suggerite per l’insieme degli impegni educativi, riscritti in chiave sempre più realistica, ricomposti tutti intorno al segno della fertilità - sul metro delle attività che vengono o non vengono incoraggiate dai genitori. Il mondo altrui, quello infantile e adolescenziale, come punto di partenza di ogni intervento; le vicende in giustizia come luoghi in cui viene a decantarsi il dover fare, il dover essere in famiglia. Monitoraggio dei bisogni nascenti, costruttività, accettazione del proprio ruolo di adulti, atmosfere favorevoli alla confidenza, coraggio occasionale della severità; e sempre più, finché è possibile, capacità di ascolto, leggerezza di tocco e di commento, disponibilità, rispetto delle inclinazioni minorili (non importa quanto esplicite o latenti), coinvolgimento progressivo nelle scelte domestiche.

Terminava così tra gli applausi del pubblico in sala la relazione di Cendon.

Dopo un breve intervallo, la conferenza è ripresa con l’intervento di Patrizia Ziviz. L’intervento si è svolto su linee logico – giuridiche molto ferree, volte a sfatare i molti equivoci che si sono creati nel corso del tempo verso il danno esistenziale. Si tratta, anzitutto, di osservare, ha esordito la Ziviz sulla falsariga di quanto detto da Cendon poco prima,  come il cambiamento verificatosi all’interno dell’istituto aquiliano rispecchi precise dinamiche di ordine sociale. Lo sviluppo economico che nella società occidentale ha consentito, per una larga fetta della popolazione, il distacco dai livelli sussistenziali di reddito e la diminuzione dell’orario di lavoro, si riflette -a livello sociologico-   nella diffusa tendenza ad una valorizzazione dell’individuo, il quale viene visto come soggetto volto a perseguire un progetto di realizzazione personale che trascende la mera produzione di reddito. Sempre più nettamente viene prendendo corpo l’idea della persona come soggetto desideroso di inverare un proprio progetto di vita avente carattere globale: che non si esaurisce, perciò, nello svolgimento di un ruolo esclusivamente economico. Occorre poi precisare – ha proseguito la Ziviz-  che attraverso la creazione della figura del danno esistenziale non si viene ad ampliare il novero degli interessi protetti in ambito aquiliano; ad essere incise non risultano le mobili frontiere dell’ingiustizia del danno. Se rimane invariato il ventaglio degli illeciti, a subire un ampliamento è piuttosto il raggio di risarcibilità delle conseguenze dagli stessi provocate; una volta, cioè, che sia accertata la violazione di una situazione soggettiva giuridicamente rilevante, si tratta –dopo l’introduzione del danno esistenziale- di interrogarsi non soltanto intorno alle ripercussioni di carattere economico (ed, eventualmente, morale) patite dalla vittima, ma anche sulle compromissioni che si manifestano a livello di esplicazione della personalità del soggetto colpito.

L’intervento è poi proseguito con l’analisi del più recente formante giurisprudenziale, con il dichiarato obiettivo di confutare il rilievo mosso al danno esistenziale relativo all’impossibilità di seguire il percorso disciplinare a suo tempo seguito per il danno biologico ai fini dell’affrancamento di quest’ultimo dai limiti dell’art.2059, per ricondurlo nell’alveo dell’art. 2043. L’opera di “svuotamento” dell’art. 2059, avviata in relazione al danno biologico, non potrà in nessun caso essere confinata esclusivamente a quest’ultimo, quale che sia la ricostruzione teorica prescelta per giustificare quel risultato. Nell’affrontare la rivisitazione del sistema bipolare –conclude Patrizia Ziviz- attraverso cui appare organizzato il risarcimento, si dovrà necessariamente tener conto di tale dato, così come delle recenti evoluzioni legislative che –nell’incrementare l’inventario dei “casi determinati dalla legge” di cui alla citata disposizione- hanno fortemente ridimensionato quella funzione afflitiva tradizionalmente attribuita a tale norma.

E’ poi intervenuto, in chiusura, Giuseppe Cassano autore  dell’unico volume che riporti integralmente tutta la giurisprudenza del danno esistenziale (G. Cassano, la giurisprudenza del danno esistenziale, CELT, Piacenza, 2003),   sottolineando come i  diversi approcci metodologici al danno esistenziale hanno notevoli implicazioni sul piano operativo, prima di tutto riguardo il regime della prova. Se infatti si insiste sul danno esistenziale come danno evento, precisa Cassano, verrà dato risalto alla lesione stessa del bene costituzionale, di modo che la prova coincide con la prove del fatto lesivo, che porta con sé le dirette conseguenze. Se invece si apprezza l’approccio consequenzialistico, si guarderà alle effettive alterazioni sul piano della quotidianità causate al danneggiato, che possono trovare la loro fonte sia nel fatto illecito ma anche nel contratto, di tal modo che l’assetto dell’onore probatorio sarà di diversa portata, come meglio si cercherà di dimostrare. La lettura consequenzialistica di tale tipo di danno, poiché non ne correla necessariamente la sua esistenza alla lesione di un diritto costituzionalmente tutelato – che in quanto tale ne dovrebbe richiedere immediato ristoro senza ulteriori complicazioni probatorie – ma incentra la sua attenzione sull’alterazione della quotidianità del danneggiato richiede, a ragione, una prova rigorosa a seconda della normalità o meno delle conseguenze prospettate.

Quindi le due impostazioni tendono nell’ambito del regime probatorio a limitare le possibili eventuali obiezioni. Ad una limitata apertura del danno esistenziale – solo i diritti costituzionalmente tutelati – corrisponde un agile regime probatorio: se è stato violato un diritto costituzionale sarà in re ipsa il “conseguente” danno esistenziale.

Ad una possibile eccessiva apertura del danno esistenziale – tutte le attività realizzatrice dell’uomo ritenute meritevoli d’interesse - corrisponde un rigido sistema probatorio: non solo verrà valutata, come già in precedenza sostenuto, la meritevolezza delle attività svolte, ma il danneggiato dovrà indicarne il “suo” regolare svolgimento, potendosi distinguere, come meglio vedremo,

- attività che certamente verranno lese dalla condotta lesiva,

- attività che probabilmente verranno lese dalla condotta lesiva,

- attività che quasi sicuramente non verranno lese dalla condotta lesiva.

L’onere probatorio sarà inversamente proporzionato, conclude Cassano, sempre a patto che sia lesa o limitata una attività realizzatrice della persona umana.

Giorgio Greco