inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2001

Giuseppe Cassano

 

Cenni per la sopravvivenza sul danno esistenziale.

 

Il termine danno nell’ambito della responsabilità aquiliana rappresenta da una parte un elemento costitutivo della fattispecie di illecito civile ai sensi dell’art. 2043 c.c. (lesione di un interesse), dall’altro integra l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria e dunque si connota quale sanzione, quale effetto dell’illecito, corrispondente all’ammanco di utilità subito dal soggetto passivo. Si parla così di giuridicizzazione del danno in relazione al fatto che l’attribuzione della connotazione di ingiustizia e quindi la sussistenza di una lesione della sfera giuridica altrui rende il pregiudizio empirico giuridicamente rilevante ai fini del giudizio di responsabilità e nel contempo ne consente la traslazione in oggetto dell’obbligazione risarcitoria. L’ingiustizia si colloca tra l’evento naturalistico ed il pregiudizio economico caratterizzando il primo nel senso di una lesione di posizione giuridica soggettiva (sia essa un diritto assoluto, relativo o interesse legittimo o comunque meritevole di protezione) e rendendo il secondo ristorabile alla stregua dell’ordinamento civilistico. In sostanza il danno risarcibile non si identifica in qualunque lesione materiale e naturalistica patita dalla vittima, ma dipende dalle scelte di valore operate dall’ordinamento giuridico nella selezione degli interessi protetti e delle conseguenze pregiudizievoli economicamente rilevanti[1].

Il punto focale è che, secondo una ormai datata impostazione, occorre comunque una diminuzione patrimoniale cui parametrare l’entità dell’obbligazione risarcitoria. In altre parole, pur se aumentano le situazioni giuridiche tutelate, rimane, salvo limitate eccezioni, la verifica delle conseguenze negative della lesione, diluendosi il concetto di patrimonio per farvi rientrare la somma delle capacità di una persona e quindi giustificare in termini patrimoniali la lesione di beni e valori non proprio patrimoniali.

Tale apertura, che rinviene la sua matrice più lontana nella c.d. Differenztheorie, apporta nuova linfa ad una visione tradizionale e statica del patrimonio e dei beni tutelati, richiedendo l’esistenza di un pregiudizio economico causalmente conseguente all’evento naturalistico, dovendosi  la nozione di patrimonio ampliarsi per tutelare i valori della persona, includendovi ogni valore e utilità economica di cui il danneggiato può disporre.

Il presupposto di tale tesi è quello di limitare l'ampiezza dell'area dei danni non patrimoniali in senso stretto, rientranti nella disciplina dell'articolo 2059 c.c. (di fatto ritenuto disciplinare il solo danno derivante dalle sofferenze fisiche o morali, ovvero il pretium doloris), venendo per contro estendendosi, secondo un percorso che ha una significativa premessa nella sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte Costituzionale [2] in tema di danno biologico, l'ambito della tutela dei diritti della personalità, in articolata e compiuta individuazione (in primis salute, dignità, riservatezza, identità personale, reputazione, immagine, autodeterminazione sessuale), cui è riconosciuta valutabilità economica ed ordinaria azione ex articolo 2043 c.c..

Tale impostazione avrebbe un suo fondamento se si accedesse ad una concezione di danno non patrimoniale, quale enunciata dall’art. 2059 c.c., in cui vadano compresi soltanto i danni morali subiettivi, quei danni arrecanti un dolore morale alla vittima ed in nessun modo riguardanti il patrimonio, escludendosi così a priori la distinzione fra danno morale e danno non patrimoniale.

Se, diversamente, si supera l’equazione danno non patrimoniale - danno morale, sottolineandosi la maggiore latitudine da attribuire al primo, si può propendere per una configurazione di danno che sia comprensiva di qualsiasi conseguenza pregiudizievole di un  illecito che, non prestandosi ad una valutazione monetaria basata su criteri di mercato, non possa essere oggetto di risarcimento, bensì di riparazione[3] : si tratta di trovare degna collocazione a quella tipologia di danni che non sono riconducibili a rigore a suddette categorie.

Particolarmente utile, allora, deve qualificarsi la categoria del danno esistenziale, quale strumento di tutela della persona sia fisica che giuridica che tiene conto dei limiti delle tecniche tradizionali di tutela.

In questo senso, inoltre, deve ricordarti che di un’ulteriore posta risarcitoria, quale quella del danno alla salute, in relazione alle persone giuridiche non può nemmeno tenersene conto, data l’incompatibilità prima logica che giuridica. Se si esclude, come è giusto che sia, infatti, la risarcibilità del danno alla salute all’ente immateriale, è opportuno tenere in considerazione un altro dato che proviene dall’analisi del sistema codicistico, rappresentato dal fatto che l’azionabilità del rimedio risarcitorio trova un gravissimo limite normativo quando l'interesse da risarcire sia non patrimoniale, poiché all'art. 2059 c.c. si richiede che, come visto, la possibilità di ricorrere alla tutela risarcitoria risulti da una apposita previsione di legge. Di fatto, in questo modo ai fini della tutela civile dell’interesse non patrimoniale è necessario che il comportamento lesivo abbia integrato gli estremi di un illecito penale, poiché la norma di legge richiesta dall’art. 2059 c.c. idonea a fondare specificamente la pretesa risarcitoria, viene solitamente ravvisata nell'art. 185 c.p.. Se si tiene conto del fatto che interessi non patrimoniali sono essenzialmente quelli attinenti alla persona, emerge allora con chiarezza che questa sorta di doppio binario del sistema risarcitorio si traduce in una grave limitazione alla tutela civilistica - attuata sia pure attraverso l'inadeguato strumento risarcitorio - dei diritti fondamentali della persona sia fisica che giuridica.

Si potrebbe, però, dubitare dell’utilità della categoria del danno esistenziale soprattutto nei casi in cui si rinviene la violazione del diritto alla salute e/o l’esistenza di una fattispecie di reato, dalla quale deriverebbe il danno morale, ritenendo che non ci sia la ragione pratica della nuova categoria.

Un tale dubbio, in relazione al danno esistenziale, è infondato, come meglio si cercherà di domostrare. Non solo deve essere ricordato che il divieto di analogia in materia penale, potrebbe limitare il risarcimento dello stesso danno morale nei casi in cui sia rinvenibile un illecito civile e non penale incidente su valori della persona, quanto che le conseguenze dell’atto illecito vanno apprezzate indipendentemente da una loro, pur possibile, ripercussione sul patrimonio di chi le subisce, rilevando tali riflessi negativi di per sé, nella misura in cui costituiscono conseguenza della lesione di un interesse giuridicamente rilevante, il che avviene certamente ogni volta che è leso un diritto della personalità [4].

Il punto focale è proprio questo: il danno esistenziale non ha nulla a che vedere con le lacrime, le sofferenze, i dolori, i patemi d’animo. Il danno morale è essenzialmente un sentire, il danno esistenziale è piuttosto un non fare, cioè un non poter più fare, un dover agire altrimenti, un relazionarsi diversamente. Quindi, la diversità, appare evidente, del danno morale dal danno esistenziale che, anzi, sembra poter essere teleologicamente inteso come la giusta reazione ai profondi cambiamenti subiti, al di fuori dei danni patrimoniali. 

Il danno non patrimoniale consiste nella lesione di un bene inidoneo a costituire oggetto di scambio e di quantificazione pecuniaria secondo le leggi di mercato ma che costituisce, pur sempre, un interesse direttamente protetto dall’ordinamento ed in quanto tale può affermarsi la sua natura di interesse rivestito di valore economico, alla stregua degli altri interessi immateriali tutelati.

Le conseguenze sono da considerarsi nella loro valenza economica anche se l’interesse leso, costituente il danno-evento, è di natura immateriale e non patrimoniale, spostandosi il baricentro della tutela risarcitoria dal contenuto del danno a quello della ingiustizia della lesione, con ciò ponendo nell’ombra i profili patrimoniali della lesione stessa, che pure esistono.

Differentemente nel danno morale i profili patrimoniali non sussistono se non limitatamente all’esborso patrimoniale, discostandosi la sua funzione dal carattere risarcitorio (danno patrimoniale), ripristinatorio (danno esistenziale), per assurgere ad un carattere latamente affittivo. [5]Il danno esistenziale “si allontana” così sia dal risarcimento del danno in senso classico che dalla riparazione della sofferenza, per valorizzare i costi del ripristino. Certo questi hanno valenza economica e si inseriscono nel danno-conseguenza, ma sono tutt’uno con l’evento lesione, quale anello precedente della catena causale, cui seguono le attività realizzatrici che risultano compromesse. 

Certo l’approccio che focalizza l’attenzione sul danno-evento garantisce una condanna risarcitoria per il semplice fatto che un interesse giuridicamente rilevante sia stato leso, comportando, quindi, per l’attore, in sede probatoria, una notevole semplificazione, ma nello stesso tempo non vengono scongiurati i rischi di appiattimento che sono insiti nel fatto stesso di una gabbia immaginata a priori; [6].

Se la categoria del danno-evento sembra essere consona al danno biologico che punta alla riparazione della violazione in sé della salute, sembrerebbe che debba valutarsi anche un approccio consequenzialisitico in relazione al danno esistenziale, per poi meglio valutarsi l’incidenza anche sulle altre attività realizzatrici della persona.

Certo il bagaglio tecnico a disposizione dell’interprete non aiuta, ma sembra che l’orizzonte in relazione al danno esistenziale inizi a schiarirsi. Nel caso del danno biologico vi è un evento corrispondente alla lesione del bene salute; nel caso del danno esistenziale ci si trova di fronte all’aggressione di posizioni meritevoli di tutela che, preferibilmente, devono trovare fondamento costituzionale o la cui meritevolezza debba essere apprezzata alla luce della Costituzione.

Il nodo da sciogliere, allora, sembra quello della esatta collocazione del danno esistenziale, se fra il danno-evento o fra il danno-conseguenza. Pur a fronte della ancora non chiara distinzione fra i due, possiamo affermare, se partiamo dal presupposto che la lesione del bene è strettamente concatenata con le attività realizzatrici, che la lesione in sé del bene-valore comporterà l’attrazione del danno nel danno-evento, l’incidenza sulle attività realizzatrici nel danno-conseguenza. Questa prospettiva rinverrebbe la sua esattezza anche sul piano probatorio allorquando la lesione in sé del bene-valore non richiederebbe all’attore la prova dell’incidenza negativa (se non la rilevanza del bene) con la difficoltà della prova (del quantum ?) di tale lesione; differentemente questi dovrà provare l’incidenza di tale lesione sulle proprie attività realizzatrici (a- reddittuali, diversamente ci troveremmo di fronte al classico danno patrimoniale).

Il danno esistenziale, proprio perché sussiste a prescindere da lesioni concrete, ha consistenza al di là di una incidenza del fatto-evento su una prospettiva reddituale (a differenza del danno patrimoniale) ed, infine, sussiste anche in assenza di comportamenti penalmente rilevanti, non potendo essere ricondotto, neanche secondo una configurazione da genus a species, ad alcuna delle figure menzionate. Pertanto non pare condivisibile l’impostazione che ne fa un genus al quale ricondurre il danno biologico ed il danno psichico, quali distinte species.

Più ammissibile appare la costruzione che, al contrario, considera il danno biologico una delle possibili sfaccettature (insieme al danno estetico, alla vita di relazione, al danno psichico e via dicendo) del danno esistenziale, assurto a categoria generale ed onnicomprensiva di danno alla persona: non bisogna, tuttavia, dimenticare che, a differenza del danno biologico – il quale identificandosi nella concreta lesione suscettibile di accertamento medico-legale, deve essere provato unicamente con riferimento all’entità, ai fini risarcitori – il danno esistenziale, pur qualificato «lesione in sé», deve essere specificamente provato nei suoi stessi presupposti; può sussistere, come si è cercato di chiarire, anche in mancanza di una lesione, e presentarsi, anzi, come esclusiva ed unica conseguenza del fatto che si assume lesivo. Non solo ma in termini di politica del diritto sembra auspicabile che i rapporti fra danno biologico e danno esistenziale nell’ambito della categoria dogmatica del danno alla persona vadano meglio ristemati solo con una chiara presa di coscienza del danno esistenziale, pena la messa in discussione delle ormai più che ventennali certezze in tema di danno biologico.[7]


[1] Così Pizzoferrato, Il danno alla persona: linee evolutive e tecniche di tutela, in Contr. e impresa, 1999, 1047.

[2] Corte cost. 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053, con nota di Ponzanelli, La Corte costituzionale, il danno non patrimoniale e il danno alla salute.

[3] Per tutte Cass. civ., 10 luglio 1991, n. 7624, in Resp. civ. e prev., 1992, 89.

[4] Cfr. Cricenti, Il danno non patrimoniale, Padova, 1999, 337

[5] Fondamentale lo studio di Scognamiglio, Il danno morale (contributo alla teoria del danno extracontrattuale), in Riv. dir. civ., 1957, I, 327, che ritiene la non applicabilità dell’art. 2059 c.c. alle persone giuridiche, affermando “deve, in definitiva, convenirsi che soltanto alle persone fisiche spetti il risarcimento per i danni morali subiti”. La relazione ministeriale al codice civile n. 803 sottolinea come nell’ipotesi di reato, per la più forte offesa all’ordinamento giuridico, è avvertito il bisogno di un energica repressione anche con carattere preventivo. Sottolinea questo aspetto Bonilini, Il danno non patrimoniale, Milano, 1983. Viene sottolineata anche una componente satisfattiva oltre che afflittiva da Salvi, Il danno extracontrattuale: modelli e funzioni, Napoli, 1985, 146; Franzoni, Il danno alla persona, Milano, 1995, 662; Petrelli, Il danno non patrimoniale, Padova, 1997, 126. 

[6] Auspica l’approccio consequenzialistico Cendon, Esistere o non esistere, in Le nuove voci del diritto, http://www.lenuovevocideldiritto.com Sull’idea di danno come lesione dell’interesse, già Carnelutti, Il danno e il reato, Cedam, 1926, 17 e, per la dottrina tedesca, Neuner, Interesse und Vermögenschadens, in AcP n. 133, 1931, 290.

[7] Di recente, sul danno esistenziale, si è registrato l’intervento della Cass. civ., sez. I, 7 giugno 2000, n. 7713,  in Danno e resp., 2000, 835 con note di Monateri, «Alle soglie»: la prima vittoria in Cassazione del danno esistenziale, e di Ponzanelli, Attenzione: non è danno esistenziale, ma vera e propria pena privata; in  Giust. Civ., 2000, I, 2219, con nota di Giacalone, Sul  risarcimento  del danno per ostinato rifiuto, da parte  del  genitore,  di  contribuire  al  mantenimento  del  figlio naturale; in Giur. It., 2000, 1352, con nota di Pizzetti, Il danno esistenziale approda in Cassazione; in Foro it., 2001, I, 187, con nota di D’Adda, Il cosiddetto danno esistenziale e la prova del pregiudizio.

Deve altresì  certamente segnalarsi Trib. pen. Locri, sez. dist. di Siderno, 6 ottobre 2000, n. 462 in Danno e resp.,  2001, 392, con nota di Bilotta, Il danno esistenziale: l’isola che non c’era; in Fam. e diritto,  2001, in corso di pubblicazione, con nota di Cassano, Danno esistenziale, e così sia!, in Giur. it., 2001,   in corso di pubblicazione, con nota di Bona, Mancata diagnosi di malformazioni fetali: responsabilità del medico ecografista e risarcimento del danno esistenziale da «wrongful birth», non solo per il fatto di costituire un’altra conferma da parte della giurisprudenza, ma anche per le considerazioni in essa svolte circa i contenuti di siffatta categoria: infatti, a parte la novità che è un giudice penale ad accogliere la tesi della risarcibilità di questa voce di danno, si deve segnalare come il giudicante entri nel merito di una questione nevralgica, ovverosia i sottili confini che intercorrono tra il danno esistenziale ed i c.d. «profili dinamici» del danno biologico