I
Maori della Nuova Zelanda: la colonizzazione europea
di
Barbara Faedda
In
appendice: "Maori Tattoing Tradition" di Diana Stanzani
----------------
a)
L'arrivo ad Aotearoa e
l'organizzazione sociale
I
Maori sono una popolazione polinesiana giunta in Nuova Zelanda intorno al 900
d.C., prima di Tasman e di Cook: la leggenda narra che il navigatore Kupe vi
approdò, infatti, dopo una lunga traversata a vela dall'isola di Hawaiki in
Polynesia. Poiché nel momento dell'approdo una gigantesca nube bianca
avvolgeva l'intero paese, Kupe chiamò quella terra Aotearoa
- la terra della grande nube bianca - che ancora oggi è il nome maori della
Nuova Zelanda. Secoli più tardi, quando la carestia colpì l'isola di Hawaiki,
molti altri Maori intrapresero la rotta insegnata da Kupe e si stabilirono
permanentemente sull'isola.
L'attività
bellica e la relativa organizzazione militare hanno contraddistinto in un
certo senso la storia e la cultura maori; grazie ad esse tale popolazione
riuscì a conquistare gran parte dell'arcipelago e a costruire veri e propri
villaggi fortificati[1].
La
società maori tradizionale, ad economia di pesca-caccia-raccolta, seguiva uno
schema rigidamente gerarchico ed era suddivisa in ampie famiglie, le whanau,
facenti capo ad unità sociali chiamate hapu
(clan), guidate dal kaumatua,
capo anziano appartenente alle famiglie nobili, le rangatira.
Le
hapu erano anche il gruppo di
proprietà fondiaria primario e l'unico entro il quale il matrimonio era
consigliato ed auspicato; esse rappresentavano l'unità territoriale cognatica[2]:
un individuo poteva appartenere a tutte le hapu
dei suoi antenati, ma aveva la possibilità di risiedere solo in una per
volta, cosa che comunque non gli faceva perdere i diritti verso le altre hapu[3].
Il
matrimonio non esisteva ed aveva piena legittimità la famiglia di fatto. La
vita comunitaria si esprimeva intorno alle marae,
costituite dalla casa del capo, la sala per le riunioni (meeting house) e la
piazza centrale. La marae è ancora
oggi un luogo giuridico-politico di notevole importanza: all'interno di essa
si esplicano, infatti, le attività comunitarie più importanti quali le
celebrazioni per le nascite, i matrimoni, le morti, i riti d'iniziazione, i
culti, la discussione dei problemi del gruppo sociale, le assemblee dei capi[4].
Le marae fondamentalmente "incarnavano la legittimità dei diritti
fondiari esercitati dai gruppi sociali[5]".
b)
La colonizzazione etnogiuridica e il Trattato di Waitangi
Nel
1642, quando l'olandese Abel Tasman tentò il suo primo approdo sulle
"nuove" coste, gli europei si accorsero per la prima volta
dell'incredibile forza bellica maori: lo scontro con gli autoctoni fu
micidiale a tal punto che lo stesso Tasman chiamò, da quel momento, il luogo Murderer's
Bay. Egli battezzò l'isola Nieuw
Zeeland dal nome di una regione dei Paesi Bassi[6].
La
colonizzazione europea vera e propria cominciò alla fine del XVIII secolo e,
in realtà, fu possibile inizialmente solo grazie all'utilizzo delle armi da
fuoco da parte degli Europei, poiché nel combattimento corpo a corpo, come già
accennato, i Maori erano concretamente insuperabili.
Nel
1769 fu James Cook ad avvistare l'isola del nord della Nuova Zelanda: fu
proprio in questo primo viaggio che il capitano rivendicò subito il
possedimento alla corona britannica, la quale però al momento non si dimostrò
particolarmente interessata a causa della scarsità di risorse rilevate.
Fu
solo nel 1830 che gli inglesi si dichiarano realmente intenzionati alla
colonizzazione, per evitare che l'isola fosse occupata dalle flotte francesi:
sette anni dopo, William Hobson giunse con l'intento di sottomettere i Maori
alla legge inglese e vi riuscì contribuendo alla stipula del Trattato di
Waitangi.
La
politica coloniale inglese in Nuova Zelanda fu per così dire d'elite: la
corona non inviò lì galeotti o individui disperati, bensì una notevole
comunità borghese che intendeva investire in fattorie e sfruttare al meglio
tutte le possibilità di quelle terre.
Nel
1860 fu scoperto l'oro a South Island e così, agli stanziali di vecchia data,
si unirono avventurieri in cerca dei bagliori del nobile metallo: la corsa
all'oro attirò scozzesi, irlandesi, svedesi e tedeschi. Ma il vero business
lo fecero i commercianti che costruirono imbarcazioni refrigerate al fine di
portare in Gran Bretagna le ottime carni neozelandesi.
La
Nuova Zelanda rimase un dominio britannico fino al 1931, anno in cui fu
emanato lo Statuto di Westminster
che garantì l'indipendenza dalla Gran Bretagna; il Parlamento in ogni modo
ratificò tale statuto solo sedici anni dopo.
Il
6 febbraio 1840 il Trattato di Waitangi,
come abbiamo visto, segnò la fine della sovranità dei Maori e la loro resa
alla Regina d'Inghilterra. Tale documento, in effetti, aprì la strada alla
totale colonizzazione etno-giuridica e culturale della popolazione autoctona.
Esso si dispiegava attraverso tre principi fondamentali:
1)
i capi maori riconoscevano la sovranità inglese;
2)
i Maori avrebbero goduto degli stessi diritti dei cittadini britannici;
3)
si garantiva il totale possesso terriero ai Maori (regolarmente
disatteso), ma con diritto di prelazione, in caso di vendita, per la corona
inglese; per i Maori non era invece previsto alcun diritto di prelazione;
Dopo
che gli inglesi assunsero il controllo formale della Nuova Zelanda, i gruppi
Maori iniziarono a preoccuparsi seriamente poiché si resero conto che il
Trattato non era effettivamente un accordo paritario tra le parti. Dal 1845 al
1847 alcuni capotribù guidarono azioni di ribellione finché le forze
coloniali, sotto il comando del governatore Sir George Grey, misero fine alle
rivolte; s'instaurò così un periodo di pace forzata che durò fino al 1860.
Nel
1852 i Maori di sesso maschile conquistarono il diritto di voto, limitato però
solo ai proprietari terrieri: ovviamente tale clausola rendeva particolarmente
esiguo il numero dei votanti maori. Nel 1867 essi ottennero invece la
rappresentanza parlamentare.
Negli
anni successivi uno dei leader più attivi e significativi fu Sir Apirana
Turupa Ngata (1874 - 1950). Egli fu il primo Maori laureato presso una delle
università neozelandesi ed esercitò la professione legale, prima di
diventare un attivista del partito nazionalista Young
Maori: nel 1905, all'età di trentuno anni, iniziò il suo lavoro
parlamentare rappresentando il corpo elettorale dei Maori dell'est. Nel 1931
inaugurò il suo piano di sviluppo terriero maori che contribuì a migliorare
la qualità dell'agricoltura e fece ampliare la proprietà terriera maori,
grazie sempre soprattutto all'incentivo alla coltivazione.
Accanto
a Ngata vi fu un altro leader maori che contribuì al miglioramento delle
condizioni degli autoctoni: Te Puea Herangi (1884 - 1952). Probabilmente prima
donna influente nella storia della Nuova Zelanda, Te Puea condusse una
campagna contro l'arruolamento dei Maori nella prima guerra mondiale e
soprattutto guidò la sua gente nel recupero culturale delle proprie
tradizioni.
c)
Il Trattato e le guerre maori
La
questione delicata era, dopo la firma del Trattato, il riconoscimento
ufficiale dei propri capi indigeni: nel 1857 alcune tribù dell'area di
Waikato elessero come re Te Wherowhero che regnò con il nome di Potatau I.
Insieme
all'elezione del re, le tribù istituirono un Consiglio di Stato, un sistema
giudiziario ed un organismo di polizia, organismi che miravano ad
istituzionalizzare le proposte maori di conservare la proprietà delle terre e
di fermare le battaglie intertribali. Non tutti i Maori accettarono l'autorità
del re, ma la maggioranza condivise con il King
Movement la decisione di non vendere le terre.
Fino
al 1860 i Maori ancora possedevano la maggior parte dell'isola del nord, ma un
notevole incremento del numero d'immigrati in quegli anni spinse il governo a
forzare la vendita ai coloni delle terre maori. Molti Maori rimasero
fermamente contrari alla vendita.
Nel
1859 Te Teira, un maori dell'area di Taranaki, vendette la sua terra senza il
consenso della propria tribù d'appartenenza al governo coloniale, causando
così due Guerre Taranaki, una del
1860-61 e l'altra del 1863. Sempre nel 1863 ebbe inizio la Guerra
Waikato: dopo tre guerre e un enorme dispendio di energie e denaro, il
governo britannico era intenzionato a concludere la pace nel 1864 ma, al
contrario, il governo coloniale neozelandese, desiderando acquisire maggior
terra, volle continuare la guerra e si assunse la responsabilità maggiore,
soprattutto economica, degli scontri.
Tutti
i combattimenti si conclusero solo nel 1872: da allora grandi appezzamenti di
terreno furono confiscati ai Maori e conseguentemente la società indigena
iniziò un processo lungo ed inevitabile di disgregazione. L'unico territorio
rimasto sotto il controllo maori era il King
Country, nella parte centro-occidentale dell'isola del nord: quest'area fu
chiusa agli europei e rimase sotto il controllo maori fino al 1881, quando
anche questa fu consegnata al governo locale.
d)
significato e interpretazione del Trattato di Waitangi
Il
Trattato di Waitangi aveva ovviamente subito una duplice e divergente
interpretazione, l'una da parte dei Maori, l'altra da parte europea. Gli
europei si assicurarono attraverso esso il controllo totale soprattutto sulle
terre: per i Maori esso comportava un continuo e reciproco impegno allo
scambio secondo lo schema indigeno del dare-ricevere-restituire.
Quest'idea
di reciprocità era fondamentale nella vita sociale maori: lo hau,
lo spirito del dono, assicurava il suo ritorno per mantenere il prestigio
sociale. Lo scambio di doni, in tal senso, è stato interpretato dagli
antropologi come un'azione reciproca con significato profondamente culturale,
più che utilitaristico. M. Mauss ha analizzato a fondo il concetto di
reciprocità: è proprio questo il principio che anima la circolazione dei
beni. Proprio lo hau maori ha
aiutato Mauss nelle sue teorie: "lo hau
è la forza magica del donatore che potrebbe ritorcersi contro chi dovesse
venir meno all'obbligo della reciprocità"[7].
Come
afferma anche M. Gluckman "nelle società tribali la regola più diffusa
è quella di un'ampia distribuzione del prodotto[8]",
non dell'esclusivo controllo delle risorse, e lo stesso concetto di proprietà,
in tal senso, è decisamente diverso rispetto all'occidente. Dal concetto di
proprietà è escluso, presso le società cosiddette tradizionali, qualsiasi
tipo di controllo privato sulle risorse primarie. Si parla il più delle volte
di possesso, di diritto di sfruttamento, ma non di alienazione o proprietà
individuale: la terra appartiene agli antenati e quindi non si può detenere
alcun diritto di cessione o vendita. Come società ad economia di caccia e
raccolta i Maori rispettano lo stesso principio
di spartizione: il cacciatore ha il dovere di dividere il frutto della sua
caccia con altri individui del suo gruppo sociale, sebbene detenga un unico
onore che è quello della priorità della scelta, mai il possesso totale della
preda o del raccolto.
Quindi
le aspettative maori riguardo il patto stretto con l'idea dello scambio
continuo e reciproco confliggevano con le aspettative tipicamente europee di
profitto: per i Maori non erano culturalmente né giuridicamente stipulabili
scambi che prevedessero il guadagno a favore di una sola delle parti.
Il
Trattato di Waitangi è stato un simbolo del colonialismo giuridico-culturale
subito dai Maori: esso fu un contratto o patto reciproco tra due parti, la
Corona inglese e i Maori, interpretato in modo totalmente diverso, a totale
sfavore della cultura autoctona.
Dopo
il Trattato di Waitangi del 1840 e nei successivi cento anni, la protesta
silenziosa dei Maori si sviluppò con dignità e fermezza e portò ad
ottenere, solo nel 1985, una consistente "riparazione" finanziaria
per le terre ingiustamente confiscate[9].
Le
terre che oggi appartengono ai Maori sono molto povere: la terra è stata, ed
è tuttora, causa di gravi dissidi all'interno del paese. I Maori sono un
popolo autoctono ghettizzato; essi vivono in uno spazio, il Maoridom,
che non è più del 4% del territorio neozelandese. Attraverso politiche di
dichiarato, quanto disatteso, Legal
Pluralism, i governi succedutisi hanno voluto trasmettere un'idea di
rispetto culturale e politico verso gli autoctoni, ma in realtà hanno
semplicemente tentato di nascondere spoliazioni e soprusi d'ogni genere.
In
effetti contrastare questo status quo
è quasi impossibile, soprattutto perché gli strumenti giuridici considerati
consoni ed adatti ad un dibattito in tal senso rimangono inequivocabilmente di
tipo occidentale. Per combattere il colonialismo giuridico-culturale operato
sul popolo dei Maori, annientato per quanto riguarda la tradizione e la
cultura, ci si può servire solo dei mezzi messi a disposizione dalle
istituzioni governative: esiste un'istituzione, la Maori
Land Court, che spesso emette sentenze in contrasto con la Supreme
Law[10],
ma ben poco riesce effettivamente a modificare in un sistema cristallizzato su
schemi di riferimento unicamente eurocentrici.
e)
Maori tra politica e battaglie parlamentari
La
difficoltà di una tale "esclusività metodologica" di protesta, il
servirsi cioè dei soli strumenti europei per combattere gli effetti nefasti
dello stesso colonialismo, si riscontrò già nei primi anni del novecento,
quando emerse una generazione d'intellettuali Maori, futuri leaders politici,
laureati al Te Aute College, che si
unirono nel movimento denominato dei Giovani
Maori.
Questi
intellettuali ritenevano necessaria l'accettazione di alcuni aspetti e
vantaggi della società europea, soprattutto perché consideravano questo
l'unico modo per poter dar voce alle proprie richieste e rivendicazioni: essi
ricoprirono cariche di un certo rilievo sociale (in senso occidentale),
esercitando la professione di avvocati, medici ed educatori. L'autorevolezza
del proprio status e del proprio
ruolo sociale si acquistava solo attraverso un inserimento nelle dinamiche
culturali e professionali esclusivamente occidentali. Dal punto di vista
etnogiuridico ciò è avvenuto un po' ovunque nei territori colonizzati: i
capi locali non ebbero lo stesso riconoscimento di cui godevano ovviamente le
autorità coloniali. Dopo la fase di conquista e di decolonizzazione, tale
meccanismo perverso di riduzione ed umiliazione è rimasto: le figure di
prestigio autoctone ricevono solo parzialmente il rispetto e la considerazione
culturale e politica che spetta loro. Anche laddove sembra esserci una
situazione più equilibrata, ci si scontra in ogni modo con la negazione del
diritto all'autodeterminazione: l'autorità politica rimane sempre quella dei
"bianchi".
Il
Partito dei giovani Maori
rappresentò dal 1905 i quattro distretti elettorali maori creati nel 1867.
Ottenne importanti riforme, sia sanitarie che scolastiche, riuscendo a
migliorare notevolmente le condizioni dei nativi. Esso lasciò, dopo alcuni
anni e dopo un susseguirsi di vicende storico-politiche, il posto al Movimento
di Ratana, agricoltore e guida spirituale maori che dal 1918 cominciò ad
occuparsi di politica; nel 1932 il partito ottenne un seggio in Parlamento e
nel 1934 conquistò anche i seggi prima appartenuti al movimento di Ngata.
Anche questo partito, alla fine degli anni settanta, lasciò il potere ad un
movimento più giovane, il Mana
Motuhake[11].
f)
il Tribunale di Waitangi e il Common law neozelandese
Nel
1976 fu istituito il Tribunale di
Waitangi: da allora esso ha il compito di esaminare tutte le
rivendicazioni autoctone riguardanti il mancato rispetto dei diritti dei Maori
previsti dal Trattato di Waitangi.
Tale tribunale è riuscito, in un certo senso, ad impensierire il governo a
tal punto, che questo si è sentito in dovere di ribadire, nel 1990, la
primarietà del diritto neozelandese rispetto alle rivendicazioni maori.
Come
già accennato, nel 1995 il governo neozelandese, per la prima volta, ha
deciso di restituire alcuni territori ad un gruppo Maori, i Tainui, pagando
inoltre un risarcimento di centosettanta milioni di dollari.
Per
i Maori, il diritto neozelandese ha giocato un ruolo particolare nella società:
esso si è sviluppato su una visione strumentale del ruolo della legge. Questa
si è, infatti, rivelata egemonica, assoggettando il popolo indigeno in
termini che riflettono solo l'interesse dello stato. Servendosi dei mezzi
interpretativi giuridici europei, in realtà si è riscritto il Trattato di
Waitangi utilizzando principi occidentali e legittimando ancora una volta la
politica dei Pakeha ed il loro potere economico.
Indicativo
in tal senso il lavoro del CLS, il Critical
Legal Studies Movement. Tale corrente intellettuale rivela che negli
ultimi dieci anni, dietro alle apparenti vittorie rivendicative raggiunte nel
Tribunale, vi sono state solo ulteriori legittimazioni degli interessi dello
stato neozelandese e dei privilegi dei Pakeha. Il CLS critica la concezione
giuridica liberale del diritto e dei diritti in particolare: la definizione
occidentale di diritti indigeni serve solo a mantenere salda l'autorità di
coloro che creano la definizione stessa. Non si riconosce, infatti, che gli
indigeni posseggono il diritto all'autodeterminazione che riconosce che gli
stessi sono liberi e uguali nel potere di sovranità.
Molti
intellettuali e giuristi maori, in contrasto con la giurisprudenza
eurocentrica e metropolitana, reclamano che le istituzioni, il diritto, la
religione e la fede sono oppressi dal diritto occidentale. Spesso dietro la
retorica biculturale o dietro il pluralismo legale si nasconde in realtà
l'arroganza culturale e razzista. Da più parti si sostiene, infatti, che il
colonialismo finirà solo quando i Maori reclameranno ed esigeranno la validità
delle loro istituzioni autoctone.
La
legge viene usata come strumento di controllo socio-razziale e d'oppressione:
la Criminal law per esempio viene
considerata fonte di oppressione per i Maori, anche a causa del fatto che essa
ignora la prospettiva maori su questioni quali la colpevolezza e il danno e
continua a respingere il diritto tradizionale maori come incompatibile con
l'ideologia giuridica liberale e l'egualitarismo.
Gli
avvocati, i giudici e i giuristi Pakeha non fanno quindi che reinterpretare e
ridefinire arbitrariamente ed eurocentricamente i concetti etnogiuridici maori.
g)
le riforme e il WAI 262 Claim
Dai
primi anni novanta il Ministro per il Commercio sta lavorando sulla riforma di
tre fonti normative sulla proprietà intellettuale in Nuova Zelanda: il Patents
Act, il Trade Marks Act e il Designs
Act, tutti del 1953. Le riforme sono state concepite per semplificare i
provvedimenti, rendere l'amministrazione più efficiente ed adeguare le leggi
ai mutamenti sociali, economici ed internazionali che si sono verificati da
quando nel '53 tali fonti furono redatte.
Mentre
alcune riforme sono state direttamente affrontate, al contrario le questioni
dei Maori sull'uso inopportuno del diritto di proprietà intellettuale,
dell'arte, delle immagini e della storia maori hanno ricevuto solo rimandi.
Attualmente
si discute avanti al Tribunale di Waitangi in merito ad una rivendicazione che
potrebbe diventare storica: l'oggetto riguarda i diritti della proprietà
intellettuale in Nuova Zelanda: il WAI
262 Claim. Tale azione mira a rivendicare i diritti di proprietà
intellettuale nei disegni, icone, immagini e materiali tradizionali come le
sculture, le opere pittoriche e i tatuaggi del popolo maori.
In
tal senso, nel 1994, il Ministro per il Commercio costituì due istituzioni
con il compito di di mettere a fuoco l'oggetto delle rivendicazioni maori: il Maori
Trade Marks Focus Group e il Patenting
of Life Forms Maori Focus Group. Solo nel 1997 si tenne una serie di
riunioni per discutere le raccomandazioni predisposte dai lavori del Maori
Trade Marks Focus Group.
Il
Ministro per l'Impresa e il Commercio recentemente ha riproposto al governo
una serie di questioni circa l'efficacia del Trade
Marks Act, sia per le comunità maori che per gli affari in generale. Si
auspicano in questo ambito emendamenti alla legislazione che riflettano
seriamente gli interessi dei Maori. Dovrebbero essere posti nuovi limiti su ciò
che, per esempio, può essere registrato come trade marks e ciò che può
invece essere soggetto di un brevetto.
Comunque,
il WAI 262 claim potrebbe avere
ulteriori e più ampie implicazioni: la rivendicazione maori si riferisce in
modo specifico al diritto di proprietà e controllo delle risorse genetiche di
piante e animali nativi, e questo andrebbe oltre lo scopo dell'attuale
legislazione sulla proprietà intellettuale. Qualunque sia la riuscita, il WAI
262 claim avrà comunque risvegliato la coscienza pubblica sulla questione
dei diritti di proprietà intellettuale maori.
h)
la giustizia maori e l'apporto degli storici
Anche
la giustizia maori, come quella di molti altri popoli indigeni, è di tipo
riconciliativo; dopo la realizzazione di un crimine si lavora congiuntamente
per trovare un punto di riconciliazione e restaurare il mana[12]
della vittima. Secondo il sistema vigente, il risarcimento agli individui
ingiustamente imprigionati è deciso sulla base di prove oltre il ragionevole
dubbio. Il sistema nativo opera affinché tale meccanismo venga abbandonato e
affinché sia applicato uno standard di equilibrio tra le varie probabilità.
Il sistema vigente è considerato dai maori un affronto alla nozione di prova
d'innocenza.
Le
proposte giuridiche maori hanno invece come punti di forza:
a)
tutti i neozelandesi devono avere pieno accesso alla giustizia, in
tutte le giurisdizioni;
b)
un modello di legge e di giustizia appropriato alla Nuova Zelanda deve
essere sviluppato da un gruppo di eminenti autorità riunite per tale scopo.
Aspetti del Common Law Maori
avranno uguale riconoscimento rispetto alle altre forme di Common Law;
c)
deve essere dato sviluppo a tutte le forme di giustizia restaurativa;
d)
deve essere sviluppato un sistema di giustizia giovanile più
appropriato alle esigenze etnogiuridiche;
e)
lo standard di prova nel caso di erroneo incarceramento deve essere
ridotto ad un equilibrio delle probabilità.
La
presenza di storici in un foro come quello del Tribunale di Waitangi influenza
sensibilmente il processo e il suo sviluppo; fino agli anni ottanta la loro
presenza nei tribunali era esigua. Oggi il loro contributo è decisivo. La
crescente rilevanza della prova storica riflette i recenti cambiamenti nel
diritto neozelandese, le quali hanno contribuito a moltiplicare le azioni e le
rivendicazioni dei Maori nelle aule dei tribunali.
Lo stesso Tribunale di Waitangi dovrebbe rappresentare la principale
innovazione istituita proprio per dar voce alle rivendicazioni e alle azioni
maori. L'allargamento della giurisdizione di tale tribunale, avvenuta nel
1985, al fine di poter esporre rivendicazioni anche risalenti nel passato
(fino al 1840), lo ha subissato di una valanga di claims relativi agli eventi
del secolo scorso (dal 1975, infatti, il Tribunale poteva solo investigare su
atti ed omissioni della corona sorti dopo il 1975). Fu allora che s'intuì
l'importanza che tali rivendicazioni dovessero essere, ovviamente, documentate
soprattutto dal punto di vista storico.
È diventato celebre il lungo caso Ngai
Tahu, durato dal 1987 al 1990, in una sequenza di venti udienze, in cui lo
storico Harry Evison presentò al tribunale dati, resoconti, scale e dettagli
di una precisione e complessità mai visti prima.
Questo
processo inoltre stabilì definitivamente le procedure da seguire, quelle che
ora dominano tutti gli iter di questo tribunale.
I
Maori che presentano le proprie rivendicazioni possono essere rappresentati da
un Consiglio di anziani e nel 1990 il Tribunale ha reso nota una serie di
linee guida procedurali che stabiliscono la rappresentanza legale dei nativi,
specialmente quando si trattava di rivendicazioni storiche basate su fonti
documentarie. Da allora ciò è diventata una consuetudine e quindi regola
giuridica.
i)
l'ordinamento neozelandese
La
Nuova Zelanda ha una forma parlamentare di governo derivata del modello
britannico. Il potere legislativo è rappresentato da un'unica Camera dei
Rappresentanti, i membri della quale sono eletti per tre anni. Due sono i
partiti dominanti, il partito nazionale e il partito labourista; il partito di
maggioranza ha diritto a formare il governo.
Il
leader del partito di governo che diventa Primo Ministro deve formare il
Gabinetto con i ministri. Il Gabinetto è l'organo centrale di potere
esecutivo. La maggior parte dei lavori legislativi ha inizio nella Camera,
sulla base delle decisioni prese dal Gabinetto.
Il
Gabinetto ha vasti poteri regolamentari che sono soggetti solo al limitato
controllo parlamentare. In realtà, il potere legislativo e quello esecutivo
sono molto vicini, poiché i ministri del Gabinetto siedono nella Camera dei
Rappresentanti.
Gli
organi istituzionali, dunque, sono un Governatore, un'Assemblea Generale, un
Consiglio Legislativo ed una Camera dei Rappresentanti.
La
monarchia britannica è il formale capo di stato ed è tecnicamente
rappresentato da un Governatore Generale, incaricato dal monarca, sotto
raccomandazione del governo neozelandese, per cinque anni. Egli ha autorità
limitata ma la carica serba alcuni poteri residui di protezione della
costituzione e di azione in situazione di crisi costituzionale: in alcuni casi
può anche sciogliere il Parlamento.
La
struttura del governo della Nuova Zelanda è relativamente semplice, ma i
provvedimenti costituzionali sono più complessi. La costituzione è un
insieme di leggi e di convenzioni: laddove le due si scontrano la convenzione
tende a prevalere. Una misura verso la semplificazione fu il Constitution
Act del 1986 che ha consolidato ed ampliato la legislazione costituzionale
datata 1852.
I
distretti elettorali parlamentari sono ridefiniti dopo un censimento
quinquennale e il loro numero aumenta con l'incremento demografico. Nella metà
degli anni ottanta il territorio era diviso in 95 circoscrizioni elettorali,
quattro delle quali erano riservate ai Maori.
Le
elezioni parlamentari sono condotte sulla base dell'affiliazione partitica.
Per quanto vi siano altri partiti politici oltre i principali, il sistema
elettorale favorisce fortemente i due partiti maggiori che si alternano al
governo, rendendo difficile la vittoria ai candidati dei partiti minori.
Inoltre, un partito può guadagnare una maggioranza di seggi nella Camera ma
non ottenere una maggioranza del voto nazionale.
I lavori del governo sono condotti da tre dozzine di dipartimenti
governativi di varia taglia ed importanza. Per il controllo sulle ingiustizie
amministrative vigila l'Ufficio del
Commissario parlamentare per le Investigazioni stabilito nel 1962; la
portata della giurisdizione dell'ufficio è stata ampliata nel 1968 ed ancora
nel 1975.
Inoltre, l'Official Information
Act del 1982 permette il pubblico accesso, con specifiche eccezioni, ai
documenti governativi.
Il governo locale, che ha poteri molto limitati, è direttamente
investito dallo statuto costituzionale. Le autorità locali dipendono dal
governo centrale per quanto riguarda l'assistenza finanziaria. La definizione
della loro funzione e dei loro poteri è sotto costante revisione e varie
modifiche sono fatte seguendo il cambiamento delle condizioni storico-sociali.
Ogni attività delle autorità locali è controllata da un Consiglio
eletto di membri locali: l'elezione dei membri è legata all'affiliazione
partitica.
Il
diritto è amministrato dal Dipartimento di Giustizia attraverso le sue Corti.
La gerarchia è organizzata secondo le District
Courts, la High Court, la Court
of Appeal, il British Privy Council.
Quest'ultimo agisce come corte finale d'appello per la Nuova Zelanda.
Dopo
il Constitution Act, la Nuova
Zelanda è stata divisa in sei province - Auckland, New Plymouth, Wellington,
Nelson, Canterbury, Otago - ciascuna con un Soprintendente ed un Consiglio
provinciale.
Appendice
MAORI TATTOING TRADITION
di
Diana Stanzani
Il termine tatuaggio prende
il nome dalla parola tahitiana tatu,
ossia "decorazione della pelle". Il tatuaggio, oltre ad essere una
forma d'ornamento, rappresenta un'espressione artistica e comunicativa; esso
trasmette informazioni sullo status
ricoperto, sull'appartenenza etnica, il genere e la storia personale. Inoltre
spesso ha funzione terapeutica nel senso che, come un vaccino, protegge e
immunizza il corpo[13].
Presso i Maori, il
tatuaggio assume forme particolarmente raffinate: il Ta
Moko (così è chiamato nella lingua maori) si divide in due gruppi: il moko
facciale (visibile ancora oggi tra i Maori che strenuamente lo conservano come
patrimonio del proprio popolo) e il whakairo,
tatuaggio che viene effettuato sulla parte del corpo che va dalla vita alle
ginocchia e che comprende anche le natiche e i genitali. Essi sono effettuati
con i metodi tradizionali delle culture dell'Oceania: pettine e rastrello.
Il tattoo è praticato in
particolare per definire la fine della pubertà e celebrare il passaggio
dell’individuo nell’età adulta; diventa poi il simbolo di una rigida
stratificazione sociale, tipica come abbiamo visto della cultura maori,
direttamente proporzionale al rango. Più un individuo è tatuato, maggiore la
sua autorità e nobiltà rispetto al gruppo d'appartenenza.
A qualcuno il moko
può apparire in sogno, ma viene comunque eseguito solo dopo che gli anziani
hanno deciso se effettivamente il disegno prescelto sia adatto al giovane che
lo porterà: il tattoo deve rispecchiare il vero essere
dell’individuo, oltre che la sua origine come “uomo”.
La
pratica del tatuaggio, sia sul corpo che sul viso, richiede molto tempo.
Innanzi tutto, gli specialisti, che operano in assoluto silenzio, analizzano
la struttura ossea dell’individuo e le caratteristiche del viso: proprio a
causa di tale "personalizzazione", ogni tatuaggio risulta diverso
dall’altro.
I disegni sul corpo sono
particolarmente elaborati e complicati: obliqui ed angolari, spirali che,
richiamando la struttura delle foglie di felce, stanno a rappresentare
l’aprirsi verso una nuova vita. È per questo, infatti, che i tatuaggi sono
praticati proprio nel periodo del passaggio dalla pubertà all’età adulta.
I colori più usati sono il
nero, il bianco e il rosso. L’uso di questi colori ha un significato ben
preciso: il nero rappresenta la mascolinità, la conoscenza conquistata
attraverso l’uscita del mondo dalle tenebre, i flutti dell’oceano sul
quale i Maori si affacciano. L'oceano rappresenta, oltre che un mezzo di
sopravvivenza, soprattutto il modo più adatto per poter sviluppare e maturare
la propria cultura. Il rosso rappresenta la terra madre, la nascita, la vita.
Il bianco simboleggia la luce, il mondo fisico, la purezza, l’armonia, la
conoscenza delle cose e l’equilibrio.
Durante il periodo in cui
si effettua il tatuaggio è proibita qualsiasi intimità sessuale: i Maori
considerano una sciagura vedere il moko
prima che esso sia completato. Questo rientra nella sfera del tabu[14],
ciò determinerebbe la sua scomparsa: sarebbe evento gravissimo, soprattutto
perché il tatuaggio è interpretato come tentativo di connessione spirituale
con gli antenati delle tribù.
I tatuaggi colpirono molto
gli osservatori europei: Sidney Parkinson, artista al seguito di J. Cook, nel
1769, così descriveva esempi di moko: “ Questi erano lineari e curvilinei:
uno consisteva in una serie di linee verticali incise parallelamente su
entrambe le orecchie fino al naso e dalla mandibola al mento, sovrapposti a
questi, linee circolari”. J. White, nel 1889, parlava di una donna tatuata
alla vecchia maniera: moko kuro.
Rappresentò il volto della donna con un tatuaggio reso dalla combinazione di
tre linee brevi orizzontali alternate a tre linee brevi verticali: il tutto
dalla fronte al mento e da orecchio ad orecchio.
Pochi anni più tardi, lo
storico Cawan ritraeva due anziani uomini della tribù del Ngai-tahu
con un paio di linee diritte sulla mandibola. S'ipotizza che le linee e i
circoli dello stile moko si siano
sviluppati durante le guerre tribali che durarono dalla visita di Cock, nel
1770, alla venuta del generale Robely nel 1860. Quest'ultimo inoltre notò che
molti capi maori ritraevano sui documenti i disegni dei moko,
come mezzo di scrittura. Nel 1889 White ritrasse una donna che portava il moko-kuri
interamente lineare. Aveva notato che il tatuaggio somigliava ai lavori di
tessitura.
La storia orale maori
narra, infatti, di uno stretto vincolo tra la tessitura e il tatuaggio: le
origini mistiche del moko sono
legate alla leggenda del giovane Mataora,
il cui nome significa Viso della
vitalità.
La leggenda vuole che Mataora,
a causa di un temperamento molto forte, facilmente picchiasse la moglie Niwareka,
figlia del dio delle tenebre; un giorno, dopo l’ennesimo litigio, questa
decise di tornare dalla sua famiglia. Mataora
scese negli inferi per riprenderla con sé, ma sbagliò continuamente sentiero
e, alla fine, quando la trovò, fu esposto alla derisione di tutti, in quanto
il suo tatuaggio era quasi totalmente scomparso. Niwareka
si arrese in ogni modo alle sue richieste e accettò di tornare con il marito.
Uetonga, che aveva il viso
intarsiato da una miriade di curvilinee sottili, offrì il tatuaggio a Mataora
e, mentre questi apprese i segreti dell’arte tattoo, Niwareka
acquisì contemporaneamente i segreti della tessitura. Tornarono così sulla
terra, ognuno con le proprie conoscenze. Questa leggenda spiega come i Maori
acquisirono i tesori del Moko e del
tamiko.
Ancora oggi le donne maori
mostrano simili ornamenti: i loro moko
fatti sul mento fanno parte della tradizione e della storia della propria
famiglia, sono come lo stemma del casato di appartenenza dei nobili in
Occidente: un modo per riconoscere, dall’aspetto, la storia e la genia di
una famiglia. Questo è il vero motivo per cui i Maori si ritengono offesi nel
vedere un loro tatuaggio sul viso o sul corpo di un uomo che non appartiene
alla loro cultura.
Per quanto antica, la
pratica del moko alla fine delle
guerre tribali, per l’influenza degli europei e per l’opera dei
missionari, perse il suo tradizionale significato. Oggi i Maori rivendicano le
proprie origini proprio a partire dalla pratica del tatuaggio, segno
distintivo della loro cultura, storia, religione, arte e dei loro valori di
riferimento.
Ciò sta ancora a
significare la volontà ed il desiderio forte di riaffermare l’identità
propria di ogni individuo: l’identificazione attraverso il tattoo deve
essere chiara così che, guardando il disegno di un uomo, si possa capire chi
sia e da quale tribù provenga. Ogni tattoo ha un significato per chi lo
indossa: il disegno, particolare per ognuno, è stato effettuato tenendo in
considerazione il suo nome, il luogo di nascita, il background, le imprese sue
e della sua famiglia, i suoi progetti futuri. Il tatuaggio riporta la
genealogia dei propri genitori, lo status all’interno della comunità e
molti altri elementi ancora.
Rappresenta l’intera
esistenza di un individuo: ogni tatuaggio riporta inevitabilmente ad un essere
umano.
[1]
Fabietti U. - Remotti F., Dizionario
di Antropologia, Zanichelli, 1997.
[2]
In generale, termine riferito al rapporto bilaterale di parentela e/o
consanguineità. Il termine discendenza cognatica indica la discendenza da
un capostipite comune attraverso una rete di parentele e legami.
[3]
Bernardi B., Uomo Cultura Società,
F.Angeli, 1985.
[4]
Moretti M., Nuova Zelanda, Utet
Libreria, 2000 e Fabietti U. - Remotti F., op.
cit.
[5]
Fabietti U. - Remotti F., op. cit.
[6]
Moretti M., op. cit.
[7]
Fabietti U.-Remotti F., op. cit.
[8]
Gluckman M., Potere, diritto e
rituale nelle società tribali, Boringhieri, 1977
[9]
Quando fu firmato il Trattato di Waitangi - e molti capi indigeni si
rifiutarono di farlo - i Maori che vivevano in Nuova Zelanda erano circa
centomila. Dopo circa un cinquantennio erano già scesi a quarantatremila,
soprattutto a causa delle malattie trasmesse dagli europei, contro le quali
il loro sistema immunitario era totalmente impreparato (Un censimento del
1986 afferma che il numero è sceso ulteriormente a 300.000 individui circa.
[10]
Motta R., L'addomesticamento degli
Etnodiritti, Unicopli, 1994.
[11]
Palmowski J., Dizionario di storia
del '900, Il Saggiatore, 1998.
[12]
Mana è un termine derivato dalle
culture melanesiane e polinesiane ed indica un potere spirituale che si
manifesta nei fenomeni della natura, nelle persone, nei luoghi e negli
oggetti. L'antropologo R. Firth (n. 1901), che condusse ricerche nell'area
dell'Oceania, studiò a lungo tale concetto: egli notò che mana
veniva usato in situazioni particolari e laddove si auspicava e ricercava il
favore e l'appoggio delle divinità. Questa rete di connessioni tra mondo
terreno e realtà spirituale resta uno degli aspetti peculiari del pensiero
indigeno.
[13]
Fabietti U.-Remotti F., op. cit.
[14]
Tabu è una parola polinesiana che indica una proibizione, un divieto forte
e rituale riguardo oggetti ed individui collegati, in qualche modo, al mondo
soprannaturale e alla sacralità in genere.
|
|