Il diritto aborigeno e l'Australia

 di Barbara Faedda[1]

a)     La terra per gli Aborigeni: la sentenza Mabo e il National Native Title

Pochi anni fa è stata pronunciata in Australia una sentenza divenuta in breve tempo esemplare: la sentenza Mabo (Mabo vs. Queensland, n.2. 1992, 175 Crl 1), con la quale finalmente è stata riconosciuta la tradizionale proprietà aborigena della terra. "L'Alta Corte del Queensland ha osservato, infatti, che la proprietà aborigena può essere esercitata da individui, sottogruppi o dall'intera collettività, a seconda delle circostanze[2]". Tutto ciò rappresenta una vittoria, una rivincita notevole per gli aborigeni, soprattutto dopo secoli di disconoscimento culturale ed etnogiuridico da parte dei "bianchi".

La storia coloniale dell'Australia inizia nel lontano 1642, quando Abel Tasman raggiunse, primo europeo, l'isola che da lui prese il nome, la Tasmania; dopo circa un secolo, il celebre capitano James Cook "scoprì" il New South Wales. Purtroppo tale "scoperta", se fu un gran guadagno per gli europei, non altrettanto rappresentò per le popolazioni aborigene. Il fatto, poi, che queste terre fossero incredibilmente ricche (oro, argento, petrolio, carbone) segnò in pratica la fine del controllo dei nativi sulle loro terre e sulle relative risorse[3].

Come abbiamo visto, il controllo totale sulla terra, successivo alla conquista brutale ed annientatrice, ha rappresentato forse la prima vera forma di violenza esercitata dagli europei nei confronti dei popoli indigeni: nel corso degli anni essi furono spinti sempre più lontano dai loro territori, costretti in aree povere ed isolate, espropriati della terra e con essa delle proprie radici culturali ed affettive. Terra come luogo legato alla storia della comunità, culla di usi e costumi secolari, fulcro della religiosità più profonda, spazio entro il quale si sono avvicendate le generazioni, dove ancora i nativi sentivano il respiro degli antenati, dove ogni roccia, ogni corso d'acqua, ogni albero viveva della stessa "anima".

Dopo la spoliazione arrivò lo sfruttamento indiscriminato: anche recentemente, nella seconda metà del XX secolo, la Tasmania, per esempio, fu protagonista di un impetuoso processo d'industrializzazione, attraverso la costruzione di grandi centrali idroelettriche. Il continuo evolversi di tali installazioni fu così rapido e incontrollato che portò poi, negli anni settanta, a violente reazioni, non solo degli aborigeni stessi, ma anche dei gruppi d'ambientalisti. La situazione arrivò ad un tal punto d'esagerazione di sfruttamento e di prepotenza, che nel 1983 la Corte Suprema Australiana decretò la sospensione della costruzione della diga sul fiume Gordon.

Per tutta questa su citata miscellanea di problematiche storiche ed etnogiuridiche, in Australia gode di prestigio ed importanza una particolare istituzione, denominata National Native Title Tribunal. Tale tribunale è un organo del Commonwealth Government ed ha il compito di facilitare la creazione di accordi tra gli aborigeni e gli isolani di Torres, il governo e le industrie. Il Tribunale non è una corte e non decide quindi se esista o meno il titolo, vale a dire il diritto di proprietà.

Nel 1995 fu presentato un paper alla Terza Conferenza Nazionale su Immigrazione e Popolazione al Convention Centre di Adelaide. Paul Seaman, Membro presidenziale del National Native Title Tribunal, parlò di possibilità d'acquisto del diritto di proprietà sulle terre tradizionali da parte degli aborigeni, come risultato di un recente mutamento nella normativa. La grande svolta era stata, come già accennato all'inizio, la decisione della maggioranza dei giudici dell'Alta Corte d'Australia nel processo Mabo vs. Queensland. Il popolo indigeno d'Australia non ebbe, infatti, alcun riconoscimento di un diritto di proprietà da parte della legislazione australiana fino al 3 giugno 1992, quando fu pronunciata la fatidica sentenza.

Oggi molti nativi lasciano le riserve e tornano, liberi, ad occupare i territori ancestrali, quella terra che da questa cultura viene definita "madre[4]". Nell'interessante reportage di Cathy Newman, Bentornati aborigeni pubblicato recentemente da La Repubblica, si parla proprio del differente concetto di proprietà terriera per gli aborigeni e per i "bianchi": i primi "credono di avere, come i loro antenati, il possesso collettivo di queste terre e il diritto di godere dei loro frutti. Ma gli esploratori bianchi hanno portato una diversa idea di proprietà, fatta di concessioni fondiarie, recinzioni e carte bollate[5]". Per la cultura autoctona, la terra è vita, biologica e spirituale: "… ricavare sostegno dalla terra. Sostegno fisico e spirituale … la terra: come aiuta, come guarisce[6]".

Grazie alla "gestione terriera" degli europei, i vari governi australiani procedettero sull'idea di base che la gente indigena non avesse alcuna legge definita e perciò che nessuno possedesse la terra, con il risultato che i governi gestirono le terre a loro piacimento. Questo punto di vista fu supportato dalle decisioni delle varie corti, fino alla causa Mabo. Il risultato fu che i governi sostennero per due secoli un falso postulato: la gente indigena non aveva diritti tradizionali di proprietà sulla terra. E qualora quei diritti fossero stati riconosciuti, i governi li avrebbero in ogni modo soffocati tutti attraverso legislazioni o atti esecutivi. La legislazione e gli acts esecutivi hanno, infatti, nel tempo eliminato alla radice molte rivendicazioni e richieste di terra della numerosa comunità indigena.

Fu così che s'iniziò a pensare che ogni tentativo del governo di soffocare le rivendicazioni dei diritti tradizionali sulla terra seguendo la decisione Mabo avrebbe dato quindi il via a richieste di pagamento dell'indennizzo ai proprietari di tali interessi. Gli interessi tradizionali indigeni sulla terra furono chiamati native title. Nella sentenza Mabo, Brennan J. descrisse ciò come segue: "Il termine native title descrive convenientemente gli interessi e i diritti degli abitanti indigeni sulle terre, qualora una comunità, un gruppo o un individuo posseggano leggi tradizionali riconosciute dai costumi tradizionali osservati dagli abitanti indigeni"[7].

Le proposizioni più significative emerse dalla sentenza Mabo sono le seguenti: a) il diritto di proprietà può continuare ad essere riconosciuto laddove la comunità, il gruppo o l'individuo continui ad osservare le leggi e i costumi per mezzo dei quali la connessione tradizionale con la terra è stata consolidata; b) il diritto di proprietà può essere perso per abbandono delle leggi tradizionali e dei costumi e una volta perso non può essere rinnovato; c) le leggi tradizionali e i costumi dai quali il diritto di proprietà è derivato determinano la sua natura ma essi possono cambiare e quindi particolari diritti e interessi cambieranno in conseguenza; d) l'occupazione esclusiva di un territorio da parte degli aborigeni non è condizione necessaria per il mantenimento del diritto di proprietà sullo stesso, ma rimane questione aperta ritenere necessaria, in ogni modo, una qualche "connessione fisica" di tipo continuativo; e) l'estinzione di un diritto di proprietà nativo richiede la dimostrazione di un piano o di una chiara intenzione di estinguere il diritto stesso; f) una volta che il diritto di proprietà è estinto non può essere riattivato.

Ma come è definito esattamente il native title? "L'espressione native title o native title rights and interests significa i diritti e gli interessi comuni, di gruppo o individuali dei popoli aborigeni o degli isolani dello Stretto di Torres in relazione a terra o acque dove: 1) i diritti siano posseduti secondo le leggi tradizionali riconosciute e i costumi tradizionali osservati dagli aborigeni e gli abitanti dello Stretto di Torres; 2) gli aborigeni e gli isolani di Torres godono di un particolare rapporto con la terra e le acque sulla base di tali leggi e costumi; 3) i diritti e gli interessi sono riconosciuti dal Common Law dell'Australia[8]".

Un'importante istituzione inoltre, il National Aboriginal and Torres Strait Islander Land Fund, ha stabilito la possibilità di offrire un'assistenza diretta alla popolazione aborigena e agli isolani di Torres nel momento in cui si accingano all'acquisto di un territorio o intendano impegnarsi nella gestione dello stesso, seguendo le modalità più consone affinché si possa giungere ad acquisire benefici economici, sociali e culturali. Le intenzioni di fondo che animano questi enti d'ispirazione autoctona sono essenzialmente due: ripagare in un certo senso le  passate ingiustizie con misure speciali ed aggiornate per garantire sia l'avanzamento socio-culturale che la protezione adeguata delle popolazioni aborigene, e assicurare che gli stessi ricevano il pieno riconoscimento e un chiaro status all'interno della nazione australiana.

L'Indigenous Law Centre (per la precisione, l'Aboriginal Law Centre) fu istituito nel 1981 per sviluppare e coordinare la ricerca, l'insegnamento e l'informazione etnogiuridica tra la gente indigena. Specifici obiettivi sono quello di promuovere la cooperazione nella ricerca concernente i popoli indigeni e la loro legge in Australia e all'estero; pubblicare i risultati delle ricerche e informare gli individui interessati, le comunità e gli enti in tutta l'Australia; organizzare e partecipare a conferenze e seminari; incoraggiare lo sviluppo di curricula specifici e materiali d'insegnamento.

Il Centro sostiene tre iniziative per raggiungere i suoi obiettivi: l'Australian Indigenous Law Reporter, L'Indigenous Law Bulletin, il Community Education Program. Il primo è una pubblicazione quadrimestrale che fornisce accesso ai materiali concernenti i popoli indigeni e la legge relativa, riunendo tali materiali in forme accessibili e facilmente fruibili. Il secondo è pubblicato nove volte l'anno, promuove discussioni su questioni legali indigene pubblicando articoli, commenti e note a sentenza. Il terzo focalizza questioni educative rivolte ai nativi e collabora con gli Affari Aborigeni e il National Native Title Tribunal.

 

 

b)     Il Kowanyama Justice Group

 

In questo paragrafo è riportato uno studio del Dr. Paul Chantrill di un progetto d'auto-gestione di giustizia locale, in una remota comunità aborigena del Queensland[9].

In un primo "carteggio telematico" con la sottoscritta, P. Chantrill, circa la questione inerente i diritti etnici e la loro rivalutazione, ha affermato: "Ritengo che nei dibattiti in Australia recentemente sia stata data attenzione alle questioni riguardanti il diritto consuetudinario a causa della loro stretta connessione con i movimenti di rivendicazione della terra e con la questione storica della mancanza di una certezza giuridica circa la colonizzazione europea (assenza di accordi e trattati chiari). Per molti anni il problema è stato sottaciuto, ma le pressioni politiche, l'uso di strumenti normativi circa i diritti della terra e delle relative risorse, e le decisioni dei tribunali circa il native title hanno certamente portato negli ultimi tempi le questioni all'interno del dibattito etnogiuridico e politico. Si registra un numero enorme di questioni irrisolte circa la proprietà e i diritti d'accesso, l'uso della terra e delle relative risorse naturali. La maggior parte dei legislatori, dei tribunali e della popolazione capisce e accetta gli unici diritti degli australiani indigeni e le loro continue relazioni e responsabilità concernenti la terra e le sue risorse. Grande è la volontà, e forse il bisogno, di ammettere l'esistenza, l'importanza e l'autonomia del diritto consuetudinario. In Australia vi è un innato conservatorismo, molto più che in Canada, così tutto si muove molto gradualmente, soprattutto per ciò che riguarda lo status speciale della gente indigena. Nel 1975 fu introdotto il Racila Discrimination Act, una pietra miliare, ma non si sono raggiunti ancora i diritti costituzionali e i riconoscimenti che invece gli indigeni canadesi già posseggono. Nel 1980 la Commissione Australiana per la Riforma del Diritto considerò per la prima volta il diritto consuetudinario aborigeno: fece molte raccomandazioni, ma ben poche tra queste hanno poi preso posto nei dibattiti e nei lavori del governo". 

La Commissione Reale sulle Morti degli aborigeni nelle Carceri pensò che gli australiani aborigeni fossero vittime di viscerale razzismo e discriminazione all'interno del sistema di giustizia. Per porvi rimedio, la Commissione Reale raccomandò di prevedere piani di finanziamento per lo sviluppo di programmi di giustizia innovativi e basati soprattutto sulle esigenze della comunità. Chantrill si sofferma sulla comunità aborigena di Kowanyama, nell'estremo nord della regione del Queensland. Proprio il Queensland è protagonista di un progetto di particolare rilevanza etnogiuridica: il Queensland Government’s Local Justice Initiatives Program. Tra gli scopi previsti da questo progetto al primo posto vi è quello di riconoscere e rispettare la capacità delle comunità aborigene di sviluppare e gestire un loro proprio distintivo approccio alla giustizia locale. Dalla sua istituzione nel 1994, il justice group, il gruppo di giustizia della comunità di Kowanyama, ha reso un significativo contributo alla gestione effettiva del diritto. Sono diminuiti i crimini e il numero dei pregiudicati recidivi.

La vera minaccia al consolidarsi delle iniziative di giustizia locale, a Kowanyama così come presso altre comunità remote aborigene, giunge dai numerosi tentativi volti comunque a limitare il raggio d'azione dei processi comunitari e delle operazioni dei justice groups. Gli obiettivi da raggiungere quindi sono ancora tanti, e tra questi uno di quelli più a lungo termine è identificato dalla Royal Commission con la creazione di reali possibilità, per ogni comunità, di sviluppare i mezzi per risolvere le dispute e per trattare con gli imputati in modi che siano appropriati ed adatti, dal punto di vista culturale ed etnogiuridico.

Attraverso ricerche recenti, è stato scoperto che molti indigeni sono state spesso vittime di un radicato razzismo e di una violenta discriminazione da parte delle istituzioni legali. In base ad alcune statistiche del 1995 si è visto che gli Aborigeni e gli Isolani dello Stretto di Torres nel Queensland avevano 14 volte probabilità in più di essere incarcerati di altri; nello stesso tempo, si registravano 584 aborigeni e isolani in custodia preventiva. Il 24% del totale della popolazione carceraria proviene, infatti, da un gruppo sociale aborigeno che comprende appena il 2,3% della popolazione totale dello Stato australiano. Nel 1995, in soli 12 mesi, 780 nuovi detenuti provenienti da comunità aborigene e isolane arrivarono nelle carceri del lontano nord del Queensland. Molti di questi erano stati trasferiti lì da comunità lontane ed isolate per stare in realtà poco tempo. Le cause più comuni: offese contro la persona, in parte dovute ad abuso d'alcol, in parte a liti familiari. 

Nel 1991 fu data l'opportunità ai leaders delle comunità aborigene del Queensland di commentare tutte le norme attinenti la gente aborigena: essi risposero chiedendo una maggiore autonomia e una reale autogestione nell'amministrazione della giustizia e del diritto. A seguito di ciò nacquero molte iniziative all'interno dell'amministrazione locale della giustizia: fu creato l'Aboriginal Law Council ad Aurukun che, tra le questioni prioritarie, regola l'uso d'alcol all'interno della comunità, e un Aboriginal Elders Network di Capo York che promuove programmi di cultura e "aggiustamento" nelle istituzioni penitenziarie del nord del Queensland. Il ruolo degli anziani è risultato fondamentale nella riduzione del numero di aborigeni incarcerati. Altri gruppi d'aboriginal community justice furono formati a Kowanyama, Palm Island e a Pormpuraaw. Queste iniziative hanno avuto tutte il supporto della Commissione di Servizi Correzionali del Queensland.

Dopo il 1996, molte altre comunità, Hopevale, Yarrabah e Thursday Island hanno presentato richiesta di finanziamento al governo del Queensland per formare gruppi simili modellati largamente sul modello di Kowanyama e Palm Island. Ciò rientrava all'interno del cosiddetto Local Justice Initiatives Program. Kowanyama rappresenta un esempio-guida in tal senso.

Il concetto di giustizia locale, o popolare, è stato oggetto di discussione intensa all'interno del dibattito internazionale, con forti contributi degli studiosi canadesi e con particolare riguardo alla valutazione di proposte innovative tra le comunità indigene del Canada. Ciò si è rivelato importante, poiché studi empirici hanno confermato che l'applicazione di modelli e pratiche inappropriati di giustizia popolare è stata controproducente, se non a volte disastrosa. Spesso è stato forte il rischio di compromettere i risultati, a causa di battaglie ingaggiate per raggiungere l'autonomia locale, contro le continue pressioni verso l'incorporazione in un sistema di giustizia formale in cui non ci si riconosceva, né storicamente né culturalmente.

Nel novembre del 1992 ci fu una celebre tavola rotonda, un forum sull'Aboriginal People’s and the Justice System: Report of the National Round Table on Aboriginal Justice Issues. Il sistema di giustizia canadese fu accusato di essere stato un fallimento per la gente aborigena, fallimento attribuibile ai differenti modi di vedere e alle differenti condizioni tra il diritto degli europei e il diritto aborigeno. Il sistema statale fu giudicato troppo legalistico, centralizzato, formale e lontano dalla cultura etnogiuridica della gente indigena che credeva di avere, e desiderava fortemente farvi riferimento, un suo proprio meccanismo interno di controllo sociale. Kim Campbell disse: "Non è facile per me accettare che, per alcuni, le nostre leggi sono viste come strumenti di oppressione piuttosto che come meccanismi di preservamento della giustizia…ho imparato che l'amministrazione della giustizia, a dispetto delle buone intenzioni di chi vi opera all'interno, ha spesso fallito nell'incontrare le necessità della gente aborigena che, troppo frequentemente, viene in contatto con le nostre corti come imputata e come vittima … ho imparato che la gente aborigena è troppo spesso alienata rispetto al sistema di giustizia formale e vigente, e che molti sentono l'impotenza di partecipare per determinare ciò che succederà alla gente della propria comunità che ha trovato se stessa in conflitto con la legge".

Il tema dominante emerso da questa tavola rotonda è il riconoscimento del bisogno di un sistema normativo separato (sistema locale e sistemi plurali) d'amministrazione della giustizia per la gente indigena. La conclusione è stata che "il processo di riforma deve essere consensuale. Deve derivare da conversazioni e negoziazioni tra i governi e la gente aborigena". Gli stessi principi valgono per l'amministrazione di giustizia australiana per quanto riguarda gli indigeni.

C'è stato un timido tentativo di separare l'ambizione politica aborigena di possedere il  controllo sulla materia riguardante la giustizia aborigena, da un lato, e i bisogni di comunità specifiche, dall'altro. Spesso sono così interrelate che risolvere la prima questione significa risolvere al tempo stesso anche la seconda. 

Dal 1987 la cittadina di Kowanyama è amministrata da un Consiglio di Comunità aborigeno. La creazione nel 1994 del Justice Group di Kowanyama si basa sul successo di un'operazione che è servita successivamente come modello di comunità autogestita. Essa è un esempio che sfata l'assunto in base al quale tali iniziative vengono annientate dai molteplici rischi di incorporazione. L'istituzione del Justice Group seguì una consultazione circa il desiderio della comunità autoctona di gestire un corpus di giustizia locale, e circa la potenzialità degli individui di possedere i requisiti appropriati di autorità. Si indagò anche su chi potessero essere gli anziani della comunità considerati rappresentativi delle famiglia più importanti. Furono organizzati workshops per assicurare che i membri della comunità fossero realmente gli autori di tutto ciò.

 La creazione del Kowanyama Justice Group nell'aprile del 1993 fu il risultato del processo di consultazione con 18 membri, esattamente tre uomini e tre donne di ogni gruppo delle tre famiglie della comunità. Le richieste del justice group furono essenzialmente le seguenti: 1) sottoporre le questioni legali in modo che la comunità capisse realmente di essere in linea con i propri costumi, leggi e nozioni tradizionali relativi alla giustizia; 2) consultarsi con magistrati statali circa le sanzioni e le punizioni considerate appropriate dai nativi; 3) prendere parte alla prevenzione dei problemi legali e di ordine sociale; 4) ascoltare le rimostranze di carattere sociale e giuridico della comunità; 5) fornire raccomandazioni ai dipartimenti di governo su materie di giustizia; 6) identificare e focalizzare le questioni sociali e di giustizia nella comunità; 7) fornire consulenza tra la comunità e il governo e il potere giudiziario sule questioni di giustizia.

La frequente incidenza d'abuso d'alcool e la violenza familiare riporta il caso di Kowanyama ad un modello riconosciuto come caratteristico delle comunità remote indigene in Canada. È stato osservato che la natura sociale del problema dimostra che una risposta di tipo strettamente legalistico è spesso inappropriata. Differenti da quelle "europee" sono le relazioni sociali che prevalgono nelle comunità aborigene remote: comunità all'interno delle quali le connessioni, le parentele e le interazioni sono strettamente interrelate e di lungo data. La relazione che esiste per esempio nella comunità di Kowanyama tra violenza, abuso d'alcool, isolamento, richiede particolari considerazioni circa le strategie politiche da adottare. A Kowanyama, queste considerazioni non sono riuscite a venire alla ribalta del dibattito etnogiuridico fino agli anni recenti. Nel passato i detenuti provenienti da questa comunità venivano incarcerati nel Centro Correzionale di Lotus Glen, a 400 chilometri di lontananza. Andare in carcere è stato paragonato dai residenti e dalla polizia ad una "sindrome da rito di passaggio" tra alcuni giovani della comunità.

Prima che venisse istituito il Justice Group, si aveva la netta sensazione che l'autorità e i meccanismi di controllo tradizionali fossero stati seriamente minati. Un'inevitabile conseguenza della gestione e della pratica di polizia governativa è stata la progressiva diminuzione dell'autorità tradizionale all'interno della struttura sociale e locale: l'autorità degli anziani era veramente compromessa. Ciò è stato esacerbato dagli effetti distruttivi dell'abuso d'alcool; la questione dell'alcool è difficile da gestire, poiché di esso si fa uso a scopo ricreativo e come rimedio alla noia e fornisce una risorsa di guadagno per il Consiglio di Comunità che trae notevoli benefici dalla sua vendita.

Tra le cause principali all'origine dei crimini da parte di individui aborigeni vi è senza alcun dubbio la violenta ed estrema esperienza coloniale, l'espropriazione, lo spaesamento culturale, l'emarginazione e la povertà. La cultura aborigena interpreta la giustizia in un modo molto particolare: essa crede che la coscienza sia un'arma più potente di controllo della punizione. Di conseguenza, la propensione verso un'alta incidenza del crimine può essere relativa al crollo delle strutture dell'autorità tradizionale e alla conseguente diminuzione del senso di responsabilità e di connessione sociali.

Nonostante la disgregazione di pratiche consuetudinarie, successiva alle esperienze storiche di contatto con l'amministrazione di missioni e riserve, a Kowanyama si registrano forti rivendicazioni circa l'antica autorità e le pratiche locali. Si ritiene fermamente che esse possano essere usate per creare significative differenze tra gli insuccessi governativi e l'amministrazione autoctona ed etnogiuridica.  Conseguenza questa del successo del Justice Group che, utilizzando metodi tradizionali, riesce inequivocabilmente a ridurre il crimine e le infrazioni.

Un membro del Justice Group ha affermato: "La legge dei bianchi è debole, non insegna ai giovani come comportarsi, e così i giovani non mostrano alcun rispetto. Noi vogliamo che i giovani pensino a loro stessi e alle loro famiglie con responsabilità, andando d'accordo con gli altri e passando il loro tempo in occupazioni che siano positive e piene di significato". Si è certi quindi che i problemi sociali e le condotte illecite non siano separati dalla vita della comunità, e che ogni misura di prevenzione e di riabilitazione debba provenire dalla comunità, secondo il suo punto di vista culturale, le sue tradizioni locali, le strutture e i modelli di autorità. Molta enfasi è posta sul coinvolgimento della comunità nelle istituzioni correttive e nelle alternative alle procedure istituzionali. L'obiettivo primario è ristabilire l'autorità degli anziani e il costume locale. I crimini e i problemi dovrebbero essere discussi entro la famiglia di appartenenza e nelle strutture del proprio clan, piuttosto che essere gestite da terze parti, disinteressate e inappropriate.

Forme sottili di controllo sociale furono operate in passato in accordo con il costume locale. Le modalità erano varie: 1) evitare alcune persone o non dargli il benvenuto in particolari case; 2) vietare l'accesso agli spacci della comunità; 3) chiedere di lasciare la comunità per un periodo di tempo. Era anche usato promuovere la riconciliazione portando i problemi all'aperto e permettendo un incontro/confronto tra gli avversari in questione. La pubblica umiliazione era usata per promuovere un comportamento socialmente accettabile. Ciò è stato particolarmente adottato in casi in cui i genitori e gli adulti hanno trascurato le proprie responsabilità familiari: occuparsi, per esempio, di giovani ed anziani. Madri che hanno abbandonato i loro figli per andare nelle cantine a bere sono state portate davanti al justice group. L'umiliazione che copre la madre la induce a cambiare il suo comportamento.

Incidenti simili riguardanti questioni di droga e alcol, soprattutto quando fossero stati venduti a bambini, sono stati valutati dal justice group. Queste campagne rivolte in particolare alla protezione della gioventù sono viste come parte fondamentale del tentativo di rottura del circolo dell'alcol, della violenza e del crimine, problemi ricorrenti nella comunità negli anni più recenti. Queste iniziative possono essere riconosciute come tentativi di ristabilire l'autorità e il controllo della comunità, insistendo sul concetto di "comportamento sociale responsabile". La responsabilità della famiglia e degli anziani è enfatizzata come mezzo di promozione di un comportamento migliore e la comunità riconosce la sua responsabilità di assicurare che i giovani siano guidati su strade giuste. L'essenza della deterrenza non è la severità della sanzione, ma il suo essere fortemente interconnessa nel tessuto sociale. La vergogna è un deterrente maggiore quando è amministrata da persone che sono, e continuano ad essere,  importanti e rilevanti per la nostra esistenza.

I giovani sono il nucleo centrale nelle delibere e negli interventi del justice group di Kowanyama. Un aspetto importante è quello di impegnare i membri del justice group a prendersi cura e procurare una leadership per i giovani. Ciò appare essere fortemente motivato dal desiderio di riabilitare, in un certo senso, il ruolo degli anziani, soprattutto in considerazione del peso che essi hanno per quanto riguarda la prevenzione del crimine giovanile. Prima dell'istituzione del justice group la polizia di Kowanyama registrava circa 50 crimini giovanili ogni mese; il crimine più comune tra i minorenni era svuotare gli appartamenti e abusare d'alcol. Attraverso il justice group gli anziani stanno riconquistando il rispetto delle nuove generazioni, che devono rendere conto delle loro azioni in un "foro di responsabilità" della comunità. È successo così che sia stato registrato un notevole ridimensionamento del crimine giovanile nella città.

Cosa ha fatto il justice group per raggiungere quest'obiettivo? Il focus sui giovani ha incluso una serie di iniziative: ragazzi tra gli 8 e i 14 anni sono stati reclutati per assistere la polizia nelle ronde serali, quando si controlla che la comunità sia al sicuro. I ragazzi hanno indossato le camicie blu con gli emblemi ufficiali della polizia e, come volontari, hanno impiegato una parte del loro tempo controllando che gli edifici pubblici fossero regolarmente chiusi e verificando cosa facessero i bambini. Come gratificazione per il lavoro svolto, sono stati introdotti programmi-premio. Molti ragazzi volontari in passato erano stati loro stessi giovani delinquenti. Si è trattato solamente di responsabilizzarli ed incentivarli. Tutto ciò è stato accompagnato dall'incremento di attività sportive e ricreative, dall'ulteriore sviluppo di infrastrutture (piscine, campi sportivi, stadi, campi di escursioni). Significative le parole dell'Anziano di Kowanyama, Banjo Patterson, Presidente del Justice Group di Kowanyama dal 1994 al 1996: "Assicurati di badare a loro e di prenderti cura di loro. Ciò devi fare, spronarli sulla retta via, non corrergli dietro quando l'hanno persa" (Aboriginal and Torres Strait Islander Social Justice Commissioner, Fourth Report, 1996, p. 56). 

Un'altra iniziativa per gli studenti, datata ottobre 1995, fu quella denominata "adotta un anziano". Questa misura è stata attuata per coinvolgere gli anziani della comunità nelle classi della scuola di Kowanyama. Gli anziani, infatti, forniscono la direzione e un notevole supporto all'istituzione scolastica e partecipano direttamente all'insegnamento per quanto riguarda le materie relative alla cultura e al comportamento etnogiuridico appropriato. La comunità scolastica ha risposto a turno all'iniziativa del justice group e l'8 marzo 1996 fu istituita una delegazione permanente presso la Commissione Scolastica Educativa di Kowanyama.

Sempre nell'ottobre 1995, al fine di incoraggiare migliori relazioni con la polizia, il justice group invitò gli ufficiali della Polizia di Stato a prendersi cura, all'interno dell'istituzione locale, della sezione "Affari generali". Questa fu un'iniziativa diretta a facilitare una collaborazione più stretta e uno scambio d'informazioni tra le due istituzioni, quell'autoctona e quella governativa. Ovviamente tutto ciò non ebbe una riuscita positiva solo per le buone intenzioni: coincise, infatti, con l'arrivo nella comunità di un nuovo sergente di polizia con una notevole esperienza nel trattare le questioni e le problematiche delle comunità aborigene.

Oggigiorno le pratiche di polizia nelle comunità remote aborigene del Queensland sono guidate da strategie e linee guida specifiche. Si ricorre a servizi e programmi appropriati, mirati protocolli di prevenzione del crimine e specifica formazione del personale di polizia. Ciò comprende anche la pratica di impiegare residenti aborigeni locali come polizia di comunità: da poco, infatti, è stato istituito l'ufficio di polizia aborigena di Kowanyama. Gli obiettivi di quest'istituzione prevedono il rinforzo della sicurezza comunitaria, il miglioramento della comunicazione tra polizia e comunità, la diminuzione degli arresti tra i residenti. In maniera continuativa si chiedono alla gente opinioni ed idee su come i problemi dovrebbero essere risolti.

C'è grande orgoglio e convinzione circa l'autonomia e la credibilità del justice group di Kowanyama e il suo ruolo si sta estendendo a molti settori. In effetti, la comunità di Kowanyama ha creato un programma innovativo e di successo. I membri del justice group  rimangono comunque piuttosto guardinghi rispetto ad una partecipazione troppo stretta del governo: c'è il timore che ciò potrebbe ridurre il raggio d'azione dei costumi locali e delle pratiche etniche.

Il riconoscimento ufficiale dei successi del justice group è giunto nel 1995 con l'Australian Violence Prevention Award, un premio creato dai capi di governo australiani che rilasciarono al justice group un certificato di merito per il lavoro e soprattutto per i risultati raggiunti: in realtà, dal 1994 in poi, si è registrato un reale declino del numero dei crimini giovanili nella comunità. Il justice group ha dimostrato un grande potenziale anche in altre aree, in particolare nel trattare le questioni giovanili, familiari, le dispute comunitarie. Ma soprattutto a livello familiare, dove le istituzioni formali intervengono in genere troppo tardi. A Kowanyama il justice group è visto come un ente, un'istituzione vicina, che la gente può approcciare per consigli e interventi nelle questioni familiari. Anche la mediazione e la risoluzione delle dispute fanno parte delle funzioni regolari. L'istituzione del justice group fornisce inoltre l'opportunità per una migliore articolazione tra le agenzie di giustizia formale e gli individui che lavorano nella comunità.

Soprattutto dopo la Conferenza sul Diritto Consuetudinario avvenuta a Kowanyama nel luglio del 1997, si riconobbe che il justice group è una istituzione viva. Ovviamente le autorità governative locali negano la possibilità di un sistema legale alternativo e parallelo a quello statale: la convinzione è che in Australia ci debba comunque essere un solo sistema di diritto. Ma la realtà è diversa: le iniziative aborigene locali stanno lavorando in particolare sui giovani per far raggiungere loro un comportamento sociale responsabile, nei modi e nei tempi che il sistema di giustizia giovanile governativo difficilmente potrebbe raggiungere. Le pratiche aborigene di pubblica umiliazione stanno raggiungendo risultati insperati. Ciò che l'esempio di Kowanyama dimostra è l'opportunità di un equilibrio (e, se vogliamo, di un'auspicata riconciliazione) tra istituzioni locali e statali, tra diritto informale e formale.

Gli schemi di giustizia comunitaria incorporano un'ampia varietà d'iniziative le quali possono risultare utili alla comunità, in particolare nel trattare il crimine e i problemi ad esso associati. Ciò può riguardare, com'è stato già accennato, anche i modi tradizionali di risoluzione delle dispute. Si attua così un allargamento delle modalità e tecniche di giustizia, attraverso l'introduzione di metodi di mediazione, risoluzione delle dispute e prevenzione del crimine che sono ispirati dalla tradizione etnogiuridica e dalle pratiche indigene. Questo modello fornisce meccanismi e procedimenti sviluppati dagli indigeni australiani dai quali la più ampia comunità australiana può apprendere elementi innovativi per il proprio sviluppo. Non si tratta semplicemente di sostituire le leggi formali statali con pratiche locali, cosa che potrebbe non essere desiderabile o attuabile, ma di introdurre meccanismi alternativi e complementari che funzionano, permettendo alla comunità l'autonomia e la discrezione, spesso disturbate dall'azione intrusiva di organi esterni.

È successo che alcuni gruppi sociali abbiano applicato i procedimenti e le strutture che hanno trovato utili ed abbiano così adattato le pratiche e i processi di diritto aborigeno a contesti comunitari moderni. Tuttavia ciò non vuol assicurare che si operi una fusione dei due tipi di diritto. Esistono in ogni caso due diritti: il diritto aborigeno con le sue regole, i suoi principi e procedimenti per mantenere l'ordine sociale e risolvere le dispute, e il diritto europeo con le sue leggi codificate, i sistemi legali, le istituzioni.

I justice groups ritengono che ci siano modi, e per questo lavora, per i due sistemi di coesistere. Il governo del Queensland ora affronta la sfida di rispondere alle esigenze crescenti della comunità per supportare le opportunità d'autogoverno nel sistema giuridico. Ancora oggi comunque le risposte degli enti governativi rimangono inconsistenti e mutevoli. Spesso vi è contraddizione nei programmi e nei risultati. L'opinione ricorrente è, per esempio, che il justice group è accettato nelle questioni familiari e giovanili, ma sempre ritenendo che in generale il sistema di diritto statale debba in ultimo grado prevalere.

La diversità e l'integrità delle misure introdotte a Kowanyama suggeriscono che il modello va ben oltre un semplice "ritorno alle vie aborigene". È importante capire le direzioni da seguire nella gestione di programmi di giustizia locale autoctona: importante soprattutto affinché non si commettano errori fatali nell'adattare semplicemente, e senza un criterio per così dire "adattivo", principi e istituzioni tradizionali a realtà aborigene oramai considerate "complesse". Complesse nel senso che sono teatro di convivenze di elementi tradizionali, moderni e post-moderni[10], di stratificazioni giuridiche e culturali in genere.

 Lo studio effettuato da Paul Chantrill nella comunità di Kowanyama, dimostra quanto sia importante il lavoro di consultazione e l'impegno della comunità nello sviluppo e nell'operazione di forme e programmi di giustizia alternativa. Kowanyama dimostra che la comunità ha la possibilità di operare direttamente e responsabilmente delle scelte nell'amministrazione della giustizia. È un esempio d'autogoverno raggiunto sulla base dell'assistenza minima da parte del governo.

Sebbene siano considerati fattori importanti sia il supporto che il riconoscimento degli enti governativi formali, l'elemento comunque più rilevante, dal punto di vista etnogiuridico, rimane senza dubbio il rispetto e la rivalutazione del patrimonio culturale aborigeno. Ai danni causati dalla conquista e dalla colonizzazione europea si può in un certo modo oggigiorno riparare (seppur in parte) offrendo una reale possibilità alle popolazioni indigene di riscoprire e riattivare, adattandolo alle nuove esigenze e vicende storiche, il proprio patrimonio culturale ed etico.

Ancor oggi, in Australia, si ritiene che la protezione della cultura indigena sia un'esclusiva responsabilità governativa, ma abbiamo visto quanto invece sia fondamentale il meccanismo d'autogestione della giustizia autoctona, soprattutto sulla base di un lavoro di consultazione popolare su cosa sia realmente, oggi, importante per una specifica comunità, quali siano i valori considerati "desiderabili" e quali gli schemi culturali sui quali un gruppo sociale intende intessere le sue istituzioni.

[1] Si ringrazia il Dr. Luca Melchionna per la cortese supervisione degli aspetti propriamente giuridici di questo elaborato.

[2] Kymlicka W., La cittadinanza multiculturale, Il Mulino, 1999.

[3] Per fare una premessa di carattere squisitamente antropologico, bisogna ricordare l'importanza delle ricerche etnoantropologiche effettuate presso e sugli aborigeni dell'Australia: si approfondirono proprio grazie a tali studi le teorie sul totemismo, sul tabu, sull'esogamia, sul matrimonio. Una terra così "lontana" e remota (almeno dal punto di vista europeo) è stata palcoscenico di numerose ricerche che fanno oramai parte della letteratura della disciplina: per tutte valgano i lavori di Radcliffe-Brown, il quale studiò soprattutto l'organizzazione sociale australiana.

[4] Newman C., Bentornati aborigeni, La Repubblica delle Donne, n. 196, 11 aprile 2000.

[5] Newman C., op. cit.

[6] Newman C., op. cit.

[7] Circa la questione delle rivendicazioni tribali di territori vedi il capitolo intitolato "Identità a Mashpee" all'interno di I frutti puri impazziscono di James Clifford, Bollati Boringhieri.

[8] Seaman P., Providing a sustainable economic land base for aboriginal populations, paper presentato alla Terza Conferenza Nazionale su Immigrazione e Popolazione il 23 febbraio 1995, nella città di Adelaide.

[9] Questa ricerca è stata condotta dal Dr. Paul Chantrill, contattato da chi scrive e dimostratosi d'accordo che i propri lavori fossero tradotti, elaborati e divulgati in questa Sezione d'Antropologia del diritto. I risultati della sua ricerca presso la comunità di Kowanyama furono raccolti in un paper presentato, nel settembre 1997, in una serie di seminari organizzati dall'Istituto Austrialiano di Criminologia.

Paul Chantrill, dal maggio 1996, è ricercatore presso il Centro per la Ricerca negli Studi Aborigeni e Multiculturali nell'Università del New England, Armidale, Nuovo Galles del Sud. Fino al 1996 ha collaborato, ricoprendo varie posizioni politiche, con l'Ufficio del Governo del Queensland per gli Affari degli Aborigeni e degli Isolani dello Stretto di Torres e l'Ufficio del Dipartimento del Primo Ministro.

[10] Motta R., L'addomesticamento degli etnodiritti, Unicopli, 1994.