inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2001

Dal funzionario di prefettura al funzionario di governo: la riforma della carriera prefettizia

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di C. Silvestro (vice prefetto aggiunto)

 

Il corpo professionale prefettizio è tradizionalmente costituito da personale in regime di diritto pubblico ordinato in carriera, cioè secondo una scala di qualifiche o gradi posti in progressione di merito e anzianità, nella quale l’avanzamento è subordinata alla presenza di posti disponibili nel grado superiore. Il mantenimento di tale assetto anche dopo la riforma del pubblico impiego del D.Lgs. 29/1993 ha comportato la sottrazione della carriera alla contrattualizzazione (e alla connessa negoziazione), tratto, invece, caratterizzante la disciplina comune del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

A distanza di quasi un decennio da quella scelta, il D.Lgs. 19 maggio 2000, n. 139 (“Disposizioni in materia di rapporto di impiego del personale della carriera prefettizia, a norma dell’articolo 10 della legge 28 luglio 1999, n. 266”), segna una svolta nel quadro giuridico-ordinamentale della carriera, riconoscendo che la specialità non deriva più esclusivamente dalle funzioni e dai compiti di ordine e sicurezza pubblica svolti bensì, in primis, dalle funzioni di rappresentanza generale del Governo e di garanzia assegnate al prefetto.

A differenza, poi, dei “cugini” diplomatici, che già contavano su un ordinamento compiuto, ancorché risalente al 1967 (recentemente novellato dal D.Lgs. n. 85/2000), i funzionari prefettizi non disponevano finora di un proprio, organico e concluso, corpus normativo. Ciò è quanto realizzato dal D.Lgs. in commento, ispirato da una filosofia profondamente innovativa.

Il disegno del legislatore delegato è, infatti, centrato sulla piena affermazione del principio (autentico proprium dei grandi corpi burocratici) dell’unitarietà giuridica, economica e funzionale della carriera.[1] Scompare, così, la dicotomia fra direttivi e dirigenti all'interno del corpo prefettizio, mentre viene sottolineata “la condivisione di funzioni per la prima volta definite per tutti come dirigenziali”[2] (cfr. l’art. 1, comma 1, del decreto, rubricato “Funzioni prefettizie, che recita testualmente: “la carriera prefettizia è unitaria in ragione della natura delle specifiche funzioni dirigenziali attribuite ai funzionari che ne fanno parte”). L’unitarietà della carriera e, dunque, dell’ordinamento, “è strettamente correlata alla intrinseca unitarietà dell’azione complessivamente svolta da tutto il personale prefettizio, pur nella graduazione delle responsabilità connesse alla qualifica rivestita da ciascun funzionario”[3].

Si è operata, a seguire, una netta semplificazione dell’articolazione delle qualifiche di funzione: solo tre - prefetto, viceprefetto e viceprefetto aggiunto[4] - più quella (d’ingresso) di consigliere, attribuita per i due anni del periodo di formazione iniziale (art. 2.). Tali qualifiche sono correlate al livello di responsabilità connesso allo spessore della competenza assegnata e della esperienza maturata. Nella loro articolazione, di fatto, si è seguito il primo modello della dirigenza statale (primo dirigente, dirigente superiore e dirigente generale). Le specifiche funzioni conferibili a ciascuna qualifica sono indicate nella allegata tabella B, che reca, altresì, la rideterminazione della dotazione organica della carriera, riducendo i posti a 1746[5].

Nello stesso tempo, il decreto apre le porte ad una complessiva reingegnerizzazione dei ruoli attualmente svolti, coerentemente all’appiattimento e accorciamento della struttura organizzativa operato con il compattamento dei quadri della carriera in posizioni (tutte) dirigenziali. Il meccanismo dell’individuazione, con decreto del Ministro dell’Interno, dei posti di funzione da attribuire ai viceprefetti e ai viceprefetti aggiunti, nell'ambito degli uffici centrali e periferici dell'amministrazione dell'interno (cfr. l’art. 10, infra), consente, infatti, una attenta calibratura dei ruoli organizzativi assegnati a ciascuna figura dirigenziale e delle loro modalità di interazione[6], secondo principi di efficienza e efficacia. La norma si preoccupa di precisare che, negli uffici individuati, la provvisoria sostituzione del titolare in caso di assenza o di impedimento è assicurata da altro funzionario della carriera prefettizia (in pratica, uno scavalco). In relazione al sopravvenire di nuove esigenze organizzative e funzionali, e comunque con cadenza biennale, si provvede, sempre con DM, alla periodica rideterminazione dei posti di funzione.

La prospettiva è quella della realizzazione di una compiuta figura di funzionario “di governo”, con una specifica identità e una spiccata vocazione generalista[7]. Lo conferma ancora l’art. 1, laddove precisa che “al fine di garantire un adeguato svolgimento dei compiti di rappresentanza generale del Governo sul territorio, di amministrazione generale e di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica affidati alla carriera, il suo ordinamento è regolato dal presente decreto e, in quanto compatibili, dalle disposizioni contenute nel decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni”.

Obiettivo del riordino della carriera è, quindi, quello di assicurare maggiori livelli di funzionalità rispetto ai rinnovati compiti di amministrazione generale assegnati al Ministero dell’Interno e agli Uffici territoriali del Governo (gli UTG, le nuove strutture del Governo sul territorio eredi delle prefetture; cfr. l’art. 11 del D.Lgs. 300/1999 e il d.P.R. 287/2001)[8]. La concentrazione della carriera prefettizia sulle funzioni “di governo” comporta, al contempo, la definizione degli spazi riservati alle altre figure presenti nell’ambito del ministero, specie i funzionari contrattualizzati dell’area C, cui occorre dare una diversa visibilità nell’organizzazione degli uffici, rinnovandone il ruolo di gestione dei servizi tipico del funzionario tecnico -specialista[9].

L’evidenziazione delle funzioni e dei compiti complessivamente esercitati dal personale della carriera prefettizia (in base ai quali misurare le risorse umane necessarie e la definizione dei modi di selezione, reclutamento, formazione e avanzamento) trova espressione nella catalogazione fornita dalla tabella A allegata al decreto.

Pur senza seguire un criterio di puntuale elencazione, che avrebbe irrigidito il provvedimento e creato difficoltà applicative, la tabella individua sette tipologie di funzioni come aree di pertinenza prefettizia. In accoglimento del parere formulato dalla I^ Commissione della Camera sullo schema del decreto, sono state significativamente anteposte, nell’ordine espositivo della tabella, le attività di rappresentanza dello Stato sul territorio, di collaborazione a favore degli enti locali nonché delle regioni, di coordinamento degli uffici periferici dello Stato, di raccordo delle attività statali in sede locale e di promozione della cooperazione tra le pubbliche amministrazioni. Seguono i compiti attinenti all’esercizio delle funzioni del commissario del Governo, alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, alla difesa civile e alla protezione civile, alla regolare costituzione degli organi elettivi degli enti locali, alla loro funzionalità e ai servizi statali gestiti dai comuni, alla garanzia della legalità amministrativa, alla tutela dei diritti civili e di cittadinanza, nonché al governo dei problemi dell’immigrazione, delle zone di confine e delle minoranze etniche, alla mediazione dei conflitti sociali ed alla salvaguardia dei servizi essenziali, ecc.[10]. Da segnalare, in particolare, l’area funzionale connessa all’attività sanzionatoria degli illeciti depenalizzati, “che vede riconoscere al Prefetto [e ai funzionari della carriera] quel suo ruolo di terzietà sino a configurarlo in una posizione giustiziale da alcuni definita addirittura paragiurisdizionale”[11]. Adeguata sottolineatura merita anche la funzione di raccordo sul territorio delle iniziative di rilievo internazionale e di cura delle relazioni con gli organismi dell’Unione europea, che già caratterizza, ad esempio, l’attività dei Comitati provinciali Euro o degli info point Europa operanti presso le prefetture.

La seconda novità di rilievo è l’introduzione di un procedimento negoziale di settore per la definizione di alcuni aspetti giuridici ed economici del rapporto d’impiego di tutto il personale appartenente alla carriera, prefetti inclusi. Ciò rappresenta un deciso mutamento culturale per un ambiente finora segnato dal crisma dell’assoluta unilateralità della disciplina, a conferma della forza espansiva della negoziazione fra la pubblica amministrazione e i suoi dipendenti.

Il procedimento negoziale regolato dal capo II del D.Lgs. n. 139/2000 (artt. 26-32) ha ad oggetto la regolamentazione della prestazione di lavoro (congedi, aspettative. permessi, reperibilità, orario di lavoro); il trattamento economico; l’individuazione di misure aggiuntive idonee a favorire la mobilità di sede; le aspettative e i permessi sindacali (materie tutte specificatamente indicate dall’art. 28). Viene ripreso, sostanzialmente, il modello delineato dalla legge quadro sul pubblico impiego (legge n. 93/1983). Le trattative si svolgono, infatti, tra una delegazione di parte pubblica (composta dal Ministro per la funzione pubblica, che la presiede, e dai Ministri dell’Interno e del Tesoro) ed una delegazione delle organizzazioni sindacali rappresentative del personale della carriera prefettizia, individuate con decreto del Ministro per la funzione pubblica (secondo “i criteri generali in materia di rappresentatività sindacale stabiliti per il pubblico impiego”, rinvio, peraltro, dinamico). La negoziazione non ha quindi sede presso l’ARAN, come avviene per i contratti collettivi del personale privatizzato. Inoltre, per la carriera prefettizia, non essendo prevista la costituzione delle rappresentanze unitarie del personale, ai fini del calcolo della rappresentatività rileva esclusivamente il dato associativo. Non trova, quindi, applicazione (per la determinazione della “soglia” del 5%, comune denominatore di tutto il pubblico impiego) il criterio “misto” della media tra il dato associativo, accertato in base alle deleghe per il versamento dei contributi sindacali, e quello elettorale, rilevato tramite la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale (RSU)[12].

Definita e sottoscritta l’ipotesi di accordo[13], la nuova disciplina viene recepita con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. La disciplina ha durata quadriennale per gli aspetti giuridici e biennale per quelli economici. Ad accordi decentrati, invece, è assegnato il compito di individuare esclusivamente criteri applicativi delle previsioni del d.P.R., senza comportare alcun onere aggiuntivo (cfr. il comma 6 dell’art. 29). L’art. 26, comma 4, del D.Lgs. n. 139/2000 precisa, inoltre, che “nei casi in cui le disposizioni generali sul pubblico impiego rinviano per il personale del comparto dei ministeri alla contrattazione collettiva e si verte in materie diverse da quelle indicate nell’art. 28 e non disciplinate per il personale della carriera prefettizia da particolari disposizioni di legge, per lo stesso personale si provvede, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative, con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, adottato ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400”.

Il meccanismo è, quindi, analogo a quello previsto per il personale del c.d. «comparto sicurezza» (forze di polizia e militari) e per i diplomatici, configurandosi una sorta di delegificazione condizionata al buon esito del procedimento negoziale ( in mancanza di previo accordo si potrebbe, infatti, procedere solo attraverso una legge). Da segnalare che il primo accordo negoziale è già stato siglato il 9 maggio 2001, mentre il d.P.R. di recepimento, il n. 316 del 23 maggio 2001, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 4 agosto 2001, n. 180.

L’effetto innovativo della complessiva reingegnerizzazione della carriera è assolutamente evidente.

Per quasi un decennio, l’esclusione dalla “privatizzazione” disposta dal legislatore del 1993 in sede di riforma del pubblico impiego[14] ha, nei fatti, determinato un “vuoto” giuridico, un gap nell’adeguamento dello statuto della carriera, ormai palesemente carente degli strumenti, professionali ed economici, necessari a rinnovarne il ruolo.[15]

Il funzionario prefettizio avvertiva di trovarsi – è stato felicemente sintetizzato - “ancora in una situazione anfibola. Si sente, perché nelle funzioni lo è veramente, parte di una élite amministrativa, ma è essenzialmente regolamentato per lunga parte della sua carriera secondo le regole della generalità del pubblico impiego e del modello equiparato, fra cui la frattura ordinamentale tra dirigente e direttivo, sebbene vi sia spesso nei fatti riconosciuta l’intercambiabilità dei ruoli”[16].

Il d.P.R.. 24 aprile 1982, n. 340, recante “Ordinamento del personale e organizzazione degli uffici dell’amministrazione civile del Ministero dell’Interno” (emanato in attuazione dell’articolo 40 della legge 1 aprile 1981, n.121, regolamentante il nuovo ordinamento della pubblica sicurezza), si limitava, in effetti, a dedicare un capo, il II, al “personale indicato nella tabella I” (comprendente il personale della carriera prefettizia e quello della carriera, di nuova istituzione, di ragioneria, successivamente privatizzata). Tale normativa dettava specifiche disposizioni relativamente ad accesso, progressione di carriera, trattamento economico e conferimento delle qualifiche dirigenziali, ma per tutte gli altri aspetti operava un generico rinvio alle disposizioni vigenti in materia di pubblico impiego (ossia sostanzialmente al TU n. 3/1957).

L’ordinamento del 1982 risultava non solo parziale ma anche derivato da quello delle forze di polizia. L’equiparazione si è “sviluppata attraverso un complesso sistema di scatole cinesi, fino a diventare occasione di una sorta di subordinazione all’ordinamento militare e di polizia. In termini generali, questa forma di agganciamento ha costituito un aspetto decisamente insolito nelle democrazie occidentali”[17]. L’appiattimento sul modello di polizia era palese già nella individuazione delle qualifiche della carriera prefettizia, articolata, per la parte direttiva, in quattro steps per mantenere la corrispondenza con i ruoli direttivi della polizia di stato, mentre la stessa retribuzione dei funzionari prefettizi era ottenuta per derivazione da quella. Con l’introduzione di un meccanismo negoziale per le forze di polizia, nell’ambito del cd. “comparto sicurezza” (procedimento cui gli appartenenti alla carriera prefettizia rimanevano estranei), il sistema ha evidenziato ancor di più i difetti di origine.

Come è stato osservato “l’aver modellato l’intero assetto organizzativo in base ai principi contenuti nella legge n. 121 del 1981 – se da un lato è stata una strada obbligata – ha finito per creare una sorta di sovraordinazione degli apparati di pubblica sicurezza rispetto agli altri”. Non meraviglia, quindi, che “da un lato, le ipotesi di riforma avanzate in questi ultimi anni sono state orientate, nella quasi totalità dei casi, a riequilibrare le competenze dell’amministrazione dell’interno e riaffermarne la vocazione generalista”[18]; dall’altro, e conseguentemente, “si è tornati ad individuare nella carriera prefettizia e nell’attività del prefetto lo strumento idoneo per orientare e sviluppare il cambiamento”.[19]

Il D.lgs n. 139 sviluppa la prospettiva finora tracciata con tutta una serie di interventi, finalizzati a modernizzare e razionalizzare l’assetto della carriera prefettizia.

L’art. 4 del D.Lgs. n. 139 conferma come unica modalità di accesso alla carriera quella del concorso per la qualifica iniziale (dalla rigorosa selezione; almeno quattro le prove scritte), senza possibilità di immissione dall’esterno fatto salvo quanto previsto per la nomina a prefetto[20]. La novità è, invece, rappresentata dalla estensione dei titoli di laurea utili ai fini della ammissione al concorso anche a quelli ad indirizzo economico e storico-sociologico. Rispetto al tradizionale bacino giuridico, una più ampia area di attingimento può certamente garantire una maggiore versatilità della categoria nello svolgimento della pluralità dei compiti assegnati.[21]

Una cura particolare è dedicata alla formazione iniziale (i vincitori del concorso dovranno seguire un corso iniziale di formazione della durata di due anni, articolato in periodi alternati di formazione teorico-pratica e di tirocinio operativo) e a quella permanente. Sono espressamente previsti: un corso di accesso alla qualifica di viceprefetto, corsi periodici di aggiornamento che ogni funzionario deve frequentare almeno una volta l’anno, e, infine, corsi volti al perfezionamento professionale dei viceprefetti (cfr. l’art. 6). Ciò comporta il rafforzamento delle funzioni dello specifico istituto di alta formazione già esistente, la Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno (cfr. anche il D.Lgs n. 287/1999). Il comma 2 dell’art. 6 prevede, comunque, la possibilità di integrare i percorsi formativi effettuati presso la suddetta Scuola Superiore con esperienze di formazione presso altri enti o scuole pubbliche o private, in Italia o all’estero[22].

Tassello centrale della nuova disciplina è, poi, la previsione dell’individuazione, nell’ambito dell’organizzazione degli uffici dirigenziali, dei posti di funzione da conferire ai funzionari della carriera prefettizia (art. 10). Viene, così, superata la tradizionale identificazione del soggetto titolare dell’ufficio - prefettura o ufficio centrale – quale attributario di tutte le relative funzioni. Tale impostazione rendeva i subordinati meri destinatari di deleghe, con cui le figure apicali assegnavano le funzioni che non potevano svolgere personalmente. L’art. 14 (“Attribuzioni del funzionario prefettizio”) conferma, ulteriormente, gli ampi e qualificati spazi di autonomia decisionale attribuiti ai responsabili delle unità operative, non solo sui provvedimenti ma anche sulla organizzazione degli uffici e sulle modalità di erogazione dei servizi. Viene, infatti, precisata la titolarità, in capo a viceprefetti e viceprefetti aggiunti, della competenza ad adottare i provvedimenti e le iniziative connessi alle aree funzionali cui vengano preposti, come pure dei compiti di organizzazione interna degli uffici e di direzione, indirizzo e coordinamento delle minori articolazioni di servizio poste alle loro dipendenze. Tale disciplina rappresenta la base ideale per l’affermazione di una organizzazione per processi, in luogo della precedente struttura gerarchico –funzionale.

Individuati i posti di funzione con decreto del Ministro dell’interno[23], il conferimento dei relativi incarichi avviene a tempo determinato, per un periodo non inferiore ad uno e non superiore a cinque anni, prorogabile per una volta[24]. L’incarico può essere revocato “per sopravvenute esigenze di servizio” o a seguito dell’esito negativo della verifica dei risultati (art. 23)[25], ovvero terminare anzitempo per la peculiare previsione dell’articolo 12, comma 4, secondo il quale “gli incarichi di vice prefetto vicario e di capo di gabinetto negli uffici territoriali del governo e gli incarichi di diretta collaborazione con i capi di dipartimento sono conferiti dal prefetto o dal capo del dipartimento all’atto dell’assunzione delle relative funzioni”. Si tratta di una forma di spoils system “amministrativo”, che dovrebbe garantire “al titolare della struttura la possibilità di affidare l’espletamento di tali particolari funzioni a persone con le quali vi sia quella piena condivisione di obiettivi e di strategie che è alla base di una fruttuosa collaborazione”[26]. Quanto alla predisposizione di strumenti di change managment, un timido tentativo di “ammortizzazione” è stato realizzato dall’art. 3 del decreto legislativo, che fissa un contingente di 20 unità di funzionari con qualifica di prefetto e di viceprefetto (tra quelli avvalsisi della facoltà di rimanere in servizio al compimento del sessantacinquesimo anno di età) da destinare allo svolgimento di compiti di studio, di consulenza e di ricerca, nonché ad attività valutative, comprese quelle di controllo interno ed ispettive.

Impossibile trascurare, in questo contesto, la necessità di aggiornate regole sulla progressione in carriera, attraverso chiari percorsi alimentati dalla valutazione delle responsabilità assunte e dalle mobilità di sede e di incarico[27]. Il sistema delineato, invero, “non sembra variare molto rispetto alle corrispondenti previsioni del decreto n. 340, rimanendo in sostanza basato su una valutazione comparativa effettuata dal consiglio di amministrazione. Il meccanismo introdotto appare peraltro ancor più complesso e necessiterà sicuramente di interventi chiarificatori per disegnare in modo coerente e, possibilmente, trasparente la sfera di attribuzione dei diversi organi cui è affidata la valutazione dei funzionari (funzionari di grado superiore, direzione del personale, commissione per la progressione in carriera, consiglio di amministrazione)”.[28] L’elemento di novità è rappresentato dall’istituzione (art. 17) della commissione per la progressione in carriera, presieduta da un prefetto scelto tra quelli preposti alle attività di controllo e valutazione di cui al D.Lgs. n. 286/1999, che opera, stando alla lettera del decreto, con un ruolo meramente consultivo/propositivo rispetto al consiglio di amministrazione, cui sono lasciate le scelte definitive. L’art. 16, che disciplina le modalità di valutazione annuale (utili tanto ai fini del percorso di carriera quanto della verifica dei risultati) introduce, poi, quale punto di partenza della procedura, l’elaborazione di una relazione sull’attività svolta da parte del funzionario interessato, conformemente a quel criterio del contraddittorio già realizzato per la dirigenza contrattualizzata (cfr. il D.Lgs. n. 286/1999).

Di forte impatto è, anche, la scelta di dettare specifiche disposizioni per la nomina a prefetto. Per i funzionari di carriera, tale nomina è ora subordinata ad una valutazione di idoneità sancita da un'apposita commissione consultiva, nominata dal Ministro dell’interno su designazione del consiglio di amministrazione. È in quest’area di “prefettibili” che il Ministro dell’Interno sceglierà in vista della sua proposta al Consiglio dei ministri. (cfr. l’art. 9 del D.Lgs. n. 139/2000). L’individuazione dei funzionari aventi la qualifica di vice prefetto ritenuti idonei alla nomina a prefetto è operata “nella misura non inferiore a due volte il numero dei posti disponibili”. Punto debole di questo meccanismo è che non viene determinato alcun tetto massimo, come è stato, invece, opportunamente previsto (solo 1/3 del personale) per l’attribuzione, da parte della commissione per la progressione in carriera, di un punteggio superiore a 80/100 in sede di valutazione annuale dei viceprefetti aggiunti (cfr. l’art. 16, comma 3).

Ulteriori elementi qualificanti la riforma sono: l’attenzione alla mobilità di sede (art. 15), consueto elemento distintivo del corpo prefettorale da incentivare con facilitazioni economiche e logistiche[29]; la copertura assicurativa, garantita dall’amministrazione, del rischio di responsabilità civile (art. 22); la nuova definizione del trattamento economico (artt.19 –21). Quest’ultimo, a carattere onnicomprensivo, viene articolato in tre voci: una componente stipendiale di base, una retribuzione di posizione (correlata alle posizioni funzionali ricoperte e agli incarichi e responsabilità esercitati, da graduare con DM) e una retribuzione di risultato, da attribuire “tenendo conto dell'efficacia, della tempestività e dell'efficienza del lavoro svolto”. I criteri tracciati dalla l. 266/1999 e dal D.Lgs. n. 139 per individuare il trattamento fondamentale e accessorio delle tre nuove qualifiche sono quelli della parametrazione rispetto alla figura apicale (prefetto) e della perequazione: il primo finalizzato ad individuare un equilibrio “verticale” fra i tre trattamenti economici, il secondo un equilibrio “orizzontale” con la dirigenza ministeriale contrattualizzata.

Il riposizionamento della carriera prefettizia consente, peraltro, di immaginare più incisive forme di circolarità con le professioni pubbliche e gli altri grandi corpi, come già realizzato in talune esperienze europee, soprattutto in Francia. La carriera prefettizia è sempre stata caratterizzata da una spiccata presenza “trasversale” nelle diverse realtà amministrative, attraverso incarichi, fuori ruolo o comandi. Il D.lgs di riforma è intervenuto anche su questo versante. L’art. 25 (“Comando e collocamento fuori ruolo”) prevede che, fermi restando i comandi ed i collocamenti fuori ruolo previsti da disposizioni speciali, i funzionari della carriera prefettizia possono essere collocati in posizione di fuori ruolo, nel limite massimo di trenta unità, presso gli organi costituzionali, le altre amministrazioni dello Stato, gli enti pubblici e le autorità indipendenti, in relazione anche ad esigenze di coordinamento con i compiti istituzionali dell'amministrazione (il procedimento resta regolato dagli articoli 56, 57, 58 e 59 del dPR n. 3/1957, e successive modificazioni, e dalle relative disposizioni di attuazione). Ai prefettizi possono, inoltre, essere conferiti incarichi di funzioni dirigenziali nelle amministrazioni dello Stato con le modalità di cui all'articolo 19, comma 6, del D.Lgs. n. 165/2001 (ossia nella quota del 5% di incarichi conferibili ad esterni al ruolo unico dei dirigenti dello Stato), nonché, entro il limite massimo di dieci unità, incarichi di direttore generale (city manager) negli enti locali[30]. Per la durata dell'incarico il funzionario è collocato in aspettativa senza assegni, con riconoscimento dell'anzianità di servizio. In tutti i casi menzionati, il servizio prestato (sempre relativo a funzioni dirigenziali, attribuzione caratterizzante tutti i funzionari della carriera prefettizia) è equiparato a quello delle analoghe posizioni funzionali presso gli uffici centrali e periferici dell'amministrazione dell'interno (fermi restando i requisiti minimi di servizio previsti per il passaggio alla qualifica di viceprefetto; cfr. artt. 7-8). L’art. 12 del decreto precisa, poi, che resta ferma per i viceprefetti e viceprefetti aggiunti la possibilità del conferimento di incarichi commissariali, cui aggiunge l'espletamento “di incarichi speciali conferiti con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri o del Ministro competente in relazione alla natura dell'incarico, d'intesa con il Ministro dell'interno”.

In conclusione un’ultima notazione. Per la realizzazione piena della riforma della carriera mancano tuttora all’appello molti dei provvedimenti di attuazione previsti da specifiche norme del d.lgs. n. 139: dal decreto ministeriale contenente le disposizioni relative al procedimento di valutazione comparativa di viceprefetti e viceprefetti aggiunti (art. 8, comma 1) a quello volto a definire le modalità di notifica dei posti di funzione disponibili e delle relative sedi di servizio (finalizzata a consentire ai funzionari di manifestare la disponibilità ad assumerli; art. 13, comma 2); dal regolamento relativo all’accesso alla carriera (art. 4, comma 2) al d.m. sulle modalità di valutazione annuale dei risultati conseguiti (art.21, comma 1). Sul versante delle relazioni sindacali, è, invece, in dirittura d’arrivo il regolamento per la disciplina degli istituti di partecipazione sindacale espressamente previsto dall’art. 70, comma 9 del D.Lgs. n. 165/2001.


[1] Immancabile nei corpi burocratici costituenti elites amministrative è, altresì, la valorizzazione dei singoli perché legati tra di loro dalla coesione della medesima appartenenza (lo spirito di corpo, da sempre particolarmente intenso nella carriera prefettizia).

[2] C. Mosca, Una nuova identità per il funzionario di governo della carriera prefettizia, in Instrumenta, n. 11/2000, 356.

[3] Così la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 139/2000.

[4] La riforma avrebbe potuto più incisivamente puntare a due sole qualifiche (prefetto e viceprefetto), prospettiva che appare, de iure condendo, da sviluppare. Escludendo i prefetti, di una carriera già ora sostanzialmente articolata in una qualifica funzionale unica, anche se distinta in due “tronconi” (“che significato dare [altrimenti] alla parola aggiunto?”), parla, seppur criticando tale soluzione, A. Buoncristiano, Il decreto legislativo recante il nuovo ordinamento della carriera prefettizia, in Amministrazione pubblica, n. 14-15/2000, 105. Da valutare, poi, l’opportunità dell’introduzione della figura del prefetto aggiunto, alla francese. Su quest’ultima ipotesi è stato osservato che “almeno nelle aree metropolitane, alcune specifiche tematiche, per il forte impatto sociale, impongono la cura da parte di un prefetto a tempo pieno, il quale, pur con la necessaria sintonia con il titolare dell’Ufficio territoriale del Governo, dovrà essere dotato di autonomia per affrontare proficuamente così vaste questioni” (S. Malfi, L’individuazione dei posti di funzione per la carriera prefettizia, in Amministrazione pubblica, n. 14–15/2000, 142).

[5] In relazione all’eventuale sopravvenire di esigenze connesse all’attuazione dei D.Lgs. nn. 300 e 303 del 1999 è previsto che tale tabella (come pure quella A, relativa ai compiti attribuiti alla carriera) possa essere modificata con regolamento governativo, salvo che per quanto riguarda la dotazione organica. Gli organici della carriera prefettizia risultano, quindi, determinati direttamente da norme di rango primario. Il D.Lgs. n. 29/1993, infatti, nel delegificare in via generale la materia – stabilendo, all’art. 6, una specifica procedura “amministrativa” di determinazione degli organici – ha mantenuto ferme per alcune amministrazioni, tra cui l’Interno, “le particolari disposizioni dettate dalle normative di settore” (cfr. ora l’articolo corrispondente del D.Lgs. n. 165/2001).

[6] Devono, invero, essere distinti i compiti dei manager dirigenti titolari di unità organizzative – managemet generale, di processo, specifico (capi di staff) e di progetto – da quelli dei professional, dirigenti in posizione di staff. Cfr. amplius S. Scarcella, Le tecniche di Project Management in Prefettura: alcune esperienze concrete, tesi presentata alla Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno, anno accademico 2001.

[7] Già dieci anni fa, Sabino Cassese si interrogava se “le amministrazioni saranno dominate, in futuro, da specialisti, erogatori di servizi, oppure c’è ancora posto per funzionari generalisti”. L’A evidenziava che “la pluralizzazione delle amministrazioni e l’azione degli specialisti lasciano scoperte funzioni indispensabili per gli apparati amministrativi. L’esistenza di più amministrazioni, che lavorano separatamente, innanzitutto impedisce la circolazione delle informazioni che è tanto più necessaria in quanto, se le amministrazioni sono separate, i compiti si sovrappongono. In secondo luogo, la separatezza delle amministrazioni fa sorgere il bisogno di concentrazione, armonizzazione, indirizzo unitario, disegno operativo coordinato. In terzo luogo, gli organismi di gestione sono, di regola, troppo oberati dalle esigenze operative per poterne valutare gli effetti [..] In quarto luogo, nell’amministrazione multiorganizzativa, vi è un crescente bisogno delle funzioni di appoggio tecnico, di sostituzione e di arbitrato”. Un ulteriore riflessione sottolinea che “le elites amministrative esistono soltanto se hanno competenze intersettoriali, in quanto non siano prigionieri di questo o quell’altro settore di attività” (S. Cassese, Il ruolo del prefetto nella società in evoluzione. Profili storico -istituzionali, in Atti del V convegno di studio Anfaci, 1992, 26 e ss).

[8] Nell’ambito della generale riforma dell’organizzazione del Governo, il Ministero dell’Interno ha visto rafforzata la tradizionale funzione di cura del momento di sintesi di tutti gli affari interni della società italiana, istituzionale e civile. La crescente consapevolezza dell’importanza di strumenti di raccordo e di momenti di collaborazione e di azione coordinata tra i diversi livelli di governo — Stato, Regioni ed enti locali — ha fatto da catalizzatore affinché la missione del Ministero dell’Interno potesse focalizzarsi attorno al presidio delle condizioni di governabilità del policentrico sistema amministrativo disegnato dalle riforme Bassanini, nel segno del principio di sussidiarietà. Di qui la necessità di competenze e professionalità insieme generaliste ed approfondite (pronte ad affrontare una realtà complessa), nonché di strutture aperte e flessibili. Contestualmente al varo del D.Lgs. n. 300/1999, la legge n. 266/1999 ha, quindi, aperto il varco alla modernizzazione e razionalizzazione della carriera prefettizia, delegandone al Governo il riordino e confermandone la delicatezza del ruolo. Sulla recente evoluzione del Ministero dell’Interno cfr. G. D’Auria, Il ministero dell’interno, in Pajno- Torchia (a cura di), La riforma del governo, Bologna, 2000, 217, nonché C. Silvestro, Come cambia il Ministero dell’Interno, in www.diritto.it, Diritto & Diritti – Electronic Law Review e L. Lega, Prospettive di riordino dell’amministrazione periferica dello Stato: il valore aggiunto dell’UTG, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, n. 1/2000, 77. Per il commento alla legge delega si rinvia a G. De Francesco, Il riordino della carriera prefettizia, in www.amcorteconti.it e F. Romano, L’amministrazione periferica dello Stato, in AA.VV., La riforma dell’amministrazione dello Stato, Napoli, 2000, 258.

[9] Nel corso dell’esame dello schema del D.Lgs n. 139, la I commissione del Senato aveva, in particolare, avanzato una richiesta tendente ad impegnare il Governo a prendere in esame la situazione degli appartenenti alla ex carriera direttiva di ragioneria. Sul tema cfr. G. Di Matteo, Riordino della carriera prefettizia: analisi e considerazioni sull'art. 10, comma 1, lett. c), della legge n. 266/1999. Luci, ombre e linee prospettive, in Nuova rassegna, n. 21-22/1999, 2123. Per salvaguardare il contributo di professionalità dei funzionari della ex carriera direttiva di ragioneria attualmente in servizio, nonché per rilanciarne adeguatamente il ruolo, è stato, invero, presentato alla Camera, nella legislatura appena conclusasi, una proposta di legge volta a istituire una nuova, unitaria carriera economica – finanziaria nell’ambito dell’amministrazione civile dell’interno, a latere della carriera prefettizia e sempre con funzioni dirigenziali.

[10] Va osservato che, in accoglimento delle indicazioni formulate dalla 1^ Commissione della Camera, si è ritenuto di confermare la riconduzione esplicita all’ambito delle funzioni prefettizie anche di quelle complementari, in ragione di esigenze di sistematicità organizzativa dell’amministrazione, mentre è stato espunto il richiamo, con una formula residuale, ai compiti non  espressamente riservati ad altri soggetti della pubblica amministrazione.

[11] C. Mosca, cit., 357.

[12] Sul tema cfr. il decreto del Ministro per la funzione pubblica 3 ottobre 2000, nonché il parere del Consiglio di Stato, sez. I, 21 Marzo 2001, commentato da C. Silvestro, La rappresentatività di nuove aggregazioni sindacali: il parere del Consiglio di Stato sull’avvio della negoziazione per la carriera prefettizia, in Diritto&Diritti, luglio 2001 (www.diritto.it).

[13] Prima della sottoscrizione, la delegazione di parte pubblica deve verificare che le organizzazioni sindacali aderenti rappresentino almeno il cinquantuno per cento del dato associativo complessivo.

[14] Paradossalmente, il termine “carriera prefettizia” affiora soltanto con il D.Lgs. n. 29 del 1993, il quale, come è noto, ha escluso dalla “privatizzazione” del rapporto di impiego e dal passaggio della giurisdizione al G.O “il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia”, disponendo che restasse disciplinato “dai rispettivi ordinamenti” (cfr. l’art. 2, comma 4, D.Lgs. n. 29/1993, ora art. 3, comma 1, del D.Lgs. n. 165/2001). Sebbene comunemente si parli di “esclusioni soggettive della riforma, ossia di esclusioni individuate dal legislatore in relazione al nomen di determinate categorie di personale, la ratio della norma risiede in via di principio nella considerazione della peculiarità di determinate funzioni pubbliche. Si tratta, dunque, di valutazioni prettamente oggettive, in virtù delle quali il legislatore ha ritenuto non opportuna la riforma delle fonti di disciplina dei relativi rapporti di pubblico impiego” (F. Panariello, Commento all’art. 2, comma 4, in AA. VV., La riforma dell’organizzazione, dei rapporti di lavoro e del processo nelle amministrazioni pubbliche, in Le nuove leggi civili commentate, n. 5-6/1999, 1077).

[15] Per tutto questo periodo è stato accusato il peso di una strutturazione di tipo tradizionale, distinta in un numero eccessivo di qualifiche (ben otto, dal vice consigliere di prefettura al prefetto di 1° classe), non corrispondenti a effettive differenze di funzione e con rapporti interni fortemente improntati alla gerarchia più che alla direzione e al coordinamento. Questi fattori rischiavano di costituire un handicap insormontabile rispetto alla moderna evoluzione dell’azione di governo, fatta soprattutto di coordinamento delle problematiche e delle azioni, di funzioni di indirizzo, promozione, consulenza, assistenza e monitoraggio e di una costante attenzione per l’area della conoscenza (o meglio dell’intelligence, intesa come capacità di individuare l’intima costruzione, le dinamiche e l’evoluzione possibile dei fenomeni; cfr. P. Cozzoli, L’Intelligence del prefetto e la funzione di governo, in Amministrazione pubblica, n. 8-9-10/1999, 99). In termini organizzativi, occorreva reimpostare l’assetto della carriera per aprirla ai paradigma delle amministrazioni flessibili e delle organizzazioni “piatte”, sullo scenario di una società sempre più esposta a repentine accelerazioni dei processi di innovazione e ristrutturazione.

[16] I. Portelli, La riforma della carriera prefettizia: una nuova filosofia, in Amministrazione pubblica, n. 4/1998, 60.

[17] I. Portelli, cit., 59.

[18] S. Sepe, Per una storia del Ministero dell’interno, in AA.VV., Studi per la storia dell’amministrazione italiana (il Ministero dell’interno e i prefetti), Quaderni SSAI, Roma, 1998, 10.

[19] V. Palumbo, La carriera prefettizia tra vecchio e nuovo ordinamento, in Amministrazione pubblica, n. 14–15/2000, 145. Alla attuale riforma ha contribuito in maniera determinante il rinnovato dinamismo della categoria, innescato dall’esperienza di “Iniziativa ‘92”, “movimento di opinione nato dalla base che determinò un primo strappo nel sistema, dando vita in Anfaci [l’Associazione nazionale dei funzionari dell’amministrazione civile dell’interno] ad un acceso dibattito. [..] Il primo elemento di novità proposto era quello di dibattere in associazione in concreto il tema della riforma. Questa scelta non era da tutti condivisa: ad alcuni sembrava infatti che la presentazione di una lista autonoma distinta dal solito “listone”, che si identificava in un proprio progetto di riforma dell’ordinamento giuridico e del trattamento economico della categoria, introducesse in Anfaci tematiche improprie, troppo diverse da quelle squisitamente istituzionali e culturali che consentivano di “volare alto”. Sembrava in sostanza che i temi istituzionali tradizionalmente discussi in associazione fossero profondamente diversi da quelli proposti dal nuovo movimento, che, pur avendo carattere ordinamentale, sconfinavano in rivendicazioni più propriamente sindacali e rischiavano di spaccare la categoria [..] Si discuteva in sostanza sull’opportunità di mantenere la “specialità”, un po’ affievolita negli anni, della carriera prefettizia, ovvero prospettare soluzioni apparentemente più garantiste, collocando la categoria in uno degli istituendi comparti pubblici, allo scopo di tutelarla soprattutto sul piano economico” (L. Falco, Da Iniziativa ’92 al primo contratto nazionale della carriera prefettizia: Riflessioni su una riforma appena iniziata, dattiloscritto in corso di pubblicazione in Amministrazione pubblica). Nel giugno 1995 nasceva, poi, il Sinpref (Sindacato nazionale funzionari prefettizi), primo sindacato rappresentativo della carriera prefettizia. Con una naturale divisione dei ruoli, Anfaci e Sinpref hanno promosso un ampio dibattito sul modello di riforma da perseguire, alimentando nella categoria la convinzione che le richieste avanzate non erano meramente corporative, ma necessarie per assicurare lo svolgimento di una funzione istituzionale che il paese riconosceva. L’Anfaci ha, inoltre, consapevolmente ricercato una dimensione “continentale” per le tematiche della categoria, concorrendo alla recentissima nascita della Associazione europea dei rappresentanti territoriali dello Stato.

[20] È, infatti, facoltà del Governo coprire con nomine di soggetti estranei alla carriera i 2/5 dei posti di prefetto previsti in organico (cfr. l’art. 236 del T.U. n. 3/1957, norma espressamente fatta salva dal D.Lgs. n.139/2000 assieme a quella dell’art. 42 l. n. 121/1981, relativa alla riserva di posti per l’inquadramento a prefetto dei dirigenti dell’amministrazione della pubblica sicurezza). D’altronde, “per i prefetti, a differenza che per gli altri funzionari politici, la qualifica di “politico” non è propria dell’ufficio, ma si applica al funzionario in ragione del proprio status giuridico, ed è propria per tanto dell’intera categoria dei prefetti” (V. Mazzarelli, voce prefetto e prefettura (dir. vig.), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1985, XXXIV, 964).

[21] Il comma 4 prevede, altresì, la riserva del dieci per cento dei posti nei concorsi di accesso alla carriera prefettizia a favore del personale dell’amministrazione civile dell’interno inquadrato nell’area funzionale C. Il limite superiore di età per la partecipazione al concorso è 35 anni, con un limite massimo di elevazione, in caso di cumulo di benefici, di 40 anni (cfr. il regolamento recato dal decreto ministeriale 29 luglio 1999, n. 357).

[22] La formulazione della norma, che impegna esplicitamente l’amministrazione a realizzare la formazione anche attraverso “altre scuole delle amministrazioni statali”, “soggetti pubblici e privati” nonché “amministrazioni ed istituzioni dei paesi dell’Unione Europea ed organizzazioni internazionali”, è apparsa rispettosa del criterio di delega, che mirava a realizzare una pluralità di ipotesi formative.

[23] Alla stesura di un decreto di individuazione dei posti di funzione lavora una commissione (supportata da un gruppo di lavoro), dopo l’emanazione di un primo DM il 17 marzo 2001, a carattere meramente transitorio e dall’impianto inadeguato (adottato, in pratica, al solo scopo di rendere possibile la stipula del primo accordo negoziale della carriera prefettizia).

[24] Gli incarichi di funzione sono conferiti ai viceprefetti e ai viceprefetti aggiunti, nell'ambito dei dipartimenti e degli uffici equiparati, dal capo del dipartimento o dal titolare dell'ufficio equiparato e, nell'ambito degli uffici territoriali del governo, dal prefetto in sede: Tali soggetti predispongono annualmente un piano di rotazione negli incarichi di funzione. I posti disponibili e le relative sedi di servizio dovranno essere resi noti (con le modalità da stabilire con un apposito DM), al fine di consentire ai funzionari di manifestare la disponibilità ad assumerli.

[25] Tale articolo disciplina anche l’istituto della esclusione da ogni incarico, in maniera analoga a quanto previsto per la dirigenza contrattualizzata. Per i prefetti resta fermo l’istituto del collocamento a riposo per ragioni di servizio (art. 238 del dPR n. 3/1957). Da segnalare, inoltre, l’estensione anche ai viceprefetti dell’istituto del collocamento a disposizione nell’interesse del servizio, già previsto per i prefetti dall’art. 237 del dPR n. 3/1957 (cfr. l’art. 24 del decreto legislativo).

[26] Cfr. la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 139/2000. In tal modo sono state recepite le indicazioni delle I^ Commissioni della Camera e del Senato, contrarie alla previsione del testo iniziale tendente ad introdurre una forma di decadenza tacita dall’incarico in caso di mancata conferma in un periodo di tempo predeterminato.

[27] Solo dopo nove anni e sei mesi di servizio (di cui almeno tre presso gli UTG) ed adeguate esperienze professionali il vice prefetto aggiunto può essere valutato ai fini della promozione alla qualifica di vice prefetto. Viceprefetti e viceprefetti aggiunti sono comunque valutati con cadenza triennale agli esclusivi fini dell’aggiornamento delle posizioni nei ruoli di anzianità (cfr. l’art. 7).

[28] V. Palumbo, cit., 148.

[29] Sull’indennità di trasferimento e sulla precedenza nel trasferimento del coniuge dipendente pubblico cfr. ora la legge n. 86/2001, estensiva di tali istituti ai prefettizi.

[30] Da segnalare, in materia di incarichi “esterni”, una interessante decisione della Corte dei conti (sez. controllo, deliberazione n. 97/1999). La Corte - escludendo che “la facoltà attribuita alla Presidenza del Consiglio dei Ministri di utilizzare, in posizione di fuori ruolo o di comando, personale di Amministrazioni non soggette all'applicazione del D.L.vo n. 29 del 1993 (cfr. art. 31, commi 1 e 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e art. 12, comma 5, del D.L.vo 30 luglio1999, nn. 303), possa comportare la conseguenza dell'applicazione di normative eterogenee nell'adozione dei provvedimenti concernenti la provvista dei titolari degli uffici della Presidenza stessa” – ha affermato che “anche ad ammettere l'inapplicabilità, nel caso di specie, delle disposizioni concernenti la stipulazione di contratti individuali, ad integrazione dei provvedimenti di conferimento di funzioni dirigenziali - resta comunque l'obbligo del rispetto del citato art. 19, comma 2, del D.L.vo n. 29 del 1993 per ciò che concerne l'indicazione, per "tutti gli incarichi di direzione degli uffici delle Amministrazioni dello Stato", del tempo di durata dell'incarico e degli obiettivi da conseguire”. Di tali elementi non vi era alcun cenno nella fattispecie concreta oggetto della pronuncia (un decreto di preposizione di un vice prefetto all'Ufficio dei diritti politici e civili degli italiani all'estero del Dipartimento per gli italiani nel mondo, in qualità di dirigente coordinatore), né potevano desumersi dagli atti del procedimento indicazioni idonee a surrogare gli elementi che la legge rimette alla stipula del contratto individuale. La Corte dei conti ha ulteriormente precisato che “il provvedimento di preposizione all'ufficio, non poteva che essere regolato dalla comune disciplina vigente per le Amministrazioni dello Stato destinatarie delle disposizioni del capo II del decreto legislativo n. 29 del 1993. Ciò non tanto in considerazione del tenore letterale dell'art. 19, comma 2, del citato decreto legislativo - il quale si riferisce a "tutti gli incarichi di direzione degli uffici delle Amministrazioni dello Stato" - ma soprattutto perché il momento della preposizione agli organi dello Stato dei funzionari che ne assumono la titolarità va tenuto nettamente distinto dalla fase della disciplina del rapporto di servizio (cfr. Deliberazione della Sezione del controllo n. 39 del 1999). Il primo momento, infatti, essendo attinente al procedimento di immedesimazione organica, si colloca sul piano del diritto amministrativo ed è preordinato al perseguimento di fini pubblici per i quali valore determinante assume il rispetto dei principi di legalità, imparzialità e buon andamento (v. art. 97 Cost.); e non pare consona a tali principi una eterogeneità di disciplina nell'ambito di una medesima Amministrazione dello Stato in relazione all'aspetto più rilevante dell'organizzazione amministrativa”.