inserito in Diritto&Diritti nel maggio 2002

Considerazioni su contratto integrativo M.I. 1998-2001.

(nota introduttiva e articolo di Sebastiano Battaglia)

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Preg.mi lettori, dipendenti del pubblico impiego ,

mi pregio sottoporre alla cortese attenzione delle SS.LL. un mio articolo, dal titolo "CONSIDERAZIONI SU CONTRATTO INTEGRATIVO DEL MINISTERO DELL’INTERNO 1998-2001", pubblicato recentemente sulla Rivista di Legislazione e Giurisprudenza "NUOVA RASSEGNA" (n° 15 del 1° agosto 2001), che mi ha impegnato a lungo e adesso ho il piacere di compiegare alla presente.

L’articolo vuole offrire uno spunto di riflessione su alcune limitazioni, offerte dai criteri di valutazione, che sono stati individuati dalle Rappresentanze sindacali per la progressione di carriera del pubblico dipendente, che, a parere dello scrivente, sanciscono il fallimento di una parte della riforma in atto della Pubblica Amministrazione. Si sarà notato, infatti, come il processo di aziendalizzazione, (voluto dai ministri alla Funzione Pubblica, primo fra tutti dall’On.le Giannini e, successivamente, dagli On.li Sabino Cassese; Giuliano Urbani; Franco Bassanini; Franco Frattini), conformemente allo spirito innovativo che doveva cavalcare la fase di transizione dal vecchio al nuovo regime, voluto dal Dlgs. 29/93 (come modificato dal Dlgs. 80/98 e poi dal Dlgs 30/03/2001, n° 165), avrebbe dovuto produrre una riforma del Pubblico Impiego, ispirata contestualmente agli strumenti della flessibilità nella gestione del personale, anche alla valorizzazione della professionalità e produttività individuale. Una riforma meglio ancora, votata alla efficienza in quanto connotata dalla meritocrazia. Quella secondo cui agli uffici ed alle cariche si accede grazie a delle apposite selezioni mirate, in base ad un percorso formativo che vede "crescere" il dipendente nel settore di appartenenza nonché alle virtù ed alle vocazioni da questi dimostrate nell’espletamento delle attribuzioni disimpegnate; guardando anche al curriculum vitae nell’arco lavorativo dello stesso. Cioè, tenendo conto perlopiù di sue eventuali qualificazioni: particolarmente se riconducibili alle abilitazioni all’esercizio della libera professione. Non esclusa la valutazione di eventuali pubblicazioni con rilevante interesse sul piano scientifico.

Al contrario, invece, è accaduto che, se da un lato l’organizzazione interna degli uffici è stata affidata all’istituto della contrattazione collettiva di lavoro, che predilige la formazione di atti di diritto privato (*), ai sensi dell’art. 4 – comma 2 – del Dlgs. 29/93, rafforzando quindi il potere di intervento del sindacato (**), dall’altro, non si può fare a meno di assistere all’introduzione di elementi di discrezionalità, che potrebbero aver minato, a mio parere, i principi giuridici riguardanti la formazione e l’elevazione professionale del lavoratore (art. 35 – 2° comma – Cost.). Ma anche i principi sull’obbligo di imparzialità e di uguaglianza, voluti dagli artt. 97 e 3 della Costituzione, avendo creato discriminazione tra dipendenti pari grado, assunti con lo stesso concorso.

Intendo riferirmi alla perpetuazione degli automatismi di anzianità di servizio, che hanno favorito l’ascesa a nuove posizioni di inquadramento in ruolo (giuridico ed economico), ed alla valutazione del titolo di studio di laurea, rifiutando la regola delle procedure concorsuali. Quando, in alternativa, si sarebbe potuto esercitare la leva di un training del dipendente (di qualunque dipendente), da sottoporre ad un giudizio di merito di Commissioni di esperti, appositamente formate. Mentre, si è preferito legittimare, in tal guisa, la causa dell’egualitarismo indiscriminato (cioè a qualunque laureato, pur se assunto col diploma, viene concesso di andare avanti), a discapito del rispetto del diritto di uguaglianza tra lavoratori che operano nella stessa area contrattuale di quei colleghi "premiati dalla riqualificazione". Nel medesimo tempo, quei colleghi esclusi possono, altresì, fregiarsi di essere destinatari di cospicue responsabilità nominali, connesse alla gestione dei propri servizi.

La personalizzazione delle procedure, che taluni hanno apportato autonomamente – anche servendosi della meccanizzazione - alla organizzazione del proprio ufficio, divenendo - in breve tempo - appassionati del foglio elettronico "excel" o con l’utilizzo dei "database di access", unitamente all’apporto del bagaglio di proprie conoscenze tecnico-specialistiche, sono alcuni degli esempi di standard di qualità raggiunti durante la carriera. Ed i cui risultati si sono tradotti in termini di velocizzazione dell’istruttoria procedimentale, in risposta ad una istanza di buon andamento dell’azione amministrativa (cfr. art. 97 Cost.). All’opposto, ahimè, sono stati riproposti schemi e procedure garantiste, strutturate ancora secondo modelli di tipo pubblicistico.

La riqualificazione in atto (D.M. 14/09/2001), paradossalmente, ha prodotto ancora una volta situazioni in cui colleghi pari grado (collaboratori amministrativi), fino ad oggi inseriti nell’area amministrativa ed in quanto muniti del titolo di laurea specifica (per es., economia e commercio) potranno transitare nell’area contabile con la qualifica di direttore amm.vo-contabile; senza esperienza alcuna nel campo; in un settore complesso. Saltando, d’un tratto, di due gradi, dal 7° al 9° livello retributivo, la posizione in godimento. Acquisendo precedenza su quei colleghi che si sono impegnati in ragioneria al meglio delle loro forze ed in possesso di altrettanti titoli professionali, comunque rilevanti, tanto da essere riconosciuti su territorio nazionale e che a differenza della laurea (che impartisce al laureato una indubitabile formazione dottrinaria) sono oltremodo significativi per il grado di penetrazione tecnico-procedurale nelle competenze trattate. Incredibilmente non sono stati presi persino in considerazione titoli esponenziali di esperienza come quelli di commercialista o ancor più di revisore dei conti, la cui figura professionale è prevista - laddove sono stati costituiti - dai nuclei di valutazione, preposti ai controlli interni di gestione.- Aventi il compito di analizzare il funzionamento dell’ente sulla base di indicatori di attività, per pronunciarsi sulla ottimizzazione delle risorse.

L’inasprimento delle lamentele all’interno dei collaboratori amministrativo-contabili (diplomati), per l’invasione dall’esterno di altre categorie professionali, suggerisce un ripensamento delle regole di democrazia e rappresentanza sindacale insieme a un’accelerazione della revisione degli attuali assetti contrattuali. E’ di tutta evidenza, infatti, come l’attuale sistema delle regole sia insufficiente e richiede, a mio avviso, un aggiornamento a partire da alcune considerazioni di fondo.

A cominciare dalla considerazione che certamente il sindacato, nella sua generale approssimazione, ha tralasciato di interessarsi della specificità delle mansioni e/o funzioni, connaturate all’area economico-finanziaria; contrassegnata da un diploma specifico (quello di ragioniere e perito commerciale, non uno qualunque), voluto dal bando di partecipazione al concorso per segretario di ragioneria. Quelle specificità che si richiamano a varie fasi dell’iter procedimentale: dallo studio delle varie norme e tributi alla predisposizione di atti propedeutici alla liquidazione delle contabilità; a quella della presentazione del rendiconto finanziario delle spese, che è diretta a soddisfare molteplici requisiti del Regolamento di Contabilità Generale dello Stato, quali: la veridicità; pubblicità; pareggio; universalità; integrità; unità; specializzazione e annualità. Disattendendone uno dei quali, si può incappare nelle maglie dei rilievi degli Organi di controllo, a cui bisogna rimettere l’elaborato, corredandolo degli atti di sanatoria. Ne consegue, quindi, che la fase rendicontale è assoggettata ad un duplice controllo: amministrativo interno, presso le Ragionerie Centrali di ogni Ministero ed esterno di legittimità, presso la Corte dei Conti.

La specificità in argomento è quella che conferisce al dipendente l’ufficio di ragioneria una preparazione giuridico-contabile complessa che gli permette di gestire simultaneamente, sia la contabilità erariale come quella regionale, intrattenendo rapporti con vari enti istituzionali e soggetti economici (persone fisiche e giuridiche), e, in base all’attività da questi esercitata – a seconda che prevalga quella istituzionale su quella d’impresa, deve saper distinguere se si tratta di "ente non commerciale" o "ente commerciale", per l’adozione degli adempimenti necessari ai fini della disciplina fiscale IVA (ex D.P.R. 26/10/1972, n° 633) e quella delle imposte dirette (T.U. n° 917/86).

Neanche gli incarichi esterni hanno esercitato influenza sull’azione dei sindacati, da convincerli a stabilire delle rivendicazioni salariali in materia di riconoscimento di mansioni superiori. Voglio ricordare, nel mio caso, quelle volte in cui sono stato nominato per sette anni funzionario incaricato presso terzi per la verifica del fondo di consistenza di cassa; oppure, come componente, prima, e presidente del Collegio dei Revisori dei conti, poi, in enti dove lo statuto sociale prevede che il datore di lavoro pubblico abbia il potere di designare suoi componenti nel Consiglio direttivo o nell’organo di revisione contabile. E qui mi viene da pensare a quanto stabilito dall’art. 36 – 1° comma – Cost., nella parte in cui dispone che la retribuzione debba essere commisurarsi alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato.

A tal riguardo, voglio sperare che a seguito dell’estensione della normativa privatistica al rapporto di pubblico impiego, con l’art. 52 del succitato decreto legislativo 165/2001, nel quale è stato trasfuso il disposto dell’art. 56 del Dlgs 29/93 (come sostituito dall’art. 25 del Dlgs 80/98 e successivamente modificato dall’art. 15 del Dlgs 387/98), venga previsto il diritto del lavoratore, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico della qualifica immediatamente superiore.

In conclusione, poiché l’ottemperanza agli obblighi nascenti dal mio status di dipendente mi impone di onorare fedelmente l’odierno contratto in toto, non mi resta che lo sfogo di chi veda contrapporre alla forza delle proprie idee l’amara rassegnazione di aspettative deluse ed il dileggio di chi sa di averti superato con estrema disinvoltura. Parimenti, altresì, incombe l’obbligo civile di esternare gli auguri più sinceri a quei colleghi premiati dalla attuale normativa. Nella speranza che in futuro – col senno del poi, voglia compiersi ogni sforzo per fuggire dalla tentazione di avere contratti che obbediscano alla logica dei tesseramenti, asserviti a metodi di progressioni massificate, invece che tendere ad un salto di qualità di obiettivi prefissati. Evitando così, le prime, di mostrarsi teatro di ogni forma di appiattimento: burocratico, retributivo e delle intelligenze.-

Le sigle sindacali, invero, cui la presente è diretta per conoscenza, facciano altresì autocritica sulle giungle retributive esistenti tra un comparto ed un altro della Pubblica Amministrazione, ma anche all’interno, ahimè, degli stessi comparti, elevando ogni scudo contro palesi sperequazioni: causa di ingiustizie e disparità di trattamento all’interno della medesima classe lavoratrice. Le quali sviliscono la dignità del lavoratore; procurandogli frustrazione, perchè lo relegano in una posizione di marginalità nel contesto burocratico-amministrativo ove presta la sua attività, la cui sede gli è offerta per affermare il valore della persona. Un interessamento, a tal uopo, del Consiglio di Stato potrebbe rivelarsi auspicabile per un pronunciamento nel merito in quegli enti dove la materia stipendiale non forma oggetto di negoziazione contrattuale con le Organizzazioni Sindacali attraverso i contratti collettivi. Cioè in quegli ambiti dove non è stata attuata la cosiddetta contrattualizzazione del rapporto di pubblico impiego su base privatistica.

Termino, ringraziando quanti hanno avuto la cortesia di leggermi in queste righe, e che vorranno, semmai, confutarmi nel contenuto delle stesse; non già per l’iniziativa in sé. Giacchè, la stessa vuole essere letta come una spontanea manifestazione di pensiero in regime di libertà, in alcun modo etichettabile a fini strumentali, dove tutto ciò che non è espressamente vietato dal nostro ordinamento è permesso.-

Sebastiano Battaglia

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(*) – I rapporti di lavoro dei dipendenti delle Amministrazioni pubbliche sono disciplinati dalle disposizioni del capo I, titolo II del Libro V del Cod. civ. …

(**) 1 – I rapporti di lavoro di cui al comma 2 sono regolati contrattualmente … (commi 2 e 3 dell’art. 2 del Dlgs 30/03/2001, n° 165);

____2 - La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali (comma 1 – art. 40 – del Dlgs 165 citato).

 

 

pubblicazione articolo su rivista NUOVA RASSEGNA N° 15 DEL 1° AGOSTO 2001

 

CONSIDERAZIONI SU CONTRATTO INTEGRATIVO DEL MINISTERO DELL’INTERNO 1998 – 2001.-

di Sebastiano Battaglia

Revisore dei conti

Mentre mi convinco sempre più di essere fiducioso nella scommessa che il lavoratore debba fare sul sindacato per il futuro; non posso non constatare come le trasformazioni in atto, sullo scenario dei servizi, disegnino una figura di lavoratore subordinato col corpo da dipendente e l'anima da professionista. Ciò è dato dal fatto che la diversa, maggiore richiesta di professionalità abbia di fatto influenzato (modificandolo nel tempo) il rapporto di lavoro dipendente, incardinandolo in un apparato amministrativo sempre meno verticistico e gerarchico, in quanto consente al lavoratore di gestire un reale potere contrattuale e più margini di libertà. Quest’ultima supportata anche dall’ausilio della meccanizzazione dei servizi, introdotta nella Pubblica Amministrazione.

Ma questo ampliamento del potere di autonomia, che verrà gestito dal dipendente, è spiegato anche dalla modifica all’art. 47, dopo la lettera c) del Testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22/12/1986, n° 917. Infatti, l'art. 34 della legge 21 novembre 2000, n° 342 (il collegato alla Finanziaria 2000, pubblicata nel supplemento ordinario della "Gazzetta Ufficiale" n° 27 del 25 novembre 2000), ha introdotto all’art. 47, al comma 1, dopo la lettera c), la lettera c-bis, che riguarderà l’esercizio dell’attività di collaborazione di amministratore, sindaco o revisore dei conti a giornali, riviste, a collegi e commissioni; semprechè le collaborazioni non rientrino nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente di cui all’art. 46, o nell’oggetto dell’arte o della professione di cui all’art. 49, comma 1, del suddetto Testo unico. Le collaborazioni coordinate e continuative, fiscalmente, da gennaio del 2001, hanno assunto la denominazione di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente. Con il trattamento tributario che ne consegue.

Relativamente allo svolgimento della funzione di revisione contabile, da parte del dipendente pubblico, c'è da dire che la stessa non pone in essere un conflitto d'interesse tra il rapporto di pubblico impiego e la Pubblica Amministrazione, in quanto l'istituzione del Registro dei revisori non fa nascere una nuova categoria di professionisti. Così, oltretutto, si è espresso il Ministero delle Finanze con una risposta rilasciata al Telefisco 1996 (poi confluita nella circolare ministeriale 108/E del 3 maggio 1996, al punto 7.2). Tant'è che l'iscrizione nel Registro dei revisori non deve necessariamente comportare la preliminare iscrizione nell'apposito Albo dei Dottori o Ragionieri commercialisti.

Onde per cui, il compenso che percepirà a seguito di prestazioni occasionali andrà inquadrato tra i redditi assimilati ai redditi di lavoro dipendente.

La scommessa nel Sindacato è che la conquista di nuovi margini di autonomia venga accompagnata da una modifica dell'offerta di tutela sotto ogni aspetto. Mi viene da pensare, ad esempio, che in quanto a riconoscimento delle mansioni superiori, nei casi ove venga accertato che il dipendente abbia partecipato a commissioni esterne, sottoscrivendo atti sotto il proprio nome e per conto dell’Autorità che rappresenta l’ente, previa attribuzione degli incarichi con formale provvedimento del capo dell’ufficio di appartenenza, poco finora sia stato fatto affinchè venga pienamente affermato il principio costituzionale contenuto nell’art. 36 della Costituzione di "equivalenza della retribuzione al lavoro effettivamente prestato".

Si rifletta, ad esempio, sulle seguenti decisioni dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato:

4 settembre 1997, n° 20:

non ha escluso il diritto alla maggiore retribuzione in caso di sostituzione su posto vacante e disponibile.

18 novembre 1999, n° 22:

irrilevanza giuridica ed economica, in tutte le sue forme, di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego.

28 gennaio 2000, n° 10:

ha affermato che va riconosciuto al pubblico dipendente, che abbia svolto mansioni superiori, di ottenere il trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore solo a decorrere dall’entrata in vigore del Dlgs. 29/10/1998, n° 387, e non prima. Ovverosia, per effetto dell’art. 25 del D.L.vo 31/03/1998, n° 80 (che ha sostituito l’art. 56 del Dlgs. 3/02/1993, n° 29), la questione sul principio della retribuibilità delle mansioni superiori viene ancora una volta, incontrovertibilmente, sottoposta ad una condizione sospensiva; in quanto l’applicazione della stessa viene rinviata in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi di lavoro e con la decorrenza da questi stabilita.

23 febbraio 2000, n° 12:

l’esercizio delle mansioni superiori non da mai diritto al reinquadramento, visto che nell’ambito del pubblico impiego, se una legge non dispone altrimenti, l’esercizio, comunque attuato, di mansioni superiori è del tutto irrilevante ai fini dell’inquadramento giuridico in una qualifica più elevata. Salvo il diritto del dipendente pubblico di livello inferiore e contiguo alle differenze retributive a decorrere dal Dlgs. N° 387/98.

Ne consegue che l’interpretazione sul favorevole riconoscimento del diritto alle differenze retributive, anche se appare controversa in base alla giurisprudenza del Consiglio di Stato, viene invece confermata da diverse pronunce della Corte Costituzionale (sentenze nn° 57/89; 296/90; 101/95; 237/97).

Appare opinabile, però, come vengano fatti salvi gli effetti verso i terzi che sono entrati in contatto con quei negozi giuridici, prodotti dal dipendente che ha svolto le mansioni superiori. Difatti, parimenti al disconoscimento del diritto ad avere attribuite per il passato le mansioni superiori, gli atti amministrativi continuano comunque a produrre la loro efficacia, in quanto non sono mai stati dichiarati nulli o, tanto meno annullabili; pur considerando che il dipendente, nell’esercizio del mandato di rappresentanza dell’ente (da cui ha avuta conferita delega), non avrebbe potuto avere – con la sua sottoscrizione – rilevanza esterna.

Un altra fattispecie normativa degna di tutela sindacale è quella desumibile dalla legge 7/08/1990, n° 241, art. 4 - comma 1, e art. 5 , che sancisce che l'individuazione del dipendente addetto alla responsabilità del procedimento deve avvenire con atto formale; in mancanza del quale è considerato responsabile del procedimento amministrativo il responsabile dell'istruttoria. Una sommatoria di gravami in capo al dipendente pubblico, dunque, che lo identificano - per la circostanza - quale centro di responsabilità civili, penali ed amministrative, connesse alle fasi preparatoria ed istruttoria dell'atto amministrativo.

Premesso quanto sopra, chiarisco che la presente vuole fornire uno spunto di riflessione sulle evidenze normative, prodotte dal nuovo contratto (per ciò che riguarda la riqualificazione professionale inerente l'avanzamento in carriera); significando che se pur è innegabile che un qualche risultato è stato raggiunto, parimenti emergerebbe dal contesto del quadro normativo generale un palese canale preferenziale verso i possessori del titolo di laurea ed uno sterile perpetuarsi degli automatismi per anzianità di servizio. I quali, altro non fanno che ricondurre lo stesso contratto in un alveo di incomprensibilile faziosità. Sarebbe come dire che, dovendo misurarsi in una competizione , ad un certo momento viene concesso ad alcuni un vantaggio che non ad altri; rendendo così la stessa gara sleale e, quindi, non più competitiva, in quanto priva dei suoi presupposti incipienti. Mentre, invece, viene ancora una volta minato il principio della meritocrazia, voluto dalla riforma in atto; a tutto scapito dell’appiattimento delle intelligenze, potenziale risorsa primaria di uno Stato moderno e riformista.

A mio avviso, il punteggio stabilito dalle nuove disposizioni, all'art. 10, è privo di una congrua motivazione che ne giustifichi i contenuti adottati. Tanto per chiarire l'importanza dell'argomento in questione, si significa che il tema sui "titoli professionali" è stato ripreso anche, per altri versi, da un articolo del quotidiano "Il Sole-24 Ore" del 22 settembre 2000, a pag. 19, in relazione ad un pronunciamento del Tribunale di Trapani, nel giudizio su un ricorso contro l'Amministrazione finanziaria, che di seguito si trascrive integralmente. Il Tribunale di Trapani ha sostenuto che il Ministero "non può procedere a suo piacimento nell'assegnazione degli incarichi dirigenziali, ma deve invece tenere conto dei titoli professionali, culturali, di servizio, etc., etc. ..."

A tal riguardo, giova ricordare che a rafforzare il tenore del pronunciamento del summenzionato Tribunale, interviene il D.P.R. 21 dicembre 1999, n° 554, che, all'art. 7, comma 1, stabilisce che: il responsabile del procedimento (di cui al comma 5 dell'art. 7 della legge 11/02/1994, n° 109) per la realizzazione di lavori pubblici è nominato dalle amministrazioni aggiudicatrici nell'ambito del proprio organico ed "è un tecnico in possesso del titolo di studio adeguato alla natura dell'intervento da realizzare, abilitato all'esercizio della libera professione o, quando l'abilitazione non sia prevista dalle norme vigenti, è un funzionario con idonea professionalità, e con anzianità di servizio in ruolo non inferiore a cinque anni" (art. 7 - comma 4).-

A tal proposito, si fa notare che il presidente dell’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici Garri, con la determinazione n° 10/2001, rispondendo sulle modalità di nomina e le procedure del funzionario dell’amministrazione incaricato di seguire l’opera pubblica (dalla programmazione all’esecuzione), puntualizza che i geometri rispondono pienamente ai requisiti richiesti per l’incarico e possono ricoprirlo anche per opere che non rientrano nelle loro strette competenze(cfr., per quest’ultima precisazione, il Sole 24 Ore del 28/02/2001, pag. 16).

Il recente contratto integrativo di lavoro, adottato dal Ministero dell'Interno, non fa alcun cenno ai titoli professionali, posseduti dal pubblico dipendente, che abilitino un lavoratore all'appartenenza ad Ordini, Collegi, Registri e Albi di categoria, per la riconosciuta specializzazione di competenze specifiche; mentre, invece, il punto 3.5 dell’art. 10 del contratto in questione, alla voce "master/specializzazioni", non qualifica quali debbano essere intese le specializzazioni.

Appare strano come in un momento storico-politico e contrattuale, in cui il nostro Paese sta mostrando di voler cambiare, gareggiando col privato, abbia voltato le spalle a quelle professionalità tipiche della libera professione, che da sempre caratterizzano il lavoro autonomo intellettuale.

Si consideri come il legislatore, con il Dlgs. N° 29/93, abbia introdotto nell’ordinamento giuridico del pubblico impiego alcuni istituti normativi privati; divenendo pietra miliare di una frontiera sull’onda della modernizzazione della Pubblica Amministrazione, votata vieppiù a criteri di efficienza oltre che di deregulation.

Si vedano, ad esempio, gli istituti normativi sul "part-time; autonomia finanziaria della Dirigenza Pubblica; trattamento di fine rapporto; licenziabilità del pubblico dipendente; il giudice del lavoro, ecc. ".

Gli esempi su esposti sono senz’altro pregevoli di soddisfare quella domanda di efficienza, richiesta dall’utenza. Ma, attenzione! Logica deduttiva vorrebbe che, venendo riconosciuta ai titoli professionali pari dignità di posizione del titolo di laurea specifica, le prestazioni rese dal dipendente dello Stato sarebbero oltremodo suscettibili di tradursi in un salto di qualità dei servizi offerti alla collettività, contribuendo ad un recupero in termini di credibilità per il ruolo ricoperto e le rispettive responsabilità. Dunque, non v’è ragione per cui l’ultimo contratto di lavoro (il primo innovativo, dopo la su accennata privatizzazione) non debba importare nell’ambito del comparto pubblico (nel senso da tenerne conto in sede di opportuna valutazione meritocratica) le professionalità esterne, come quelle di: avvocato; dottore o ragioniere commercialista; revisore dei conti; architetto, geometra abilitato alla libera professione, ecc.

Se si ha modo di confrontare il pubblico col privato per un attimo, scopriamo che: quest’ultimo contratto dà il punteggio di otto punti al titolo di laurea specifica, senza menzionare eventuali titoli abilitativi alla libera professione di cui sopra; ignorando quanto segue: nel privato, il titolo di laurea in legge, che non sia accompagnato dalla specializzazione di avvocato, non permette di esercitare la libera professione forense. Il titolo di laurea in economia e commercio, che non sia accompagnato dalla specializzazione di commercialista, non permette di esercitare la libera professione di consulente fiscale. Ma, di contro, al ragioniere commercialista è ammesso esercitare la libera professione di consulente fiscale.

Ciò significa che cosa? Significa che il legislatore, nulla togliendo al pregio degli studi universitari (ai quali va riconosciuto il massimo della considerazione e rispetto), conferisce alle specializzazioni un peso specifico – sul piano della qualità delle conoscenze tecnico-procedurali oltre che scientifiche ed un rilievo maggiori rispetto al titolo di laurea in sé e per sé, in quanto votato alla mera formazione dottrinaria. Significa anche che un geometra del Catasto, abilitato all'esercizio della libera professione, nell'esaminare un progetto impiegherà una maggiore perizia nelle valutazioni di ordine tecnico . Come pure il dottore in legge (dipendente dello Stato), abilitato allo svolgimento della libera professione di avvocato, nell'approntare una memoria difensiva presso l'Avvocatura Distrettuale dello Stato, farà buon uso delle sue conoscenze giuridiche. Ma anche il ragioniere commercialista (dipendente dello Stato) farà confluire la sua formazione fiscale nell'istruttoria formale delle contabilità trattate. E così via.

Da un raffrontro tra il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro - comparto Ministeri (decorrenza 1998/2001) ed il Contratto integrativo per la stessa vigenza contrattuale del Ministero dell'Interno si osserva come all'art. 13 del C.C.N.L. Ministeri - lett. b) - sia stata istituita nell'area C una separata area dei "professionisti dipendenti", cui, per la loro specifica professionalità, viene richiesta l'abilitazione all'esercizio della libera professione e/o l'iscrizione ad albi professionali.

Dal raffronto emergono alcune possibili incongruenze, che si espongono di seguito:

la stessa terminologia, impiegata dal contratto dei Ministeri (abilitazione all'esercizio della libera professione, tipica di certi riflessi normativi) non viene utilizzata, inspiegabilmente, dal contratto del Min. Int.

Mentre l'art. 13 del prefato C.C.N.L. - Ministeri subordina il requisito dell'abilitazione professionale al possesso del titolo di laurea, il successivo art. 15 - lett. b) - del C.C.N.L. in parola prevede che per i passaggi interni le procedure selettive avvengano in deroga ai relativi titoli di studio, purchè vengano fatti salvi i titoli abilitativi. Conseguenzialmente, ciò che si ricava da un'interpretazione letterale di quest'ultima disposizione è che i titoli abilitativi riuscirebbero di per sè a dare al dipendente una qualche opportunità di progressione di carriera in più. Appare strano come, nel primo caso, il titolo di studio sembri costituire una "conditio sine qua non", la cui condizione essenziale non sarebbe richiesta nel secondo caso. E credo proprio che per siffatta apparente contraddizione il legislatore sarebbe quanto meno tenuto a dare una spiegazione plausibile.

Il Registro Nazionale dei Revisori dei conti, tenuto presso il Ministero di Grazia e Giustizia, ai sensi del Dlgs. 27/01/1992, n° 88, abilita al controllo legale dei conti, ed è un registro unico; in quanto abbraccia circa 70.000 iscritti in Italia, tra laureati e non; senza distinguo alcuno. Non solo. Il D.M. 30 marzo 2000, n° 162 (all'art. 1 - comma 1 - in G.U. n° 141 del 19/06/2000), recita quanto segue: "Le società italiane con azioni quotate nei mercati regolamentari italiani o di altri Paesi dell’Unione europea scelgono tra gli iscritti nel Registro dei revisori contabili coloro che abbiano esercitato l’attività di controllo legale dei conti…. almeno uno dei sindaci……." Il comma 2 continua dicendo che: "i sindaci che non sono in possesso del requisito di cui al comma 1 sono scelti tra coloro che abbiano maturato un’esperienza complessiva di almeno un triennio nell’esercizio di: …. (lett. c) – funzioni dirigenziali presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni………). Per quanto sopra esposto, appare chiaro come emerga l’equiparazione tra la figura prof.le di "revisore dei conti" e quella di "dirigente del settore pubblico". Ma, intanto, il nostro recente contratto, di detta equiparazione, non sembra abbia fatto alcun cenno.-

Un altro pregio che mi sembra opportuno ascrivere al merito della funzione professionale dei revisori contabili, che il presente contratto integrativo del M.I.(nonchè quello relativo al C.C.N.L. - Ministeri) ha manifestamente ignorato (in ordine alle possibili attribuzioni riservate ai "professionisti dipendenti"), è quello connesso alle verifiche di regolarità amministrativa e contabile, applicabili alla Pubblica Amministrazione. Infatti, il Dlgs. 30 luglio 1999, n° 286 (a norma dell'art. 11 della legge 15 marzo 1997, n° 59), all'art. 2 - comma 4° - prescrive che "i membri dei collegi di revisione degli enti pubblici sono in proporzione almeno maggioritaria nominati tra gli iscritti nel Registro dei revisori contabili".

Per quanto sopra, ne consegue che nell'ambito dei controlli interni cui la Pubblica Amministrazione è chiamata ad esprimersi, per garantire il raggiungimento degli obiettivi di efficacia, efficienza ed economicità dell'azione amministrativa, valutando le prestazioni del personale dipendente, l'adeguatezza delle scelte compiute, ecc., la stessa potrebbe (basterebbe che lo volesse) valorizzare quei dipendenti revisori contabili; aprendo così' il varco verso una maggiore flessibilità nell'utilizzo delle risorse interne ed un più rapido ed efficace sistema di progressione di carriera.-

Per meglio evidenziare la valenza dell'esposizione in narrativa, si fa osservare che lo Statuto dell'Agenzia delle Entrate (in G.U. n° 42 del 20/02/2001) prevede la figura del revisore dei conti nella composizione della struttura dell'organo di controllo interno di gestione di cui al Dlgs. n° 286/99.-

A suffragio delle suddette argomentazioni, a dimostrazione che tra il titolo di laurea specifica e "le specializzazioni" non dovrebbe intercorrere alcuna differenza in ordine alla invocata "pari dignità di posizione", si precisa che il legislatore ha inteso stabilire l’equiparazione, per le materie trattate (ad indirizzo economico-aziendale), tra il titolo di "dottore commercialista", di cui all’art. 1 del D.P.R. 27/10/1953, n° 1067, col titolo di "ragioniere commercialista", di cui all’art. 1 del D.P.R. 27/10/1953, n° 1068. Al riguardo, si veda anche la sentenza del Tribunale civile di Verona (13 ottobre 1998 – 22 febbraio 1999, n° 222), che ha riconosciuto come l’aggettivo di commercialista possa essere utilizzato anche dai ragionieri.

Mi auguro, pertanto, che le considerazioni su esposte aiutino per il futuro le rispettive sigle sindacali a condurre una trattativa col Governo sul tema della progressione di carriera, rispettosa delle pari opportunità tra chi è in possesso del titolo di laurea e chi in possesso di altrettanti titoli comunque riconosciuti sul territorio italiano. Niente altro che le stesse opportunità, richieste in sede di immissione in ruolo nella Pubblica Amministrazione a tutti i partecipanti al concorso per diplomati (provenienti dalla ex carriera B); visto che il bando richiedeva il diploma, noncurante di chi possedesse altri titoli legalmente riconosciuti (compresa la laurea).

C’è da augurarsi, dunque, che in un’Italia democratica, ed a mezzo del tramite sindacale, il principio giuridico di un equo trattamento omogeneo, valevole per una determinata categoria di lavoratori, possa orientare il Governo verso un assetto definitivo di previsioni contrattuali – nel comparto pubblico – fondato su certezze del diritto e proiettato verso uno sguardo europeista delle rivendicazioni salariali, incentrate su un’autentica privatizzazione.

Un'ultima considerazione desidero fare in conclusione, in ordine alla differenziazione che passa tra l'area amministrativa e l'area amministrativo-contabile, di cui non si tiene conto in sede di trattamento economico. A quest'ultima, a mio avviso, in quanto viene richiesta di per sè una diversa e più ampia professionalità (insita nella complessità quanto specificità delle competenze amministrative, contabili e fiscali), andrebbe riconosciuta maggiore tutela. Alludo riferirmi alla fase della presentazione del conto giudiziale (rassegnato a firma diretta del responsabile del servizio agli organi di riscontro), la cui sfera di responsabilità del dipendente è riconducibile alla figura giuridica dell'agente contabile, contemplata dagli artt. 178 e segg. e 610 e segg. della legge di contabilità dello Stato. Ma anche alla fase della presentazione dei rendiconti finanziari, la cui sfera di responsabilità va ricercata nella legittimità della spesa; pena l'esercizio dell'azione di responsabilità per danno erariale, esercitata dalla Corte dei Conti ai sensi dell'art. 83 della legge di contabilità generale; o la comminazione di sanzioni pecuniarie, ove venga accertata la responsabilità amministrativa del funzionario inadempiente per ritardi od omissioni di adempimenti previsti dal D.P.R. 20/04/1994, n° 367, art. 9 e R.D. 23/05/1924, n° 827, art. 333.- Sicchè ad un collaboratore amministrativo-contabile presso la divisione ragioneria di un ente pubblico, per la poliedricità delle sue conoscenze tecnico-giuridiche e commerciali, viene richiesto di passare alternativamente dalla gestione dei contratti a quella del trattamento economico (civile e delle Forze dell’Ordine); alla inventariazione di magazzino dei beni mobili; a quella dei capitoli di bilancio; ai conti giudiziali; alla gestione delle paghe e contributi; alle indennità accessorie; al servizio di assistenza fiscale relativo alle denunce dei redditi dei lavoratori dipendenti mediante Mod. 730; agli incarichi esterni in materia ispettiva: accertamento periodico del fondo di consistenza di cassa; nomine a componenti gli Organi di gestione e di controllo presso enti nei quali il datore di lavoro pubblico è per statuto abilitato alle designazioni di propri dipendenti.

Per quanto sopra esposto, bisognerebbe a mio avviso consentire la facilitazione di carriera ed il riconoscimento di indennità di rischio contabile.