inserito in Diritto&Diritti nel ottobre 2003

Le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti dopo la legge 5 giugno 2003, n.131 (legge La Loggia)

di Giuseppe Ginestra - Consigliere della Corte dei conti

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Sommario: 1. Il controllo della Corte dei conti tra collaborazione e responsabilità - 1.1. Controllo e potere di autonomia organizzativa della Corte dei conti - 1.2. Controllo e “sinergie”.  2. La composizione “partecipata” delle Sezioni regionali di controllo - 2.1. Integrazione e terzietà - 2.2. Controllo e pareri a richiesta.   3. Buon andamento e obbligo d’informazione.  4.  Conclusione.

 

1.    Il controllo della Corte dei conti tra collaborazione e responsabilità.

Lo spunto per le presenti considerazioni è dato dalla legge 5 giugno 2003, n.131 (legge La Loggia), recante le disposizioni ordinarie di adeguamento ai principi di cui  - per quanto qui di interesse - all’art. 118 Cost.,  come modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3  che ha  novellato l’intero Titolo V - Parte II  - della Costituzione.

Dalla disciplina contenuta nell’art. 7, commi 7, 8 e 9, della legge La Loggia emerge un rinnovato ruolo della Corte dei conti con riferimento all’intero sistema delle autonomie: infatti, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, alla Corte è affidata la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea.

Nell’ambito di ciascuna Regione,  le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sono chiamate a verificare, in sede di controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti, secondo la rispettiva competenza, dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, nonché la sana gestione finanziaria degli Enti locali e il funzionamento dei controlli interni e, infine, riferiscono sugli esiti delle verifiche esclusivamente ai Consigli degli enti controllati.

Resta ferma la potestà delle Regioni a statuto speciale, nell’esercizio della loro competenza, di adottare particolari discipline nel rispetto delle suddette finalità.

Le Regioni e gli altri enti territoriali, ai fini della regolarità della gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, possono richiedere alle Sezioni regionali di controllo ulteriori forme di collaborazione, nonché pareri in materia di contabilità pubblica.

1.1. Controllo e potere di autonomia organizzativa della Corte dei conti.

Come ben si vede, le novità apportate dalle prefate disposizioni, che si collocano naturaliter nell’ambito concettuale del controllo giuridico avente lo scopo di garantire la tutela di predeterminati valori ed interessi, vanno esplicitamente in direzione della salvaguardia dei principi costituzionali del buon ed imparziale andamento dell’amministrazione, del rispetto degli equilibri di bilancio e dell’armonia della finanza pubblica, riconfermando alla magistratura contabile, quale organo neutrale ed indipendente dello Stato-ordinamento, il ruolo di strumento essenziale per l’attuazione del coordinamento della finanza pubblica, nonché, in funzione della esplicitata natura collaborativa del controllo sulla gestione, ribadendo il metodo dell’adeguamento evolutivo dei parametri di riferimento del controllo attraverso il ricorso a regole non solo di natura giuridica, bensì anche economica, finanziaria, aziendalistica e simili ([1]).

Al riguardo, può risultare utile un breve excursus normativo per ricordare, tra l’altro, che con  l’art.1 della legge n. 241 del 1990 si dispone che l’attività amministrativa deve  perseguire i fini stabiliti dalle leggi secondo criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità e che con il decreto legislativo n. 29 del 1993, contenente disposizioni di razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche, è affermato il criterio della trasparenza nell’organizzazione amministrativa (art. 5), nonché consacrato (art.3) il principio (trasfuso poi nel decreto legislativo n.165 del 2001) della separazione fra indirizzo politico-amministrativo  e attività di gestione ([2]) e, conseguentemente, la netta distinzione delle corrispettive responsabilità ([3]). 

Con le leggi n. 20 del 1994 e n. 639 del 1996, si attua poi la prima vera riforma delle funzioni della Corte dei conti dell’epoca repubblicana, perché, in un quadro di teorica coerenza con i principi dell’INTOSAI Auditing Standards- IAS ([4]), il controllo preventivo di legittimità viene drasticamente ridotto, riservandolo ad alcune limitate categorie di atti, nel mentre, di converso, il controllo successivo sulla gestione del bilancio e del patrimonio è esteso a tutte le pubbliche amministrazioni.

Una riforma di tal fatta comporta, com’è evidente, un’altrettanto radicale opera di riorganizzazione (re-engineering) dei processi decisionali e operativi della Corte dei conti, insomma una complessa e articolata rimodulazione degli assetti strutturali, dei metodi operativi e dei modelli organizzativi, in conformità alle modificate attribuzioni di controllo ([5]).

Ed avendo la legge conferito alla Corte dei conti stessa il potere di autonomia organizzativa (art. 4, legge n. 20/94 cit., in base al quale la Corte delibera con regolamento proprio le norme concernenti l'organizzazione, il funzionamento, la struttura dei bilanci e la gestione delle spese), le Sezioni riunite, nell'adunanza del 13 giugno 1997, adottano il regolamento n. 1/1997 ([6]) concernente l'organizzazione di collegi regionali di controllo e di una sezione per gli affari comunitari e internazionali.

Il potere di autonomia organizzativa è, poi, rafforzato ed ampliato dall’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, il quale dispone che, al fine anche di adeguare l'organizzazione delle strutture di controllo della Corte dei conti al sistema dei controlli interni come disciplinati dal decreto medesimo ([7]), il numero, la composizione e la sede degli organi della Corte dei conti adibiti a compiti di controllo preventivo su atti o successivo su pubbliche gestioni sono determinati dalla Corte stessa, anche in deroga a previgenti disposizioni di legge, nell'esercizio dei poteri ad essa già conferiti dall'art. 4 della legge 20/94 cit.

Da ciò consegue la formulazione del nuovo regolamento per l'organizzazione delle funzioni di controllo approvato dalle sezioni riunite con deliberazione n. 14 /DEL/2000 del 16 giugno 2000 ([8]).

Di peculiare interesse, almeno per quel ne occupa in questa sede, è l’art. 2 del vigente regolamento che istituisce, in ogni regione ad autonomia ordinaria, una sezione regionale di controllo con sede nel capoluogo di regione (co.1).

Le sezioni regionali (che assorbono i collegi regionali e le “vecchie” delegazioni regionali di controllo di cui alla legge n. 1345 del 1961) esercitano il controllo sulla gestione delle amministrazioni regionali e loro enti strumentali ai fini di referto ai consigli regionali, nonché il controllo sulla gestione degli enti locali territoriali e loro enti strumentali, delle università e delle altre istituzioni pubbliche di autonomia aventi sede nella regione. Il controllo comprende la verifica della gestione dei cofinanziamenti regionali per interventi sostenuti con fondi comunitari (co.2).

Inoltre, le sezioni regionali svolgono il controllo di legittimità su atti e il controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato aventi sede nella regione (co.3). Il controllo sulla gestione comprende, in applicazione dell'art. 3, comma 4, della legge n. 20/1994, le verifiche sul funzionamento dei controlli interni a ciascuna amministrazione (co.4).

Alfine, e torniamo così al punto di avvio del nostro discorso, varata la legge n.131/03 all’interno dell’attuazione del nuovo ordinamento federale di cui al citato Titolo V della Costituzione, la Corte dei conti, allo scopo di adeguare ancora la propria organizzazione ai rinnovati compiti, apporta, con deliberazione delle Sezioni riunite n. 2/DEL/2003 del 3 luglio 2003 ([9]),  le  necessarie  variazioni al citato regolamento n. 14  del 2000.

 In breve, la <<sezione autonomie>> (già sezione enti locali [10])  assume la denominazione di <<sezione delle autonomie>> e, quale espressione delle sezioni regionali di controllo, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, riferisce al Parlamento, almeno una volta l’anno, sugli andamenti complessivi della finanza regionale e locale per la verifica del rispetto degli equilibri di bilancio da parte di comuni, province, città metropolitane e regioni, in relazione al patto di stabilità interno e ai vincoli che derivano dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, anche sulla base dell’attività svolta dalle sezioni regionali. Infine, esamina ai fini del coordinamento ogni tema e questione che rivesta interesse generale o che riguardi le indagini comparative su aspetti gestionali comuni a più sezioni (art.9, co.1, nuovo testo).

Al riguardo, si può subito osservare che il predetto cambio di denominazione non ha carattere meramente formale, costituendo  bensì innovazione sostanziale e di adeguamento al nuovo testo dell’art. 114 Cost. sulla composizione della Repubblica ([11]).

 La Sezione delle autonomie appare, infatti, come un “nuovo” organo, configurato testualmente quale espressione delle sezioni regionali di controllo, con funzioni di referto al Parlamento ai fini del coordinamento della finanza pubblica.

Siffatta rimodulazione di assetto istituzionale, che coerentemente si riflette nella rivisitazione della relativa formula strutturale ed organizzativa (art. 9, commi 2 ss. Regol. cit.), rappresenta, al momento, in piena conformità alle scelte attuative operate dal legislatore ordinario (legge n. 131/03 cit.), il punto di composizione tra la conservazione di un modello unitario di Corte dei conti e le istanze, sempre più incalzanti, dell’emergente Stato federale ([12]).

1.2. Controllo e “sinergie”.

Le relazioni della Corte dei conti – momento di sintesi delle verifiche svolte e atti di referto circa gli esiti valutativi – sono portate alla diretta cognizione delle Assemblee elettive, venendo così a configurarsi come peculiare espressione della natura collaborativa del controllo sulla gestione, cui corrisponde, può essere necessario sottolinearlo, un preciso dovere di cooperazione da parte delle Amministrazioni interessate, secondo quanto, peraltro, già a suo tempo affermato sul punto anche dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 29 del 27 gennaio 1995).

Orbene, la verifica del perseguimento dei fini stabiliti dalle leggi di principio e di programma, nel rispetto dei criteri di economicità/efficienza dell’azione amministrativa e dell’efficacia dei servizi erogati, comporta, necessariamente, il sindacato successivo sui risultati (v. Corte cost. sentenza n. 470 del 1997). 

Nessuna contrapposizione, allora, tra “legalità” e “buon andamento”, nell’ambito di un processo circolare al cui epilogo è la Corte dei conti che (accerta e) statuisce – definitivamente – in ordine al raggiungimento degli obiettivi normativamente prefissati ([13]).

Ed invero, come conferma ancora la dottrina più avvertita, “la netta separazione tra le due modalità di controllo (legalità ed economicità) finirebbe, soltanto, per rendere parziale ed insufficiente il modulo di controllo prescelto, mentre la coesistenza di due diversi parametri di valutazione ben risponde all’avvertita esigenza di adeguata verifica della gestione della finanza pubblica” ([14]).

Testé s’è ricordato che l’altra faccia della natura collaborativa del controllo sulla gestione è costituita dal dovere di cooperazione delle amministrazioni controllate, dovere che risulta connaturale, all’evidenza, al  potere di accertamento dalla legge intestato alla Corte dei conti (art. 3, co.4. della legge n. 20/94 cit.).

Ma non solo: all’esito del referto, in capo alle amministrazioni medesime si configura un ulteriore e preciso obbligo, quello, cioè, di comunicare alla Corte dei conti e agli organi elettivi le misure conseguenzialmente adottate (art. 3, co. 6, della legge n. 20/94 cit.). Ed è proprio quest’ultimo il punto che disvela la compiuta essenza della natura collaborativa del controllo sulla gestione, poiché, da un lato, le amministrazioni sono messe nella possibilità di attivare processi di autocorrezione di modelli e processi operativi risultati irregolari o antieconomici, nonché, dall’altro, il Parlamento nazionale e le Assemblee elettive degli enti controllati vengono posti nella condizione di intervenire opportunamente alla luce delle risultanze statuite dalla Corte dei conti in sede di controllo.

 E ma, lo si comprende agevolmente, solo “se il sistema di controllo é sufficientemente valido sarà esso stesso in grado di utilizzare gli esiti e le conseguenze in maniera positiva inducendo l’amministrazione a correggere i propri errori, ad operare le dovute modificazioni, etc., mentre in caso contrario gli esiti del controllo rimarranno privi di riscontro e fine a se stessi ” ([15]). 

Ciò premesso, ferma restando l’assenza di effetti impeditivi e/o sanzionatori direttamente scaturenti dall’accertamento di attività e condotte irregolari e/o antieconomiche, al fine di evitare che, pur nel debito rispetto dell’autonomia delle amministrazioni controllate, comunque l’azione della Corte dei conti resti priva di riscontri sostanziali, va senz’altro condivisa la già avvertita esigenza, ancora di recente autorevolmente ribadita, dell’introduzione nel sistema di adeguate misure, equivalenti, eventualmente, a quelle già esistenti in caso di violazione del divieto di indebitamento per far fronte a spese correnti o di altro tipo ancora (“…legate, ad esempio, al diritto di elettorato passivo”) ( [16]).

Per altro verso, nondimeno, necessiterebbe d’essere rivalutato opportunamente il ruolo deterrente di un dovere qualificato di denuncia in capo al magistrato del controllo, a fine sollecitatorio dell’esercizio di quell’azione contabile – nel rispetto ovviamente delle necessarie condizioni e garanzie (v. ancora Corte cost. sent. n. 29/95 cit.) - che la Costituzione (art. 103, co.2) demanda alla stessa Corte dei conti in tema di responsabilità per danno erariale ([17]): nella specie, si pensi, ad esempio, alla prosecuzione di un’attività amministrativa con modalità antieconomiche ovvero a dispetto (anziché nel rispetto) dei “criteri di sana gestione finanziaria” espressamente richiamati dalla legge ([18]).

Ed a quest’ultimo proposito può anche apparire d’interesse il richiamo alla figura  del c.d. danno all’immagine della pubblica amministrazione, rielaborato dalla giurisprudenza contabile ([19]), che in genere si accompagna ma che può anche  prescindere dall’ eventuale presenza di un danno patrimoniale diretto da disservizio, consistente nel danno comunque inferto all’identità e prestigio della pubblica amministrazione attraverso comportamenti lesivi dell’obbligo della  corretta e sana gestione delle risorse pubbliche  che trova fondamento costituzionale nel già citato principio di buon andamento dell’amministrazione e nei relativi canoni e criteri attuativi  pure già richiamati (economicità, efficacia, efficienza e trasparenza dell’azione amministrativa).

In proposito, una rivisitata “sinergia” tra controllo esterno e giurisdizione contabile ([20]) risulterebbe, intanto, necessaria ai fini della ricomposizione organica del sistema delle garanzie oggettive, e, comunque, pienamente coerente con il  disegno costituzionale della pubblica amministrazione, delineato (tuttora) in base ai principi del buon andamento  (art. 97 Cost. cit.), dell’equilibrio di bilancio (art. 81 Cost.), del (come rinnovellato) coordinamento della finanza pubblica (artt. 117 e 119 Cost.) e, last but not least, della responsabilità dei funzionari (art. 28 Cost.).

Infine, per concludere sul punto, si può osservare che se, da un lato, può certamente ritenersi giustificata la drastica operazione che ha smantellato il vieto sistema dei controlli preventivi e di legittimità formale su atti, dall’altro, potrebbe risultare, invero, assai paradossale il dover registrare l’inadeguatezza del controllo sulla gestione come voluto dalla riforma del 1994, ove, a distanza di quasi un decennio, se ne dovesse ad esempio constatare la riduzione a puro esercizio di elaborazioni ed analisi statistiche, a mera esternazione di ponderose valutazioni sorrette da dotte argomentazioni multidisciplinari ma prive di risvolti concreti ed efficaci: un flatus voci, insomma, destinato alla (più o meno condiscendente) teorica presa d’atto (di coscienza) degli enti controllati medesimi. 

In ogni caso, ritenuta irreversibile la scelta del “guardiano disarmato”, sarebbe d’uopo, propriamente esaltando la funzione collaborativa del controllo, favorire la maturazione dei processi di autocorrezione attraverso l’introduzione sistemica di congrui interventi incentivanti, quali , ad esempio,  le  misure persuasive  cui poco sopra s’è fatto rapido cenno.

 

2.    La composizione “partecipata” delle Sezioni regionali di controllo.

 

Sotto il profilo istituzionale e degli assetti organizzativi, un aspetto meritevole di annotazione è certamente rappresentato dall’introduzione, costituente novità assoluta, della possibilità di integrare le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti con due componenti designati, salvo diversa previsione dello statuto della regione, rispettivamente dal Consiglio regionale e dal Consiglio delle autonomie locali oppure, ove tale organo non sia stato istituito, dal Presidente del Consiglio Regionale su indicazione delle associazioni rappresentative dei Comuni e delle Province a livello regionale (art. 7, comma 9, legge n. 131/03 cit.).

I predetti componenti devono essere scelti tra persone che, per gli studi compiuti e le esperienze professionali acquisite, risultino particolarmente esperte nelle materie aziendalistiche, economiche, finanziarie, giuridiche e contabili.

L’innovazione in questione stimola alcune riflessioni, solo in parte di seguito qui rassegnate, negli ovvi limiti di una prima e rapida lettura e nelle more degli approfondimenti che solo la dottrina più meditata e la giurisprudenza potranno fornire.

2.1. Integrazione e terzietà.

Sembra potersi affermare che l’evenienza dell’integrazione renda le Sezioni regionali di controllo organi a composizione “partecipata”. Tale circostanza, unitamente all’altra già annotata per cui i Consigli degli enti controllati sono destinatari in via esclusiva dei referti delle Sezioni regionali di controllo, costituisce conferma di un disegno complessivo di decentramento del nostro ordinamento istituzionale di sempre più marcata ispirazione federale.

Lo schema della partecipazione agli organi collegiali, per il vero, risulta consolidato ed usuale nell’ordinamento generale con riferimento agli ambiti delle funzioni di mera amministrazione, là dove, invece, assume, come già detto, i connotati di una vera e propria innovazione avuto riguardo alla Corte dei conti ed all’esercizio delle sue attribuzioni di controllo.

Con riferimento allo scopo di  rendere le Sezioni regionali di controllo della Corte più  vicine alle realtà locali, l’esempio di “ingerenza” regionale maggiormente assimilabile a quella in atto è, forse, rappresentato dal Consiglio di giustizia amministrativa (C.G.A.) per la regione siciliana, regione, com’è noto, nell’ordinamento repubblicano dotata di una ulteriormente peculiare autonomia tra quelle a statuto speciale.

Orbene, ritornando alle regioni “ordinarie”, siccome sul punto riguardate dalla legge in commento, la prefigurata integrazione delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti sembra idonea a stimolare considerazioni attinenti all’ambito dei rapporti Stato/Regione/Enti locali ([21]), con riferimento, in particolare, alle attribuzioni già proprie  delle Sezioni de quibus in tema di controllo di legittimità su atti e di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato aventi sede nella regione (art.2, co.2, regol. n.14/2000 cit.).

In proposito, invero, appare, come dire, alquanto curioso che le regioni (e le altre autonomie territoriali) siano, tramite l’integrazione anzidetta,  in qualche modo “partecipi” (ma sul punto ad evitare equivoci torneremo appena oltre) del controllo di legittimità sugli atti  (e sulla gestione) delle amministrazioni periferiche dello Stato/persona (insomma del Governo centrale) e ciò, inoltre, proprio nel momento in cui, in conseguenza dell’abrogazione del primo comma dell’art. 125 della Costituzione, in ossequio al principio di equiordinazione dei diversi livelli di governo della Repubblica emergenti dalla  composizione  di  questa  voluta dal nuovo art. 114 della Costituzione, il controllo inverso è stato espunto dall’ordinamento.

A questo punto,  a scioglimento dell’appena avvertita riserva, va ribadito che quello della Corte dei conti ancorché “partecipato” a livello regionale resta, comunque, un controllo esterno e assolutamente indipendente (la Corte dei conti è peraltro l’unico organo di controllo che goda di una diretta garanzia in sede costituzionale), svolto in posizione di perfetta neutralità e  nell’interesse esclusivo dello Stato-comunità ([22]), espressione massima, dunque, delle garanzie giuridiche oggettive non giurisdizionali poste dall’ordinamento repubblicano a tutela dei cittadini contribuenti e fruitori di pubblici servizi.

E ma che la composizione integrata della Sezione regionale non vada, in ogni caso, ad impingere la natura propria dell’organo e della funzione risulta pure confermato, ove ve ne fosse bisogno, dalle ulteriori disposizioni della medesima legge La Loggia, là dove è sancito che lo status dei componenti designati è equiparato a tutti gli effetti, per la durata dell’incarico (cinque anni non riconfermabili), a quello dei consiglieri della Corte dei conti.

Ciò comporta, peraltro, alcune cose ben precise: una è che il collegio integrato ovviamente permane organo magistratuale ad ogni effetto, seppur nell’esercizio di funzioni non giurisdizionali (in altre parole, è la vis attrattiva dell’organo ad assorbire nell’essenza sua propria l’elemento integrativo e non questi a snaturare quella); un’altra é che il potere del designante si consuma nell’atto stesso della designazione (la nomina inoltre dovendo essere effettuata con decreto del Presidente della Repubblica), di guisa che il componente designato non ha rappresentanza alcuna degli interessi dell’ente designante e dovendosi comunque applicare, per principio giurisprudenziale consolidato, anche ai collegi partecipati il divieto generale del mandato imperativo, in perfetta sintonia, del resto, con l’autonomia e l’indipendenza già proprie della Sezione regionale di controllo, nell’esercizio di potestà inspirate esclusivamente alla salvaguardia del buon ed imparziale andamento dell’amministrazione.

Discende, ancora, da quanto precede che la designazione (così come la nomina peraltro) non è revocabile, dovendosi invece ritenere che la carica possa venir meno esclusivamente per il verificarsi di eventi decadenziali oggettivi.

Ed infine, la esclusione a priori di qualsiasi ipotesi di esercizio, nella specie, del generale potere di revoca dei propri atti da parte della pubblica amministrazione deriva dalla esaustiva constatazione per cui è riservata esclusivamente alla legge statale la predeterminazione, in via generale ed astratta, delle condizioni e dei modi di costituzione delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.

2.2. Controllo e pareri “a richiesta”.

Come già riferito all’inizio, le Regioni e gli altri enti territoriali, ai fini della regolarità della gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, possono richiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti ulteriori forme di collaborazione, “nonché pareri” in materia di contabilità pubblica (art.7, co.8, legge n. 131).

Al riguardo, una prima osservazione: la testuale distinzione enucleata dalla legge tra (ulteriori) forme di collaborazione e pareri se, da un lato, conferma ancora la natura collaborativa del controllo sulla gestione, demandando alla libere scelte del mondo delle autonomie la possibilità di integrarne l’esercizio ai fini sia della regolarità (recte: legittimità contabile/finanziaria) e sia dell’efficienza ed efficacia (recte: buon andamento) dell’azione amministrativa, dall'altro, in termini ancora più eloquenti, determina il superamento del tentativo (che pure ha permeato il dibattito politico nella fase preparatoria della legge La Loggia) di ridurre la Corte dei conti ad una sorta di authority o di organo di mera consulenza.

In proposito, è forse utile ricordare a noi stessi che il “controllo” è (esercizio di un) “sindacato”, che si svolge comparando la fattispecie concreta (atti singoli e/o attività complessivamente riguardate) che ne costituisce l’oggetto con parametri di riferimento predeterminati, e che si conclude con un “giudizio”, al quale si accompagna una pure predefinita “misura” (in chiave sanzionatoria o collaborativa, dissuasiva o persuasiva  e quant’altro ancora che alfine sia ).

Invece, l’attività consultiva è altro, che può, certo, integrare (ma non confondersi con) le funzioni di auditing contabile-finanziario e di controllo sui risultati, rafforzandone quegli aspetti di “orientamento persuasivo” che contribuiscono a rendere compiuto il rapporto di ausiliarietà che la Corte dei conti, soggetto esterno, indipendente e neutrale, instaura, secondo il testuale dettato normativo, esclusivamente con le  Assemblee elettive degli enti, in funzione di supporto obiettivo all’esercizio delle prerogative di  controllo squisitamente politico che sono proprie delle assemblee rappresentative della volontà popolare.

L’introdotta facoltà di richiesta di pareri alle Sezioni regionali di controllo della Corte, in materia di contabilità pubblica, costituisce, pertanto, apprezzabile estensione di una funzione consultiva che, com’è noto, non è affatto nuova per la Corte dei conti, essendo già propria della magistratura contabile nei confronti del Parlamento (si pensi alle preventive richieste di pareri e audizioni, in materia, ad esempio, di bilancio e legge finanziaria) e che ora, in conseguenza della riformulazione dell’art. 114 della Costituzione, viene estesa a tutte le componenti della Repubblica, in funzione, come già detto,  di un rinnovato e articolato rapporto di ausiliarietà che può costituire veicolo e garanzia di dialogo tra i diversi livelli di governo della cosa pubblica.

La Corte dei conti pertanto dovrà essere capace di affermarsi definitivamente quale strumento strategico coessenziale alla configurazione di una pubblica amministrazione articolata ma “omogenea” allo stesso tempo, garante di un indispensabile (rectius: auspicabile) circuito virtuoso, dove  le amministrazioni statali centrali e periferiche possano collaborare fattivamente tra di loro nonché con le regioni e gli altri enti territoriali e viceversa, sulla base di un modello di cooperazione interistituzionale che, pur nel rispetto delle varie autonomie, sia altresì propulsivo per lo sviluppo dell’Italia nella sua complessa e composita strutturazione di sistema-paese e debitamente coerente, infine, con le sfide della nuova dimensione europea ([23]).

 

3.    Buon andamento e obbligo d’informazione.

 

La dottrina appare concorde nel ritenere che anche la pretesa dei cittadini ad essere informati dalla p.a. possa farsi discendere dal principio costituzionale del buon andamento, in quanto speculare a quell’obbligo di informazione le cui primigenie fonti esplicative si possono individuare nella legge n. 142/90 sull’ordinamento delle autonomie locali, nella regolamentazione del diritto d’accesso e di informazione introdotta dalla legge n. 241/90 cit. in funzione del criterio di trasparenza dell’azione amministrativa ([24]), nonché nel pure più volte  citato decreto legislativo n. 29/93 concernente le disposizioni di razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche, per trovare, alfine, compiuta sistemazione nella più recente legge 7 giugno 2000, n. 150 che ridefinisce organicamente la disciplina delle attività di informazione e comunicazione nell’ambito della pubblica amministrazione.

La legge n. 150/2000 individua un vero e proprio obbligo di ogni istituzione pubblica a render pubblicamente conto del proprio operato e, a tale riguardo, attribuendo notevole rilievo alla funzione dell’Ufficio relazioni con il pubblico (URP) di cui ridefinisce e valorizza i compiti ([25]), e, infine, introducendo l’Ufficio del portavoce e l’Ufficio Stampa, allo scopo di assicurare la trasparenza e la completezza delle comunicazioni concernenti gli ambiti di competenza dell’amministrazione.

“Con l'entrata in vigore della legge del 7 giugno 2000, n. 150 e l'emanazione del regolamento di attuazione del 21 settembre 2001, n. 422, le pubbliche amministrazioni dispongono di un nuovo indispensabile strumento per sviluppare le loro relazioni con i cittadini, potenziare e armonizzare i flussi di informazioni al loro interno e concorrere ad affermare il diritto dei cittadini ad un'efficace comunicazione. La comunicazione pubblica cessa di essere un segmento aggiuntivo e residuale dell'azione delle pubbliche amministrazioni, e ne diviene parte integrante, così come accade da decenni alle imprese che agiscono nel mercato dei prodotti e dei servizi”.

Così testualmente recita, in premessa, la Direttiva 7 febbraio 2002 ([26]), con cui il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri fornisce gli indirizzi di coordinamento, organizzazione e monitoraggio delle strutture, degli strumenti e delle attività di informazione e comunicazione pubblica.

Tutto ciò premesso, può dunque ribadirsi che il fondamento del potere/dovere di informazione da parte delle istituzioni pubbliche, cui corrisponde per il cittadino il diritto alla conoscenza dell’azione svolta dai soggetti pubblici, deve essere considerato immanente alla stessa funzione pubblica esercitata e va propriamente ricercato nell’art. 97 della Costituzione.

 Il corretto esercizio del potere/dovere di informazione consente di rafforzare la legittimazione democratica e la credibilità delle istituzioni medesime, per cui esso è da considerarsi “insito negli stessi principi dello Stato democratico-rappresentativo, in cui non solo l’azione degli organi elettivi, politicamente responsabili, ma anche la stessa azione amministrativa (volta a produrre servizi ed erogare prestazioni ai cittadini) dovrebbe poter essere controllata dall’opinione pubblica” ([27]).

Ecco, pertanto, l’obbligo delle pubbliche  amministrazioni di informare (dunque: <<rendere notizie>>) per comunicare (dunque: <<rendere conto >>)  ([28]).

Ed emerge evidente, a questo punto del discorso, l’importanza dell’opera di informazione obiettiva assolta dalla Corte dei conti allorquando, non soltanto a mezzo della debita pubblicazione formale degli atti di referto, ma anche con una corretta e costante divulgazione attraverso i media - tradizionali e non ([29]) -  delle articolate attività di verifica svolte, rende noti, e non solo alle Assemblee elettive di volta in volta interessate, bensì alla platea dei cittadini, i risultati conseguiti dalle pubbliche amministrazioni nella gestione delle pubbliche risorse ([30]).

 

4.      Conclusione

 

Ritornando ora alle considerazioni iniziali, circa il nuovo e articolato ruolo che può e deve assumere la Corte dei conti nell’ambito di un’organizzazione statuale proiettata verso un sempre più accentuato indirizzo di stampo federale, ma, al contempo, capace di coniugare l’esaltazione delle autonomie con l’altrettanto ineludibile esigenza di mantenimento dell’essenza unitaria della Repubblica, l’auspicio conclusivo è che si arrivi senza indugi ulteriori alla ricomposizione organica del sistema delle garanzie oggettive, funzionale al cammino di un federalismo democratico e non sperequante, nel contesto di un’Unione europea sempre più partecipata.

E vieppiù nell’era della new economy, occorre che tutte le pubbliche amministrazioni siano poste in grado di autoriformarsi, passando, mediante un radicale cambiamento di prospettiva e di mentalità, dalla cultura dell’autoreferenzialità ad una gestione della res pubblica non solo efficace ed efficiente, ma anche “condivisa” ([31]).

La riforma delle istituzioni attraverso l’accelerazione del decentramento decisionale ed amministrativo, l’alleggerimento dello Stato economico tramite le privatizzazioni, l’adeguamento del processo economico interno alle regole dell'integrazione europea ([32]), costituiscono, tutti, elementi che alfine possono contribuire al perseguimento dell’indispensabile equilibrio tra l’inarrestabile processo di globalizzazione dell'economia ([33]) - sempre più sospinto dall’evoluzione esponenziale delle innovazioni tecnologiche - e la crescente territorializzazione di tutto il resto (glocalism) ([34]).

                                                                                   

dott. Giuseppe Ginestra                                 

NOTE

:

(1) Il coordinamento della finanza pubblica costituisce uno degli obiettivi fondamentali del legislatore dell’ultimo decennio, e, al medesimo tempo, strumento indispensabile per il rispetto dell’impegno- assunto dall’Italia in sede di Unione Europea con l’adesione al patto di stabilità e crescita - di attuare lo sviluppo economico interno entro parametri economico/finanziari definiti.

Di significativo interesse è il regolamento (DPR 27 febbraio 2003, n. 97 in G.U. 6 maggio 2003, n.103) relativo all’amministrazione e contabilità degli enti pubblici di cui alla legge n.70/95, con il quale è stato adottato un unico sistema informativo-contabile in armonia con i principi introdotti  con la legge di riforma del bilancio dello Stato (legge n. 94 del 1997). Può, così, ritenersi giunto a regime il processo di omogeneizzazione degli enti pubblici, ottenuto con l’introduzione di un generalizzato sistema contabile (sia pure nel rispetto dell’autonomia delle singole realtà amministrative), indispensabile per veicolare uniformemente le informazioni sui costi e rendimenti delle gestioni pubbliche. Infatti, la verifica degli obiettivi raggiunti dall’amministrazione pubblica nel suo complesso e la valutazione del corretto impiego delle risorse non può che operarsi secondo parametri comuni e su un flusso omogeneo di informazioni circa i costi e ricavi delle varie amministrazioni pubbliche.

Ed è nell’ambito di questo articolato scenario di riforme, in cui il legislatore ciclicamente ha provveduto a modificare dapprima il sistema e quindi il correlativo regime dei controlli , che pertanto si inseriscono, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le novità relative al controllo della Corte dei conti introdotte dall’art. 7 della legge n. 131 in commento.

 

(2) L’indirizzo politico amministrativo (policy) è da tenere ben distinto, a sua volta, dalla politica in senso proprio (politics) che concerne le scelte prettamente politiche affidate agli organi rappresentativi.

 

(3)   Il decreto legislativo 9 febbraio 1993, n. 29, tra l’altro, istituisce i servizi di controllo interno e l’Ufficio per le relazioni con il pubblico (URP) su cui melius avanti nel testo.

Quanto all’attività gestoria compresa nelle attribuzioni dei funzionari pubblici, si  può osservare, in disparte il tema delle responsabilità dirigenziali codificate pure con il decreto in questione (sul punto può essere utile consultare  Gaspari A., Incarichi dirigenziali e responsabilità del dirigente: alla ricerca di un equilibrio nell’ambito dei rapporti tra organi d’indirizzo politico e dirigenza, in Diritto&Diritti, 4/09/03, http://www.diritto.it/articoli/amministrativo/gaspari.html), come risulti indispensabile che la classe burocratica sia capace di recuperare professionalità, indipendenza e imparzialità per garantire non solo l’economicità e l’efficacia dell’azione amministrativa ma anche la parità di trattamento tra i cittadini. Invero, è questo il solo modo per restituire alla burocrazia il ruolo nobile del civil servant, assicurando quella continuità di gestione della cosa pubblica che la sottragga all'improvvisazione e alle oscillazioni  delle varie crisi politiche.

Sull’inferenza specifica  del principio della separazione tra politica ed amministrazione in punto di responsabilità per danno erariale, cfr. Rebecchi P.L, Il principio di separazione tra politica ed amministrazione nella prospettiva della responsabilità amministrativo-contabile, in Rivista della Corte dei conti, n.6/2002,  pp.400 ss.

 

(4)  L’INTOSAI è l’associazione internazionale delle Istituzioni superiori di controllo (ISC), nel mentre l’EUROSAI ne costituisce l’articolazione a livello europeo. Per una rassegna critica del “Manuale di controllo europeo” nella parte concernente il controllo di gestione, cfr. per tutti Manna B., Controllo di gestione e metodi di valutazione, in Rivista della Corte dei conti, n.1/2001,  pp.281 ss.

 

(5) In proposito, ex plurimis, Lazzaro T., comunicazione al Convegno su “I controlli sulle gestioni”, Perugia, 2-3 dicembre 1999, in Controllo e Giurisdizione, Rivista Internet di contabilità pubblica (htpp://www.amcorteconti.it/lazzaro.htm).

 

(6)  In Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 145 del 24 giugno 1997.

 

(7) Il decreto legislativo  n. 286/99 (in G.U. -serie generale- n.193 del 18 agosto 1999) detta la disciplina sul riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art.11 della legge 15 marzo 1997, n.59.

 

(8) In Gazzetta Ufficiale - serie generale- n. 156 del 6 luglio 2000.

 

(9) In Gazzetta Ufficiale - serie generale- n. 163 del 16 luglio 2003.

 

(10) La sezione enti locali era stata istituita dall'art. 13 del decreto legge 22 dicembre 1981, n. 786 convertito nella legge 26 febbraio 1982, n. 51.

 

(11) Tra i primissimi commenti,  v. Racca E., Sezione delle autonomie più forte.La svolta nel segno dell’efficienza, in Guida agli enti locali, Il Sole-24 Ore, 9 agosto 2003 - N° 31.Per un commento generale della legge La Loggia, si può rinviare a Falcon G., Stato, regioni ed enti locali nella legge 5 giugno 2003, n. 131, in corso di stampa per i tipi de Il Mulino.

 

(12) Non è prevalsa  l’idea (che non necessita di alcuna modifica costituzionale) di Corte dei conti regionali indipendenti da quella centrale. In proposito, si rinvia alle considerazioni contenute nel discorso di apertura del Presidente della Corte dei conti Francesco Staderini al Convegno di studi sul tema “I risultati del controllo della Corte dei conti sulla gestione dei trasporti locali”, Roma, 10 aprile 2003 (http:// www.corteconti.it).

 

(13) Pippia N., Il controllo della Corte dei conti fra principio di legalità e buon andamento, in Diritto&Diritti, febbraio 2003 (http://www.diritto.it/articoli/amministrativo/pippia.html).  

 

(14) Astraldi De Zorzi C., Le Corti dei conti europee:esperienze a confronto, in Controllo e Giurisdizione…, cit. (htpp://www.amcorteconti.it/astraldi.htm).

 

(15)   Astraldi De Zorzi C., Le Corti dei conti europee:esperienze a confronto, op. e loc. cit.

 

(16) Staderini F., Intervento del Presidente della Corte dei conti alla I^ Conferenza della Ragioneria generale dello Stato, Roma , 9 luglio 2003 (htpp://www.conferenzaannualergs.tesoro.it/).

 

 (17) V. Nenna A., Riflessioni sullo stato di salute della Corte dei conti, in Controllo e Giurisdizione, cit. (http://www.amcorteconti.it/nenna _controllo_01.htm).

Invero, appare alquanto ovvio che ogni eventuale notitia damni possa essere perseguita dal P.M. contabile e, ancor più congruamente, doveroso ed opportuno l’eventuale esercizio dell’azione contabile a seguito di segnalazione dei magistrati del controllo, i quali, svolgendo le verifiche sulla gestione, a priori vengono a conoscenza delle circostanze (e relative condotte) da cui potrebbero conseguire ipotesi varie di danno all’erario (e senza che ciò possa rappresentare pericolo alcuno di “commistione”  tra le due separate quanto ontologicamente  distinte funzioni principali cointestate alla Corte dei conti dalla Carta costituzionale: v. melius nota n. 20 che segue).

 

(18) Cfr. da ultimo, Corte dei conti, Sezioni riunite giurisdizionali, 23/04/2003, n. 10/2003/QM, secondo cui il danno all’immagine di una pubblica amministrazione non rientra nell’ambito di applicabilità dell’art. 2059 del codice civile ma è una delle fattispecie del danno esistenziale e deve essere individuato nell’ambito dei danni non patrimoniali come danno-evento e non come danno–conseguenza. Per la compiuta esposizione dello scenario giuridico nel quale si muovono le linee guida presupposte ai diversi orientamenti interpretativi rassegnati in materia dalla giurisprudenza,  cfr. Didonna M., Il danno all’immagine e al prestigio della Pubblica Amministrazione, editore Cacucci, maggio 2003 e, per un’utile rassegna commentata dell’evoluzione giurisprudenziale sempre sul punto, v. pure Floris A., Danno all’immagine e responsabilità amministrativa, in Diritto&Diritti, 4/09/02 (http://www.diritto.it/articoli/amministrativo/floris.html).  

 

 (19) Non si dovrebbe dimenticare, come ancora di recente osservato in dottrina (Battini F., Dove va la Corte dei conti, in Giornale di diritto amministrativo, n. 8/2003, pagg.785/786), che la  peculiare caratteristica (la stessa ragione fondante) della Corte dei conti è propriamente quella del controllo, tale da giustificare storicamente l’affidamento, anziché alla magistratura ordinaria, alla medesima magistratura preposta al controllo di alcune peculiari funzioni giurisdizionali che presuppongono una conoscenza approfondita dei meccanismi di azione delle pubbliche amministrazioni e la piena consapevolezza delle condizioni effettive in cui agisce il pubblico dipendente, e sulla cui base soltanto, dunque, può veramente fondarsi infine lo ius dicere in tema di responsabilità per danno erariale (ad es., la valutazione del grado di colpa, la graduazione delle responsabilità di più agenti, l’opportunità o meno di ricorrere al potere riduttivo e quant’altro).

 

(20) In generale, sul tema dei radicali cambiamenti cui è destinato il sistema dei raccordi tra i diversi livelli di governo con l’entrata in vigore del nuovo Titolo V della Parte seconda della Costituzione, cfr. ex multis Merloni F., La leale collaborazione nella Repubblica delle autonomie, in Diritto Pubblico, n. 3/2002, pp. 827 ss.

 

(21) Nell’esercizio dei compiti ad essa assegnati, a garanzia dell’autonomia degli enti controllati, “ la Corte non è chiamata ad operare come organo ausiliario del governo o comunque dello Stato centrale, ma come organo della Repubblica, nella nuova definizione di cui all’art. 114 Cost., e, quindi, come organo sia dello Stato che delle Regioni e altri enti territoriali.” (Staderini F., Intervento… etc., op. ult. cit.).

 

(22) L’Unione europea è cambiata notevolmente nell’arco dell’ultimo decennio, pervenendo all’attuale composizione di quindici membri e con l’allargamento a venticinque a decorrere dal maggio del 2004, secondo le decisioni assunte dal Consiglio europeo di Copenaghen del 12/13 dicembre 2002.

 

(23) “Fanno capo alla trasparenza tutte quelle norme che danno attuazione agli artt. 97 e 98 della Costituzione e che applicano i principi dell'efficienza e dell'imparzialità, ma in modo particolare vi rientrano quelle in materia di pubblicità, diritto alla informazione ed all'accesso.” (Brugaletta F., Trasparenza nell'esercizio del potere, diritto alle informazioni e nuove tecnologie, in “Interlex.it”, Rivista telematica, 18.06.1995 (http://www.interlex.it/inforum/brugal.htm).

 

(24) L’URP è un’importante struttura di cerniera con compiti di garanzia del diritto all'accesso e alla partecipazione, tramite anche la verifica ed il monitoraggio del grado di soddisfazione dei fruitori dei servizi, nonché di coordinamento della comunicazione interna in funzione di collaborazione con i vertici amministrativi e i decisori.

 

(25) In Gazzetta Ufficiale – serie generale -  n. 74 del  28 marzo 2002.

 

(26) Pinotti C., La politica dell’informazione nelle Sai e i contatti con i Media (Supreme Audit Institution and Contact with the Media), Atti Seminario Gotawice (Warsaw), 25-27 aprile 2001 (http://www.amcorteconti.it/pinotti_media.htm). Cfr. pure Giannantonio E., Manuale di diritto dell’informatica, Cedam, Padova 1993, p. 19; Loiodice A., Informazione (diritto alla), in Enciclopedia del diritto, vol. XXI, Giuffrè Editore, Milano 1971, pp. 472 ss.; sul diritto all’informazione in generale, Corasaniti G., Diritto dell’informazione, Padova 1995.

 

(27) In generale, sulla comunicazione pubblica e istituzionale: Arena G. (a cura di), La funzione di comunicazione nelle pubbliche amministrazioni, Maggioli Editore, Rimini 2001; Caligiuri M., Lineamenti di comunicazione pubblica, Rubettino, Soveria Mannelli 1997; Faccioli F.,  Comunicazione pubblica e cultura del servizio, Carocci Editore, Roma 2000; Grandi R., La comunicazione pubblica, Teorie, casi, profili normativi, Carocci, Roma 2001; Mancini P.,  Manuale di comunicazione pubblica, 2° ed., Laterza, Roma-Bari 1999; Razzante R.,  Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione, Padova 2002;  Rolando S. (a cura di), Teoria e tecniche della Comunicazione Pubblica Dallo Stato sovraordinato alla sussidiarietà (pref. De Rita G.), Etas Libri, Milano 2001; Rovinetti A., Diritto di parola, Il Sole 24 ore, Milano  2000; Zuanelli E. (a cura di),  Manuale di comunicazione istituzionale.Teoria e applicazioni per aziende e amministrazioni pubbliche, Editore Colombo, Roma  2000.

 

(28) Il riferimento è ovviamente ad Internet (“ la Rete ”). Nel 1969, a Los Angeles, sullo schermo di un computer apparve una parola di tre lettere (“ log”:  collegato!) digitata su un computer distante migliaia di chilometri, a Stanford.  Per la prima volta, due calcolatori dialogarono fra loro grazie a un collegamento via satellite, dando vita alla prima rudimentale rete, Arpanet, nell'ambito del progetto di tecnologia avanzata denominato ARPA, sotto l’egida delle forze militari USA e della NASA. Il termine Internet (International Network) fu adottato per la prima volta nel 1982 ed  il suo principale strumento operativo, il world wide web (www), nacque solo nel 1990 al CERN di Ginevra. Nel 1971, però, era già nata, grazie alla genialità  di Ray Tomlinson, la @ , la famosa chiocciolina usata per inviare la posta elettronica (e-mail).

 

(29) Cfr.  Pinotti C., Corte dei conti e dovere d’informazione, in Rivista della Corte dei conti, n.3/2002, pp. 304 ss.

 

(30) Per amministrazione “condivisa” s’intende (Arena, Grandi) una formula organizzativa fondata sulla collaborazione tra amministrazione e cittadini, i quali escono dal ruolo passivo di amministrati per diventare soggetti attivi, consapevoli dell’attività dei decisori, fruitori di servizi pubblici sempre più efficienti e facilitando, così, il passaggio da un modello organizzativo burocratizzato ed autoreferenziale ad un rapporto “recepito” con la pubblica amministrazione.

Ed è nel più ampio disegno strategico di una riforma di largo respiro della pubblica amministrazione che - in funzione dell’ e-democracy (vicinanza per via “elettronica” della p.a. ai cittadini) -  si sta affermando anche in Italia l’e-government (ovvero l’utilizzo delle tecnologie informatiche e di comunicazione per ottimizzare l’erogazione dei servizi e migliorare la capacità di governare), metodo e strumento ormai indispensabile, non solo per stimolare la progettualità di una pubblica amministrazione  in movimento, quanto, e sopratutto, per fornire un formidabile contributo alla realizzazione dell’amministrazione condivisa.

La necessità  di considerare l’e-government e le tecnologie avanzate come “fattore abilitante” per la nuova p.a. è stato, infatti, uno dei temi centrali del  FORUM PA 2003 svoltosi a Roma nel mese di  maggio (http://www.forumpa.it/forumpa2003/info/forumpa2003.html).

Una  mission siffatta, consistente nel perseguire un processo cognitivo conducente, come già detto, ad un rapporto recepito con la pubblica amministrazione, non può quindi prescindere dall’affermazione di adeguate ed  evolutive strategie di comunicazione pubblica ed istituzionale.

Per un’ampia disamina dell’articolata tematica che precede, nonché in ordine all’importanza propria della comunicazione istituzionale ai fini dell’attuazione del principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione, si può fare rinvio, volendo, a Ginestra D.G., Strategie di comunicazione istituzionale nel contesto dell’Unione europea, in corso di pubblicazione sul sito web dell’O.C.I.P.A. (Osservatorio sulle attività di comunicazione e informazione della pubblica amministrazione) - Dipartimento di Scienze della Comunicazione dell’Università degli Studi di Salerno (http://www.ocipa.unisa.it).

Sullo stato attuale dell’e-government, cfr. Sarzana di S. Ippolito F. (a cura di), "E-government: profili teorici ed applicazioni pratiche del governo digitale”, Ed. RCS/La Tribuna ( Collana “Le Nuove Voci del Diritto” diretta da Cassano G.), 2003. Per alcuni richiami critici, v. Da Empoli G., Overdose: la società dell'informazione eccessiva, ed. Marsilio,  2002.

 

(31) La questione cruciale del consolidamento dello spazio europeo passa attraverso il superamento del divario socio-economico esistente tra le varie regioni dell'Unione europea: la coesione, pertanto, resta la pre-condizione per il  raggiungimento e il consolidamento degli obiettivi previsti dai Trattati di Roma, cioè la crescita equilibrata delle attività economiche, la tutela e il miglioramento dell’ambiente, lo sviluppo dell’occupazione e delle risorse umane, l’eliminazione delle ineguaglianze, la promozione della parità tra uomini e donne. La coesione economica e sociale è stata introdotta dall’Atto Unico Europeo, firmato nel febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1° luglio 1987, che ha modificato i Trattati di Roma dando maggiore autorità alla Commissione europea e al Parlamento europeo, avviando il processo di integrazione dei mercati e aprendo, così ,la strada alla riforma organica dei fondi strutturali del 1988, seguita dalle disposizioni di cui al regolamento del Consiglio europeo del 21 giugno 1999, n. 1260/1999, modificate ancora dallo stesso  Consiglio con il regolamento del 28 giugno 2001, n. 1447/2001(http://europa.eu.int/eur-lex/).

 

(32) Dalla società post-industriale alla società dell’informazione e della conoscenza: questo il  passaggio epocale in atto. Resta immanente, tuttavia, la necessità di scongiurare il rischio che un tale grandioso fenomeno possa integrare  alla fine il villaggio globale (per usare il termine coniato da Marshall McLuhan intorno alla fine degli anni Sessanta per significare la mondializzazione dell’informazione) delle sperequazioni, in luogo di quello degli equilibri e della condivisione.

 

 (33)  Rolando S., La Quarta Fase della Comunicazione Pubblica, in Impresa & Stato,  n. 42.