Dal parere
al dpr 327/01 del Consiglio di Stato, Adunanza
Generale del 29.3.2001 - 29.4.01: "L'art 43 mira ad eliminare
la figura, sorta nella prassi giurisprudenziale, della occupazione
appropriativa o espropriazione sostanziale (c.d.
accessione invertita), nonché quella della occupazione usurpativa (alla quale,
per la più recente giurisprudenza, non si applicano le vigenti disposizioni
dell'art. 5 bis della legge n. 359 del 1992, sulla riduzione del quantum dovuto
a titolo a risarcimento del danno).
Come
già sopra osservato, la riforma sembra essenziale, perché l'ordinamento deve
adeguarsi ai principi costituzionali ed a quelli generali del diritto
internazionale stilla tutela della proprietà.
La
Corte europea dei diritti dell'uomo (con la sentenza della Sez.
Il, 30 maggio 2000, ric. 31524/96) ha affermato che
l'istituto, come affermatosi nell'ordinamento italiano, è contrario con l'art.
1 del prot. 1 della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo.
L'art.
43 attribuisce all'Amministrazione il potere di emanare un atto di acquisizione
dell'area al suo patrimonio indisponibile (con la peculiarità che non viene
meno il diritto al risarcimento del danno), in base ad una valutazione
discrezionale, sindacabile in sede giurisdizionale.
Considerato
che in materia di espropriazione, in presenza di un
illecito della pubblica amministrazione (o di un soggetto per legge
equiparato), sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, si
prevede una particolare disciplina sostanziale e processuale, per il caso in
cui il proprietario chieda la tutela del diritto di proprietà, con una azione
petitoria o d'urgenza.
Il
giudice amministrativo può così complessivamente valutare la fondatezza della
pretesa dell'Amministrazione (ad esempio, se in assenza del decreto di esproprio è stato realizzato un marciapiede, non può
escludersi la restituzione dell'area, se vi è un ampliamento dell'altro lato
della strada; cfr. Cons.
Stato, Sez V, 12 luglio 1996, n 874)."
Scopo di questo scritto é quello di valutare gli effetti dell'art. 43 T.U.
soprattutto in riferimento alla disciplina del
risarcimento del danno dovuto al privato che subisce una
"modificazione" di un proprio bene immobile per uno scopo di
"interesse pubblico".
Analizziamo il 1° e 2° Comma dell'art. 43 t.u..
"Utilizzazione senza titolo di un bene per scopi di interesse pubblico
1. Valutati gli interessi in conflitto, l'autorità che utilizza un bene
immobile per scopi di interesse pubblico, modificato
in assenza del valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo
della pubblica utilità, può disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio
indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni
2. L'atto di acquisizione:
A) può essere emanato anche quando sia stato annullato l'atto da cui sia sono
il vincolo preordinato all'esproprio, l'ano che abbia dichiarato la pubblica
utilità di un'opera o il decreto di esproprio;
B) dà atto delle circostanze che hanno condotto alla indebita utilizzazione
dell'area, indicando, ove risulti, la data dalla quale essa si è verificata;
C) determina la misura del risarcimento del danno e ne dispone il pagamento,
entro il termine di trenta giorni, senza pregiudizio per l'eventuale azione già
proposta;
D) è notificato al proprietario nelle forme degli atti processuali civili;
E) comporta il passaggio del diritto di proprietà;
F) è trascritto senza indugio presso l'ufficio dei registri immobiliari;
G) è trasmesso all'ufficio istituito ai sensi dell'articolo 14, Comma 2. "
Sorvolando
sul concetto di "interesse pubblico" e, quindi, sulla
costituzionalità di una norma che consentirebbe un "esproprio
sostanziale" anche al di fuori della pubblica utilità, ciò che in questa
sede preme sottolineare é il dato positivo agevolmente
enucleabile dalla norma: la nascita dell'atto di acquisizione.
E' lui il Killer della occupazione acquisitiva. Il
bene immobile illegittimamente occupato non passa più alla p.a. con effetto
immediato per al irreversibile trasformazione
(illecito istantaneo, secondo la giurisprudenza) ma occorre un atto formale
della P.A., seppure unilaterale: l'atto di
acquisizione.
Le conseguenze
di tale disciplina, ad avviso dello scrivente sono dirompenti, soprattutto in
tema di effetti sulle questioni di risarcimento
pregresse siano esse pendenti che passate in giudicato (anche per la indubbia
retroattività della norma cfr comma 2° punto C)"
determina la misura del risarcimento ........senza pregiudizio per l'eventuale
azione già proposta).
Infatti
la Giurisprudenza ha sempre affermato che (almeno nella occupazione
acquisitiva) il diritto al risarcimento del danno del privato che ha subito
l'occupazione illegittima si prescrive in 5 anni. Ma
da quando decorrevano i cinque anni? Dalla data di irreversibile
trasformazione dell'immobile con la conseguente assegnazione allo scopo di p.u. per cui era avvenuta la occupazione.
Con l'art. 43 T.U., invece,
parrebbe indefettibile un atto formale di acquisizione da parte della p.a.
affinché possa avvenire il trasferimento dell'immobile dal privato all'ente
occupante senza titolo.
Anche perché, recita la norma, l'ente "può" emettere l'atto di acquisizione: nel senso che, valutati gli interessi in
gioco potrebbe ritenere anche conveniente la retrocessione del bene (anche
qualora si fosse verificata quella irreversibile trasformazione che prima era
causa del trasferimento).
Ed il risarcimento danni, precisa la norma, nasce per effetto del provvedimento
"atto di acquisizione".
Sono facili da immaginare le conseguenze della novella. Oggi la prescrizione
del diritto al risarcimento dei danni da occupazione senza titolo decorre, non
più dalla irreversibile trasformazione dell'immobile,
bensì, dalla emissione dell'atto di acquisizione.
Questa interpretazione trova riscontro, ancora, nella lettera della norma che
consente l'acquisizione di un bene anche solo "modificato",
escludendosi, quindi, la necessità di una trasformazione irreversibile
(immaginiamo la occupazione di un area scoperta per il
parcheggio di automezzi), prima necessaria perché potesse verificarsi
l'occupazione acquisitiva.
Ove tale ricostruzione dell'istituto fosse confermata dalla giurisprudenza,
potrebbero nascere diverse problematiche relative ai
rapporti in essere, alle cause pendenti e a quelle passate in giudicato.
Se é vero che due righe del legislatore mandano "a mare" fiumi di inchiostro di dottrina e giurisprudenza é pure vero che i
rapporti od oggi considerati definiti in virtù dell'istituto pretorio
"occupazione acquisitiva" potrebbero ricevere nuova vita dalla
formulazione legislativa dell'istituto occupazione senza titolo.
Mi riferisco soprattutto alle cause definite con il rigetto della domanda di
risarcimento danni (da occupazione acquisitiva) per prescrizione del diritto o
alle situazioni in cui il proprietario non ha proprio dato corso ad una azione perché il diritto al risarcimento danni si
riteneva ormai prescritto.
Ora, in virtù della formulazione dell'istituto previsto dal'art.
43, tutte le occupazioni prive dello "atto di acquisizione"
sono senza dubbio tornate ad essere illegittime, né potrebbe affermarsi che una
dichiarazione di occupazione acquisitiva pretoria
possa prevalere sulla odierna, prima ed unica, regolamentazione dell'istituto
da parte del legislatore.
Né, per le situazioni di occupazione ultraventennali,
potrebbe ipotizzarsi un'usucapione della p.a. (ammissibile forse solo per gli
eventuali privati successivi utilizzatori dell'area espropriata).
Certo é che il diritto al risarcimento nasce dall'atto di acquisizione, inteso
quale strumento alternativo di acquisizione dell'immobile, al di fuori di una
regolare procedura espropriativa e, prestando fede al
tenore della norma, tale strumento é l'unica alternativa alla omessa
espropriazione.
Quindi, sommessamente lo scrivente, ritiene che l'atto di acquisizione
é atto dovuto della p.a. in tutti quei casi in cui ancora detenga un bene
immobile di terzi sulla base della inesistenza o illegittimità della procedura espropriativa.
Il privato può, quindi, ancora sollecitare, l'emissione dell'atto di acquisizione o attraverso l'inizio di uno
"strumentale" procedimento di tipo "petitorio" o attraverso
una formale messa in mora della amministrazione.
A quel punto l'amministrazione "può" emanare l'atto di acquisizione, recita l'art. 43.
Ma il "può" non si riferisce ad una presunta totale discrezionalità
della p.a. di emettere o meno l'atto di acquisizione bensì alla discrezionalità
(l'unica logicamente ed ermeneuticamente derivabile
dalla norma) di emanare l'atto di acquisizione o di retrocedere l'immobile al
privato spogliato. Una interpretazione diversa (nel
senso che il "può" si riferisce ad una totale discrezionalità della
p.a. di emettere, o meno, l'atto di acquisizione) non sarebbe coerente con i
principi generali del diritto di uno Stato di diritto.
Avv. Pietro Martire